Mondo

4. Modello Common law: spazio alle charity e alle scuole libere

Contro la tradizione statalista francese, nel mondo anglosassone si affermò una diversa concezione del diritto (di Giorgio Vittadini e Luca Antonini).

di Giorgio Vittadini

“Con l?indicazione ?mondo di civil law?, s?intende contrassegnare il diritto dell?Europa continentale e delle sue colonie, marcato nella sua storia giuridica dal solco profondissimo della Rivoluzione francese, un solco in forza del quale si relegano in soffitta tutti i valori giuridici del medioevo e dell?antico regime, si sposa pienamente la statualità del diritto, l?identificazione di questo nella legge, la codificazione ? Accanto, pianeta distaccato con una sua storia appartata, il mondo di common law che ha per proiezione la grande area geografica dell?Inghilterra e delle sue colonie, che non ha vissuto sulla sua pelle la vicenda sconvolgente e innovativa della rivoluzione, che vive ancora una perfetta continuità con i vecchi valori giuridici del medioevo inglese, che avverte come innaturale la statualità del diritto e la sua identificazione in un complesso di leggi, che ignora la grande avventura della codificazione, che affida – al contrario – il divenire del diritto ai tecnici competenti, ai giuristi e, tra questi, soprattutto ai giudici che il sano empirismo anglosassone valorizza perché immersi nell?esperienza” . Nelle parole di Paolo Grossi (in Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Il Foro it., 2002) vengono lucidamente evidenziate le cause per cui ancor oggi, malgrado le osmosi prodotte dallo scorrere del tempo, common law e civil law costituiscono pianeti giuridici “piantati su fondazioni diverse e portatori di diverse mentalità: due costumi giuridici, se non opposti, certamente assai diversificati”. La common law, rimanendo in questo aspetto sostanzialmente immutata rispetto alla sue origini medioevali, poté ignorare “addirittura del tutto il concetto di un ente giuridico ?Stato?. Per essa la corona costituisce una distinta persona giuridica (è una corporation sole); e così pure le Camere del Parlamento, i ministri ecc. Ma non vi è un ente che unifichi in sé queste varie unità”. In questo contesto più che di ?costituzione dello Stato?, si parla di ?costituzione della società civile? e i diritti dell?individuo non vennero mai considerati il risultato di un?autolimitazione dell?originario potere statale. Piuttosto, la legge rappresenta un?autoimposizione cui i cittadini acconsentono attraverso i loro rappresentanti: prioritari sono i diritti e non la sovranità dello Stato. E nello svolgimento concreto della vita delle istituzioni il principio monarchico, a differenza di quanto accadde nel conflitto costituzionale prussiano, non riuscì mai a prevalere sulle prerogative del Parlamento inglese. La differenza non è di poco conto, anche perché sarà destinata a gettare una lunga ombra sui successivi sviluppi della concezione giuridica, al punto che oggi negli ordinamenti anglosassoni, molto più facilmente che in quelli continentali (e in particolare in quello italiano), risulta prevalente una concezione ?oggettiva? dei servizi pubblici. Ad esempio, una charity con chiara tranquillità è riconosciuta in Gran Bretagna come un soggetto che svolge un servizio pubblico, anche se soggettivamente è un ente privato e, in generale, il favor fiscale riconosciuto al sistema non profit è di gran lunga maggiore di quello (irrisorio) previsto dall?ordinamento italiano. Il regime delle agevolazioni ai Charitable Trusts della Gran Bretagna, infatti, fa impallidire i ridicoli limiti posti in Italia nel Testo Unico sulle imposte dei redditi alle erogazioni liberali agli enti non profit. Lo stesso si può affermare per il regime giuridico degli Usa, che ha un?antica tradizione: proprio negli anni in cui in Italia si approvava la legge Crispi sulla nazionalizzazione delle Opere pie, al contrario negli Usa si approvava la prima legge diretta a riconoscere specifici vantaggi fiscali agli enti non profit, riconoscendo l?apporto che questi enti garantivano allo sviluppo sociale e economico del Paese. Oggi negli Usa i conferimenti in denaro fatti dalle persone giuridiche a organizzazioni non profit sono deducibili fino al 10% del reddito e senza limite (in Italia, invece, fino al 2% e con un tetto massimo di 2.065,83 euro). I conferimenti in titoli sono deducibili fino al 20% del reddito ed esenti dalla tassazione ordinaria sui capital gains (nel nostro Paese non è prevista invece nessuna deducibilità). In riferimento all?ordinamento statunitense è peraltro importante ricordare la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Ohio del 27 giugno 2002 sul programma scolastico di Cleveland, che è stata equiparata, per importanza alla storica Brown v. Board of education (1954), relativa al divieto dei neri di frequentare le scuole pubbliche con bianchi. Così come nel 1954 la Corte Suprema aveva dichiarato che la nazione americana non poteva avere un sistema per i bianchi e uno per i neri, con la pronuncia sui voucher la Corte ha dichiarato la contrarietà a un sistema educativo che discrimina tra coloro che possono permettersi di scegliere la scuola per i loro figli e coloro che non possono. La sentenza segna un passaggio di fondamentale importanza: essa, infatti, ha riconosciuto che il sistema dei voucher è espressione della libertà di scelta e quindi non contraddice la Establishment Clause che, in base al primo emendamento della Costituzione Usa, vieta al Congresso di promuovere gli istituti religiosi del Paese: “Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof”. Non è stata quindi cassata la legge dell?Ohio diretta a stabilire un programma di supporti finanziari alle famiglie che risiedono nella città di Cleveland per permettere la possibilità di scegliere l?educazione per i loro figli. La Corte suprema degli Usa ha ritenuto che tale programma fosse completamente neutrale rispetto alla religione, indipendentemente dal dato di fatto che il 98% di coloro che usufruivano del voucher si fossero iscritti a scuole private cattoliche. Peraltro, è importante precisare che la scelta per le scuole cattoliche deriva dal fatto che sono le uniche scuole private, in virtù delle loro basse rette, usufruibili dai ceti bassi. Secondo la Corte, un programma di sovvenzioni pubbliche che dispone aiuti direttamente a favore di un?ampia gamma di cittadini (che a loro volta poi li utilizzano a favore di istituti religiosi in forza della loro scelta privata genuina e indipendente) non può essere ritenuto in contrapposizione con l?Establishment Clause, perché finanzia le scuole religiose solo per via di scelte deliberate da numerosi singoli. L?incidentale vantaggio degli istituti religiosi, pertanto, è quindi attribuibile alla scelta del singolo e non al governo, il cui compito termina con la concessione di tali benefici. Dagli Usa arriva quindi un?importante lezione per l?Italia, che rende giustizia di tutte quelle discussioni che anche nel nostro ordinamento sono state sollevate, sempre a sproposito, sulla compatibilità dei buoni scuola con una certa interpretazione dell?art. 33 della Costituzione italiana.

Giorgio Vittadini e Luca Antonini


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