Società

Becchetti: da “Terzo settore” a “settore civile”? Passo giusto, ma non basta

L'economista di Roma Tor Vergata e anima del Festival nazionale dell'economia civile di Firenze interviene dopo la sollecitazione del professor Zamagni a sostituire la dicitura "Terzo settore" con "settore civile": «Giusto, ma andrei oltre: ritengo che il civile debba essere l’unico grande settore privato del Paese (differenziato settorialmente per tipi di produzione) dove tutte le organizzazioni rispettino i capisaldi del nuovo paradigma economico»

di Leonardo Becchetti

Le classificazioni ci servono per semplificare e capire cose complesse, ma hanno lo svantaggio di tagliare e perdersi molto della ricchezza di quella complessità.

Ha ragione Stefano Zamagni ad indicare che “Terzo settore” non rende ragione dell’importanza e della ricchezza all’interno della nostra società del ruolo di tante organizzazioni che dalla cultura, allo sport, dal socioassistenziale alla cooperazione sociale, sorreggono il welfare nel nostro Paese. Ognuna di queste organizzazioni non solo è impegnata a risolvere un problema specifico o a offrire un particolare servizio sociale ma attraverso l’opera dei volontari e non solo, produce civismo, cittadinanza attiva, capitale sociale che sono i sali minerali essenziali per il terreno delle nostre democrazie.

Già parlare di settore civile e non di Terzo settore come ha fatto Zamagni elimina questa condizione di subordinazione, ma non è a mio avviso abbastanza. L’economia civile, il nuovo paradigma che si va diffondendo in vari modi e maniere (dagli eventi come il Festival Nazionale dell’Economia Civile, alla Scuola dell’Economia Civile, al manifesto sul nuovo paradigma economico firmato da 350 colleghi italiani fino alla creazione di uno spartito personal/relazionale per migliorare l’azione della politica e il rapporto tra società civile e politica) pensa che tutto il mondo della produzione debba essere civile.

E non debba esistere pertanto un mondo a due tempi nel quale si producono più beni e servizi possibili nel primo tempo “non-importa-come” (ovvero non preoccupandosi degli effetti esterni sociali ed ambientali negativi) e poi nel secondo tempo le crocerossine del Terzo settore (o del civile) intervengono per riparare i danni. Questo mondo è profondamente inefficiente dal punto di vista della felicità/generatività perché condanna la maggioranza di noi a lavorare nel primo tempo consapevoli degli effetti negativi delle nostre azioni. Con il paradosso che le società del primo tempo offrono ai loro dipendenti una spruzzatina di Terzo settore e di volontariato per motivarli a fare la prima parte del lavoro.

L’economia civile (Festival, scuola, manifesto, spartito e impegno di tante reti del nostro Paese) vuole modificare questo stato di cose che è tra l’altro responsabile di tutti gli squilibri maggiori che abbiamo di fronte (impazzimento del clima, pace negata, povertà e diseguaglianze).

Tornando allo spunto di Zamagni, un padre e un ispiratore per tutti noi, ritengo che il civile debba essere l’unico grande settore privato del Paese (differenziato settorialmente per tipi di produzione) dove tutte le organizzazioni rispettino i cinque capisaldi del nuovo paradigma economico.

Primo, le persone sono cercatrici di senso, affamate di relazioni e vocate alla generatività e come tali devono essere valorizzate nelle organizzazioni. Se lo saranno “renderanno” anche molto di più. Secondo, le “imprese” profit devono diventare più ambiziose e guardare all’impatto sociale e non solo al profitto, mentre l’ambizione delle imprese “not for profit” deve essere quella di creare sempre più le condizioni per la propria indipendenza attraverso la produzione di beni e servizi sociali riconosciuti e remunerati economicamente o dai privati o dalle comunità. Terzo, tutte le organizzazioni devono dotarsi di indicatori di misurazione d’impatto generativo che ci aiutano ad apprendere e a migliorare. Quarto, la politica economica non la fa soltanto la Bce, perché il civile partecipa in ottica di sussodiarietà circolare con il pubblico a coprogrammare e coprogettare sulla base dei bisogni locali.

Per realizzare questo progetto non facciamo solo filosofia ma lavoriamo su progetti concreti. Al Festival Nazionale dell’Economia Civile del prossimo 3-6 Ottobre presenteremo l’aggiornamento della mappa della generatività delle provincie italiane per identificare i territori più vicini al nuovo paradigma e gli aggiornamenti sulle declinazioni di policy che il paradigma relazionale, l’economia civile e il ruolo attivo del settore civile (molto più del Terzo settore) generano. Per citarne solo alcune l’impegno della società civile nei percorsi di pace e de-escalation internazionale, l’innovazione sociale nei contratti di lavoro, il vademecum sulla coprogettazione, i progetti di social business city (zero disoccupazione, zero povertà, zero emissioni), il passaporto digitale dei prodotti per il voto col portafoglio e il marchio prodotti caporalato free…e ancora tanto altro su cui lavoriamo quotidianamente. Quest’ estate il Meeting di Rimini ci ha esortato a cercare cos’altro se non l’essenziale e la route delle migliaia di capi scout che la felicità c’è ma richiede il mettersi in cammino. La nostra è l’offerta di una terza tappa dove la protagonista sarà proprio la partecipazione e incontreremo innovatori sociali e rappresentanti delle istituzioni su questi temi. Altro che ghetto del “Terzo”. Il civile è la risorsa più importante del nostro paese e vuole crescere e contagiare.

Foto: Pexels


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