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Ius Scholae, come ribaltare le inconsistenti argomentazioni di chi dice “no”

Sono cinque le argomentazioni cardine del fronte di chi si oppone alla proposta rilanciata dal numero uno di Forza Italia e vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani: alla prova dei fatti nessuna di loro sta in piedi

di Stefano Arduini

Sono cinque le argomentazioni cardine del fronte di chi si oppone alla proposta rilanciata (per ora solo a parole, una proposta di legge è stata annunciata per l’autunno) dal numero uno di Forza Italia e vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani. Le ha ben sintetizzate qualche giorno fa sul Corriere della Sera il capogruppo leghista al Senato, Massimiliano Romeo. 

Prima di analizzarle vediamo cosa intendiamo quando parliamo di Ius Scholae, prendendo a prestito una scheda elaborata da Save the Children sulla base dei testi finora discussi in Parlamento: 

Lo Ius Scholae prevede: 

  1. il riconoscimento della cittadinanza italiana per i giovani con background migratorio nati in Italia o arrivati prima del compimento dei 12 anni che risiedano legalmente e che abbiano frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio nel nostro Paese, in uno o più cicli scolastici (la proposta annunciata da Forza Italia prevederebbe 10 anni di studio, ndr). Inoltre, se i 5 anni considerati includono la frequenza della scuola primaria, allora viene richiesto anche il superamento del ciclo di studi con esito positivo come elemento fondamentale per il riconoscimento della cittadinanza;
  2. il riconoscimento da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’Istruzione, dei requisiti essenziali che i percorsi di istruzione e formazione professionale devono possedere per essere considerati titoli idonei per l’acquisto della cittadinanza;
  3. la presentazione su base volontaria della domanda di cittadinanza prima del compimento del diciottesimo compleanno, da parte di almeno un genitore legalmente residente in Italia o chi esercita la capacità genitoriale, all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza. In caso di mancanza di questa dichiarazione di volontà, l’interessato acquista la cittadinanza se ne fa richiesta all’ufficiale dello stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età;
  4. gli ufficiali di anagrafe sono tenuti a comunicare ai residenti di cittadinanza straniera, nei sei mesi precedenti il compimento del diciottesimo anno di età, la possibilità di acquisire il diritto di cittadinanza. L’inadempimento di tale obbligo di informazione sospende i termini di decadenza per la dichiarazione di elezione della cittadinanza.

I numeri. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Ufficio Statistica del Ministero dell’Istruzione e del Merito, nell’a.s. 2022/23 nelle nostre scuole erano registrati 914.860 studenti e studentesse con cittadinanza non italiana: essi rappresentano l’11,2% del totale degli alunni in Italia. Solo il 15,5% delle scuole italiane non registra la presenza di alunni di origine straniera.

Focalizziamoci ora sulle cinque argomentazioni di chi si batte contro lo Ius Scholae, così come presentate da Massimiliano Romeo. 

  • Nel nostro ordinamento i minori stranieri godono degli stessi diritti dei minori italiani. 
    Vorrei ben vedere che non lo fosse per i diritti umani. Ma se si parla di quelli civili, non è per nulla così. Agli studenti stranieri è riservato un trattamento differenziato rispetto agli italiani proprio in ragione della mancanza di cittadinanza. Un esempio? Gli studenti stranieri hanno meno possibilità di fare esperienze di studio all’estero rispetto agli italiani. In assenza della carta di identità per espatriare hanno bisogno del permesso di soggiorno e talvolta (come nel caso dell’Erasmus) di un visto. Come noto le tempistiche per il rinnovo dei permessi di soggiorno sono una lotteria. Capita quindi che gli studenti stranieri debbano rinunciare perché non in regola coi documenti, pur avendone i meriti dal punto di vista del curriculum scolastico. Altro esempio? Uno studente straniero residente in Italia senza la cittadinanza non può trovare lavoro in un altro Paese della Ue. 
  • La cittadinanza non è uno strumento per integrare, ma l’approdo finale di un percorso di integrazione. 
    Lo Ius Scholae prevede esattamente questo: un percorso educativo e formativo al termine del quale poter accedere alla cittadinanza. 
  • Siamo sicuri che basti un riferimento formale per fare un buon cittadino italiano?
    No, non siamo sicure. Ma questo cosa c’entra? Si potrebbe benissimo ribaltare la domanda. Perché il godimento della cittadinanza dovrebbe essere d’impedimento per essere un buon cittadino? 
  • Sappiamo bene che ci sono stranieri senza cittadinanza che sono pienamente integrati e stranieri con la cittadinanza che non si integreranno mai perché non si riconoscono nei principi e nei valori del nostro Paese. 
    Quindi la legge in vigore che il ministro Matteo Salvini ritiene intoccabile produce insicurezza, visto che – come dice uno dei luogotenenti leghisti: «Ci sono stranieri con la cittadinanza che non si integreranno mai perché non si riconoscono nei principi e nei valori del nostro Paese». Altra buona ragione per cambiare la legge, no?
  • Sappiamo che spesso sono preponderanti i valori trasmessi dalla famiglia, più che dalla scuola. 
    Qui il riferimento è a quella minoranza di famiglie radicalizzate che applicano la legge islamica in Italia. Il fenomeno esiste e va monitorato in primis per difendere i diritti di donne e bambini. Dalle confuse argomentazioni leghiste ancora una volta non si comprende perché l’apertura di una via “formativa” alla cittadinanza debba acuire i rischi di islamizzazione piuttosto che contenerli. Il buon senso dice esattamente il contrario: lo Ius Scholae può essere uno strumento di sicurezza e inclusione dal grandissimo potenziale. 

    Foto: Pexels

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