Cultura

Mustiola chiude, e il biologico che fa?

Dopo vent’anni va in liquidazione una delle maggiori aziende agricole. Perché? L’agricoltura naturale è condannata al nanismo?

di Ida Cappiello

Ultima fermata per Mustiola. A meno di colpi di scena dell?ultima ora, la liquidazione della cooperativa biologica fondata da Giampaolo Missiroli comincerà quando arriveranno nella sede di Cesena i tre commissari già nominati dal governo. Il cda si è dimesso e le operazioni commerciali sono state bloccate dai revisori dei conti. L?ipotesi del salvataggio da parte di una cordata di imprenditori locali non è ancora esclusa, ma molto dipenderà dall?atteggiamento dei liquidatori.
Intanto il mondo del biologico romagnolo si interroga: agricoltori, associazioni e amministratori locali si sono incontrati nella capitale della Fruit Valley italiana per cercare nuove strade di sviluppo per il mercato bio, allarmati dalla crisi di un?azienda che in vent?anni di attività si era caratterizzata anche per l?opera di divulgazione culturale. Dando il via in Emilia Romagna alle forniture bio per le mense scolastiche o promuovendo le Fattorie didattiche per far conoscere ai bambini l?agricoltura pulita, promuovendo iniziative solidali come il progetto di sviluppo agricolo nella diocesi di Barentù, in Eritrea. Impegno che non è servito a salvarla dalla crisi.
Secondo informazioni non ufficiali, nel bilancio di Mustiola c?è uno scoperto di 1,5 milioni di euro, su un giro d?affari di circa 13 milioni di euro. Un ?buco? superiore al 10% del fatturato.
La spiegazione che circola negli ambienti vicini alla cooperativa parla di investimenti immobiliari troppo audaci: magazzini e impianti di trasformazione sovradimensionati e finanziati con debiti bancari, costruiti per servire la grande distribuzione e diventati in breve tempo un macigno al collo dell?azienda, quando la domanda di prodotti bio ha cominciato a cedere. è lo stesso Missiroli a confermare a Vita i fatti: «Abbiamo commesso l?errore di investire tutte le nostre risorse, finanziarie e umane nella grande distribuzione, trascurando i clienti storici. La crisi è partita da lì e si è aggravata con la crisi di mercato cominciata due anni fa. Stavamo per risolverla con un partner, la cooperativa Intesa di Faenza, ma all?ultimo momento l?accordo è saltato».
Il mondo agricolo romagnolo non ha però mostrato troppa comprensione per l?imprenditore e il suo buco non ?pazzesco?. Renzo Piraccini, presidente del Consorzio Almaverde Bio ci dice: «Il core business di Mustiola, come per noi, è l?ortofrutta. è un mercato difficilissimo dove i costi di produzione sono alti, i rischi naturali sempre in agguato e dall?altra parte i margini di profitto sono ridotti all?osso. In più, l?anno scorso i consumi di ortofrutta biologica sono scesi del 25%, un vero e proprio crollo che ha spiazzato tanti produttori saltati sul carro del biologico nel periodo del boom. L?unico modo per resistere è essere efficienti nell?organizzazione e avere le cosiddette spalle larghe: noi ci riusciamo anche perché facciamo parte di Apofruit, un gruppo da 155 milioni di euro».
Ma allora il biologico è condannato a non crescere? Nell?incontro di Cesena si è discusso e le proposte di rilancio parlano soprattutto di territorialità, che non significa nanismo. Lo spiega così Daniele Zavalloni del Gruppo di ricerca sulle tecnologie appropriate: «Il biologico si salva solo se recupera un rapporto diretto con il consumatore su base locale. Le possibilità sono diverse: far crescere i gruppi di acquisto solidale, creare mercati rionali riservati al bio, incentivare la vendita diretta in azienda».

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