Dibattiti

Terzo settore? Teniamoci il nome, ma diciamo basta a “vestiti” inadatti

A 30 anni dalla sua nascita ideale, nel 1994, il Terzo settore oggi deve finalmente essere pienamente riconosciuto per ciò che è, senza alcuna subalternità. «Il Terzo settore è la cerniera che mette in relazione e pubblico e privato. Siamo un modello di sviluppo alternativo. La politica invece continua a proporre al Terzo settore “vestiti” inadatti», dice la portavoce del Forum Terzo settore

di Vanessa Pallucchi

La recente riflessione del professor Zamagni non solleva una questione di tipo nominalistico, ma pone un problema reale. Dal nostro punto di vista, il termine “Terzo” non può essere letto come ultimo per importanza dopo il primo (lo Stato) e il secondo (il mercato). Il Terzo settore non rappresenta un’alternativa residuale, utile per svolgere alcuni specifici servizi, magari a basso costo. È “Terzo” perché distinto e autonomo dai primi due, perché possiede una propria storia e identità e perché propone un proprio modello di sviluppo sociale ed economico, che non vuole fare a meno né del pubblico né del privato.

La solidarietà è il motore del Terzo settore, ma a renderlo peculiare è la sua capacità di tenere insieme tratti del settore pubblico (il perseguimento dell’interesse generale) e di quello privato (libera iniziativa dei cittadini che si auto-organizzano), combinandoli per realizzare benessere collettivo e coesione sociale, oltre che economia “umana”, sostenibile. 

Il Terzo settore è inoltre il primo grande nucleo di aggregazione civica, dentro cui le persone diventano cittadini attivi e consapevoli, attraverso processi di partecipazione nelle proprie comunità, e dove solidarietà e responsabilità non vengono delegate ma agite in prima persona. È proprio in questo nucleo rappresentato dal Terzo settore che i cittadini realizzano e danno forma all’impegno civile per un sistema che costruisce benessere e diritti per tutti: come ci ricorda Papa Francesco, infatti, “nessuno si salva da solo” soprattutto in un mondo che vede moltiplicarsi le solitudini e paradossalmente, a fronte di crescenti bisogni, decostruire i sistemi di sicurezza sociale.  

Senza questi processi di partecipazione, ci può essere una società e un’economia che hanno come fine il benessere delle persone? È una domanda aperta, che al civismo intreccia la solidarietà: sostanzialità linguistiche intorno alle quali vale la pena aprire una discussione, attualizzandole intorno a complesse e inedite sfide.

Non vi è alcuna subalternità rispetto al pubblico e al privato negli obiettivi e negli strumenti del Terzo settore. Esso non è un attore fuori dal “campo di gioco”, non è un sottoinsieme degli altri due settori né la loro intersezione: il Terzo settore è la cerniera che li mette in relazione e che li può rendere co-protagonisti di un modello di sviluppo alternativo.


Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo settore

Ma Zamagni richiama una questione centrale: può bastarci una sussidiarietà orizzontale o dobbiamo puntare alla sussidiarietà circolare? Detto in altri termini: è sufficiente la coprogettazione pubblico/privato sociale dei servizi per migliorare la qualità di vita delle persone e delle comunità oppure, data anche la gravità e la profondità della crisi, è necessario passare all’innovativo paradigma che include la coprogrammazione, in cui le istituzioni pubbliche e il Terzo settore definiscono gli obiettivi delle politiche pubbliche sulla base dei bisogni esistenti sui territori, gli strumenti e le risorse per soddisfarli? Fino a poco tempo fa a sostenere quest’ultima strada avevamo solo delle teorie di alcuni, saggi studiosi. Ora abbiamo delle leggi e perfino degli orientamenti della Corte costituzionale. E tuttavia la realtà quotidiana è assai diversa: la politica continua a proporre al Terzo settore “vestiti” troppo larghi o troppo stretti, scomodi ed inadatti. Pensiamo alla debolezza degli strumenti di sviluppo di cui il Terzo settore dispone, a partire dalla quantità immensamente inferiore a quella a disposizione del profit. Eppure sappiamo che in questo decennio di crisi il Terzo settore è l’unico che è stato in grado di crescere anche in termini occupazionali. 

In mancanza di politiche e sostegni adeguati, misurati sui bisogni e sulle caratteristiche del Terzo settore, il suo sviluppo difficilmente vedrà quell’accelerazione di cui si avverte sempre di più l’esigenza, anche nell’ottica di aumentare l’impatto e la diffusione dell’economia sociale, di cui gli Ets sono i protagonisti. La stessa Legge di Bilancio, che si sta prospettando povera di investimenti sul sociale, ci preoccupa: il sistema di welfare sempre più in crisi e i suoi attori, tra cui proprio il Terzo settore, saranno ancora una volta considerati non prioritari da Governo e Parlamento? 

Esattamente trent’anni fa, a Roma, organizzazioni e movimenti dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione sociale diedero vita alla manifestazione “La solidarietà non è un lusso”, che segnò la nascita del Terzo settore così come lo conosciamo ora. Quelle realtà, così diverse tra loro ma unite da una medesima visione di sviluppo e dalla necessità di reagire con la forza della solidarietà all’egoismo degli anni ’80, avevano già allora individuato quale avrebbe dovuto essere il ruolo del Terzo settore all’interno di un nuovo Stato sociale. «Non vogliamo continuare a coprire in modo subalterno i buchi della pubblica amministrazione», si legge sul manifesto di convocazione della manifestazione del 29 ottobre 1994. E anche: «Vogliamo agire sul terreno della risposta utile, efficace, possibile, in modo flessibile ma tale da creare impresa sociale qualificata; sviluppando partecipazione e volontariato, ma creando anche nuova occupazione». In questi trent’anni la società è cambiata drasticamente, ma gli obiettivi di un Terzo settore che iniziava a riconoscersi e a volersi far riconoscere sulla base di quei valori e di quegli obiettivi sono ancora il nostro faro.

Oggi, a distanza di qualche anno da una riforma che ha dato finalmente una soggettività giuridica al Terzo settore, la strada da seguire non può che essere quella di una maggiore consapevolezza del suo ruolo, della sua capacità di innovazione e di produzione di capitale sociale. Una consapevolezza che deve passare nelle istituzioni e nell’opinione pubblica ma che deve rafforzarsi anche nello stesso Terzo settore. A trent’anni dalla sua nascita ideale, crediamo che sia arrivata l’ora del pieno riconoscimento di questo attore sociale ed economico strategico per il futuro del Paese. 

Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore. In copertina, volontari di Fondazione Progetto Arca

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