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Paolo Simeone: è polemica tra le ong. Il caso esplosivo del bravo sminatore

Nino Sergi, presidente di Intersos, difende la sua scelta: "Era un esperto di mine". Alcuni colleghi lo appoggiano, altri chiedono di selezionare meglio i cooperanti.

di Carlotta Jesi

Ex soldato del Battaglione San Marco e della Legione Straniera in cui ha trascorso cinque anni, offresi come esperto sminatore per organizzazioni umanitarie. In coscienza, foste il direttore di una ong impegnata nella lotta alle mine antiuomo, voi lo assumereste uno così? Uno come Paolo Simeone, il reclutatore delle quattro body guard italiane prese in ostaggio che in Iraq era arrivato mesi fa come cooperante di Intersos? Sabato 17 aprile, quando in Italia si comincia a spulciare tra le righe del suo curriculum vitae, e a bisbigliare che forse Simeone non è l?unico a saltellare senza alcun rimorso dal profit al non profit di stanza in Iraq, scatta la polemica: ma che razza di gente selezionano le ong che hanno fatto della divisione tra personale civile e militare una bandiera? Senza leggerezza “Uno dei pochi esperti sulla piazza in grado di svolgere un lavoro delicato come lo sminamento e di formare personale civile che per ora non ha ancora i numeri per farlo”, dichiara il presidente di Intersos, Nino Sergi. Che s?era già avvalso della collaborazione di Simeone in Kosovo e in Angola e che difende la sua scelta di avergli fatto un contratto di sei mesi per sminare l?Iraq: “Senza alcuna leggerezza: ai tecnici che non sposano la cooperazione come scelta di vita, chiediamo un?adesione totale alla nostra carta dei valori su cui vigilano un capo progetto, un capo aerea e un capo missione. Chi sgarra, viene rispedito a casa. E Simeone, il cui contratto con noi è scaduto il 31 dicembre 2003, non ci aveva mai deluso”. Nessuno scandalo, dunque. E nel giorno in cui la Croce Rossa italiana entra a Falluja, Sergi non è l?unico a pensarlo. Lello Rienzi, di Un ponte per, è d?accordo con lui: “Se il tuo obiettivo è togliere una mina, hai bisogno di gente capace di farlo”. E Valeria Castellani, l?altra italiana che secondo il Corriere della Sera sarebbe passata da Un ponte per alla società di sicurezza di Simeone? “Ci aveva mandato un curriculum e l?avevamo scartata. Quando ci si è presentata in Iraq, le abbiamo affidato una ricerca sui datteri”. Due casi isolati di passaggio dal profit al non profit? Chi smina e chi no “Fisiologici”, precisa Sergio Marelli, dell?Associazione delle ong italiane. “Su 3mila cooperanti italiani attualmente in missione nel mondo, sono gli unici che ho sentito. Il volontariato non è un vaccino contro le tentazioni del mondo, siano esse i 15 mila euro al mese di stipendio offerte a una guardia del corpo armata in Iraq, di cui si serve anche Paul Bremer, o agli stipendi delle Nazioni Unite che sono tre volti superiori a quelli di una ong: 5mila euro al mese contro i 2.500, 3mila al massimo, di un cooperante”. D?accordo con la linea adottata da Intersos è anche Maurizio Carrara del Cesvi, che però ci tiene a fare una precisazione: “Se ti occupi di mine, è ovvio che scegli le personalità più adatte a disattivarle. Sul fatto che a sminare debbano essere le ong, però, ne possiamo discutere”. E in Italia c?è chi ha già cominciato a farlo, come Raffaele Salinari, presidente di Terre des hommes. “La gente come Simeone ha sempre dichiarato di lavorare per chi è disposto a pagarla. Non è una novità. Il punto è un altro, e cioè che l?attività di sminamento avrebbe sempre dovuto restare nelle mani dei militari. Perché è proprio in questo campo che si è cominciata a saldare la collaborazione tra civili e soldati e la confusione che ne deriva”. Confusione che, a detta di Salinari, oggi rischia addirittura di essere strumentalizzata: “Mi aspetto che agenti dei servizi segreti e paramilitari cerchino di farsi passare per operatori umanitari nel tentativo di salvarsi la pelle”. Sul mandare in missione uno come Simeone, e sull?idea di affidare lo sminamento ai militari, Nicoletta Dentico, della Campagna mine, non è d?accordo: “Primo perché i soldati sminano per aprirsi varchi a scopi militari, e secondo perché i civili possono imparare a fare sminamento umanitario come è accaduto alle donne della Cambogia che si sono sottoposte al training necessario. In sede di selezione, la motivazione dei candidati va sondata a fondo. Spero che il caso di Simeone, ma anche quello di Barbara Contini che è arrivata in Iraq con un preciso mandato umanitario e poi è passata alla Coalizione, non facciano scuola”. Il caso Nance Anche per Medici senza frontiere la condanna di qualsiasi commistione di ruoli tra civili e militari è nettissima. “In Iraq, il concetto di azione umanitaria è stato usato per giustificare, prevenire o interpretare in modo non obiettivo le ostilità. L?azione umanitaria è diventata un altro strumento di guerra, confondendo i limiti tra aiuti umanitari indipendenti, obblighi militari e propaganda”, denuncia Sergio Cecchini specificando che i Medici senza frontiere, proprio per evitare equivoci, non fanno mai uso di scorta armata. “Come pure il nostro personale”, dichiara Filippo Ungaro di Save The Children. L?organizzazione cui apparteneva Malcom W. Nance, il cooperante che, secondo le dichiarazioni rese al Corriere della Sera da Valeria Castellani, “stava cambiando lavoro per diventare l?addetto alle scorte per la Bearing Point, la società Usa di consulenza”. Un altro cooperante passato a fare la body guard? “Nance era un consulente esterno per la sicurezza di Save The Children Usa”, risponde Save The Children Italia,”i nostri cooperanti non hanno scorte”.


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