Cultura

Il non profit a corto di credito.

Una ricerca della Cattolica.Un questionario compilato da 130 organizzazioni con più di 10 dipendenti.

di Giampaolo Barbetta

L?elevato numero di organizzazioni di piccolissime dimensioni del non profit italiano può essere spiegato con il desiderio di preservare la “diversità” di queste organizzazioni rispetto alle imprese a fine di lucro, oppure con una normativa sfavorevole o con le modeste capacità imprenditoriali degli enti. Rilevante è anche la difficoltà ad accedere al capitale di rischio, vitale per lo sviluppo, ma difficile da raccogliere per organizzazioni con un vincolo di non distribuzione dei profitti. L?analisi e la valutazione del funzionamento del mercato del credito per le organizzazioni non profit sono il centro di un lavoro del Centro di ricerche sulla cooperazione dell?Università Cattolica di Milano. L?analisi, con un questionario rivolto a circa 130 organizzazioni con oltre 10 addetti, ha mostrato quali sono i problemi tipici del settore. Le modeste dimensioni patrimoniali e una percentuale elevata di fatturato proveniente dalla pubblica amministrazione generano spesso problemi di cassa che solo raramente, però, causano difficoltà sistematiche nella tesoreria. Per affrontare tali difficoltà le organizzazioni usano strumenti classici (scoperti di conto corrente, anticipi s.b.f. e – raramente – il factoring), oltre a un sistematico ritardo nei pagamenti (ai fornitori e ai lavoratori). La natura prevalentemente labor-intensive delle produzioni limita gli investimenti, le cui modalità di finanziamento sono peraltro di tipo prevalentemente conservativo (autofinanziamento, ricorso alle istituzioni pubbliche o, al più, mutui). In generale, non paiono esistere evidenti fenomeni di razionamento del credito e, più in generale, di eccesso di domanda rispetto alla offerta delle istituzioni creditizie. Nei rapporti con il sistema finanziario sono le banche tradizionali a fungere da istituzione “di riferimento”. Le banche di credito cooperativo svolgono un ruolo utile ma limitato, mentre gli “intermediari specializzati” mostrano risultati contrastanti: se da un lato si riconosce loro un ruolo positivo per i tassi contenuti, dall?altro si criticano le elevate garanzie richieste, con un uso massiccio delle fideiussioni personali degli amministratori. Nonostante un quadro complessivamente non negativo, la ricerca evidenzia come siano mancate finora innovative metodologie di selezione dei debitori non profit che consentissero di migliorare la capacità del sistema creditizio di trasferire risorse al settore e di offrire risposte specifiche ai peculiari problemi finanziari delle organizzazioni. In questo contesto, diverse azioni paiono auspicabili: la creazione di nuovi attori specializzati nel finanziamento al settore; l?ideazione di strumenti, in primo luogo legislativi, che consentano di utilizzare, anche per il settore non profit, il capitale di rischio oltre a quello di credito; lo sviluppo di competenze specialistiche da parte delle istituzioni creditizie tradizionali; l?adozione, da parte di queste ultime, di logiche di partnership (nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari specializzati, come pure verso “gruppi organizzati” entro il settore non profit) che consentano di acquisire rapidamente le competenze necessarie a minimizzare il rischio pur sempre implicito nell?azione entro questo mercato.


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