Volontariato

2. Sussidiarietà, i primi passi. Una profezia della Welfare Society

Nel passato ci sono tanti esempi di applicazione della sussidiarietà (di Giorgio Vittadini e Luca Antonini).

di Giorgio Vittadini

Nelle poche parole che enunciano il principio di sussidiarietà nella Quadragesimo anno, dal punto di vista della teoria dello Stato è affermata una rivoluzione copernicana rispetto al codice genetico dello Stato moderno, perlomeno a quello la cui ascendenza teorica si colloca nella sequenza di sviluppo del pensiero che da Hobbes arrivava a Rousseau e quindi a Heghel. è importante, peraltro, precisare che la forza del principio di sussidiarietà di fronte alle ideologie ben più articolate stava nella sua origine: non era nato da una riflessione ?a tavolino? ma da una lettura della realtà e dalla preoccupazione di difendere un?esperienza di civiltà sociale dalle politiche egemoniche del fascismo. L?enciclica mirava, infatti, a proteggere dalle pretese di assorbimento nello statualismo – che, come vedremo, già erano state proprie dello Stato liberale – una tradizione di privato sociale che aveva garantito all?Italia benessere sociale e una certa protezione alle classi più deboli. Assistenza sociale, sanità, educazione, ma anche la grande vivacità della piccola imprenditoria, erano stati settori in cui la “genialità creatrice dei singoli” e delle associazioni aveva fornito risposte sociali valide ben prima che lo Stato si preoccupasse di intervenire. Altro che “homo hominis lupus”! A Milano, ad esempio, già nel 1200 esistevano 10 ospedali nati dall?iniziativa privata e tra questi santo Stefano in Brolo che aveva 500 letti, con la capacità di ospitare 350 lattanti e 150 adulti. La Ca? Granda, che sarebbe poi diventata l?Ospedale Maggiore dei milanesi, venne invece realizzata nel XV secolo per l?opera dell?architetto Antonio Averulino. Il Filarete, così era noto Averulino, si ispirò all?ospedale di Santa Maria alla Scala di Siena, che era stato fondato nell?XI secolo, e a quello di Santo Spirito, di Roma, che era stato ristrutturato nel 1204 da Innocenzo III. Anche Lutero applaudì è interessante ricordare, in relazione a quest?ultimo ospedale, la descrizione che ne fece un visitatore particolare, probabilmente non certo disposto a transigere: Martin Lutero. “Vi si mangia e beve bene e vi si è serviti con sollecitudine; i medici sono abili, i letti e le mobilia puliti e ben tenuti. Quando un malato vi è condotto, gli si tolgono gli abiti in presenza di un pubblico notaio che li registra; poi si mettono da parte con cura ed il malato viene ricoperto da una veste bianca e deposto in un letto ben preparato. La pulizia è ammirevole”. Sulla Ca? Granda le parole di un pellegrino dell?epoca ne descrivono l?imponenza: “?l?Ospedale nutre giornalmente 1.600 uomini oltre gli ammalati giacché stanno ivi ragionieri, scrivani, farmacisti, barbieri, fornai, sarti, calzolai, avendo ciascuno parte al lavoro proprio in modo che il ragioniere conta ogni anno allo spedaliere, 30mila ducati milanesi” . Peraltro, nel 1700 l?Ospedale Maggiore (come nei tempi moderni è stata chiamata la Ca? Granda) era diventato uno dei maggiori proprietari terrieri della regione, perché la gente, grata del servizio che aveva ricevuto, lasciava le proprie terre in eredità all?ospedale. Non solo l?ospedale aveva proprietà per circa diecimila ettari, ad alta produttività, ma anche un?incidenza notevole sulla vita economica: ad esempio i contratti agrari che venivano preparati dagli amministratori dell?ospedale, diventavano poi punto di riferimento per tutti i contadini della Lombardia. Anche nel settore dell?assistenza sociale si poteva registrare una situazione analoga. Ad esempio, nella Firenze del 1300, dove su 90mila abitanti, 20mila erano poveri, chi si occupava dell?assistenza erano le corporazioni delle arti, che dedicavano parte delle loro risorse proprio a questo scopo. Il caso dei Monti di pietà L?orizzonte della Welfare Society non si esauriva tuttavia nel settore sociale in senso stretto, ma investiva anche ambiti più spiccatamente economici, come quello bancario, che ritrova qui gran parte della sua origine. Nella Francia del XIV secolo, ad esempio, i Monti di pietà nascono dai monaci francescani, che vogliono rispondere al fenomeno dell?usura e quindi dare e fare crediti a tassi bassi, per evitare che la gente cadesse vittima degli usurai. Giuseppe De Rita ricorda che “i monaci francescani inventarono i Monti; dopo aver per quaranta giorni di Quaresima tuonato contro ?l?usura degli ebrei?, al Venerdì Santo organizzavano una sfilata di carri, nell?ultimo dei quali (raffigurante il Calvario, mons pietatis) si raccoglievano le offerte della comunità per costituire l?accumulazione finanziaria (il primo patrimonio bancario che la storia conosca) alla quale i nuovi protagonisti dell?economia potevano attingere con bassi tassi d?interesse”. Non solo, quindi, l?assistenza ospedaliera e sociale, ma anche la dinamica dello sviluppo economico italiano si dimostra collegata con il principio di sussidiarietà. I distretti industriali, infatti, venivano finanziati col patrimonio bancario, la cui origine appunto si radicava per gran parte in una esperienza di Welfare Society: le banche di credito cooperativo, le casse di risparmio, i Monti di pietà hanno questo codice genetico scritto nelle loro origini. Anche le banche popolari sono nate come emanazione delle società operaie di mutuo soccorso. A questo proposito è utile ricordare che dopo la pubblicazione dell?enciclica Rerum Novarum le società operaie cattoliche si diffusero con notevole rapidità. Un?indagine della fine dell?Ottocento stima in Italia l?esistenza di circa 5mila società di mutuo soccorso laiche e cattoliche, nate come fenomeno di solidarietà dinamica tra le persone per rispondere alle discrasie della rivoluzione industriale. Una formidabile risposta ai problemi della rivoluzione industriale, inoltre, accadrà all?interno di tutto quel fenomeno di Welfare che sarebbe nato, in questo stesso periodo, intorno ai santi sociali. Riguardo a Don Bosco, Giacomo Daquino ricorda: “Dai registri consta che non meno di 100mila giovanetti assistiti, raccolti, educati con questo sistema, imparavano la musica, chi la scienza letteraria, chi arte o mestieri, e sono divenuti virtuosi artigiani, commessi di negozio, padroni di bottega, maestri insegnanti, laboriosi impiegati, e non pochi coprono onorifici gradi nella milizia. Molti anche, forniti dalla natura di non ordinario ingegno, poterono percorrere i corsi universitari e si laurearono in lettere, in matematiche, medicina, leggi, ingegneri, notai, farmacisti e simili”. Questa ricca esperienza, nata tanto dalla tradizione cattolica come da quella socialista e da quella liberale, sconterà tuttavia un rapporto problematico col potere. L?età dell?ingerenza Le questioni incominceranno ad affiorare con Maria Teresa d?Austria, e poi soprattutto con Giuseppe II, quando si affermerà l?idea di uno Stato paternalista. Sarà l?avvio di una serie d?ingerenze nelle nomine degli amministratori, che poi finirà per imporre il controllo del ministero degli Interni e, infine, con Crispi, arriverà a una vera e propria confisca pubblicistica della sussidiarietà. A farne le spese saranno, come risulta dai dati della Commissione reale istituita per censire queste realtà, 22mila opere pie, che nel 1888 operavano in 33 settori diversi. Le opere elemosiniere erano 4.109, gli istituti per sostenere la formazione dei nuclei familiari 2.986, le congregazioni per la carità 2.022, le opere pie per la cura a domicilio 2.021, gli ospedali 1.202, comprendendo anche cronici e incurabili, gli orfanotrofi 907, gli asili 778, le case di ricovero per mendicanti 246, gli istituti e le opere di istruzione 800. Erano variamente distribuiti su tutto il territorio nazionale, anche se prevalentemente si concentravano in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Campania. Un?espressione plurisecolare della sussidiarietà venne quindi gravemente compromessa e lo Stato pretese di rivendicare a sé tutto quanto, espresso nella società civile, potesse avere una valenza collettiva, sul larvato presupposto (indimostrato) che solo ciò che era statale poteva dimostrarsi autenticamente morale e quindi assurgere a ?pubblico?. Il pensiero di padre Taparelli (gesuita e fratello del noto uomo politico Massimo D?Azeglio) sta a rivendicare, invece, proprio l?insopprimibile esigenza della sussidiarietà vista in antagonismo alla dottrina ottocentesca dello Stato e incentrata sul richiamo alla creatività politica, economica e sociale delle libertà collettive quali si erano storicamente sviluppate in relazione al pensiero cristiano.

Giorgio Vittadini e Luca Antonini


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