Non profit

La storia di Elena e Lorenzo, per due anni in Albania. Volontari? Sì, ma in coppia

L’amore. un sogno condiviso. La forza di essere insieme. Ecco perché due giovani sposati hanno lasciato un buon lavoro e si sono tuffati in un’avventura di solidarietà.

di Benedetta Verrini

Giovani trentenni, felicemente sposati, con una buona posizione nel settore profit (lei in un?azienda che realizza programmi di fidelizzazione dei prodotti di consumo; lui, ingegnere, in un?impresa che fa valvole per il settore petrolifero), residenti a Milano. Segni particolari? L?idea di tuffarsi in un?esperienza di solidarietà ?di coppia? all?estero. Così, Elena e Lorenzo Pistocchini un bel giorno mandano il proprio curriculum a diverse organizzazioni non governative. Nella stessa busta e con una condizione tassativa: partire insieme. All?offerta risponde uno dei maggiori enti autorizzati alle adozioni internazionali, impegnato nella cooperazione allo sviluppo, Amici dei Bambini. Dopo sei mesi di formazione presso la sede dell?organizzazione, a Melegnano, e altri due mesi di ?tirocinio? in un progetto in Moldavia, Elena ed Enrico hanno raggiunto il loro obiettivo: sono cooperanti volontari in Albania. L?11 gennaio scorso hanno chiuso casa a Milano, salutato tutti e si sono trasferiti a Tirana, dove resteranno per i prossimi due anni. «Non è stata una decisione improvvisa o impulsiva», dice Elena, in trasferta a Milano per un workshop organizzato da AiBi per i rappresentanti dei centri di aggregazione giovanile dei Balcani. «è maturata nel tempo, attraverso diverse esperienze. Siamo stati entrambi capi scout e avevamo già sperimentato la cooperazione con il nostro clan. In particolare, un paio d?anni fa io avevo fatto un campo di servizio presso un orfanotrofio in Serbia. Quell?esperienza mi ha segnata moltissimo: ci sono ritornata più tardi con Lorenzo e di lì abbiamo deciso che potevamo fare qualcosa di più. E che era il momento giusto per farlo». Certo, ai datori di lavoro che li hanno visti dare le dimissioni, questa scelta deve essere sembrata incomprensibile. «Come capita spesso in queste situazioni, ci siamo visti offrire un miglioramento del contratto», prosegue, «ma ormai la decisione era stata presa. Anche i nostri genitori sono rimasti sbalorditi: erano preoccupati per il nostro futuro, ma ora ci stanno sostenendo tantissimo. I miei suoceri sono già venuti a trovarci». E l?inserimento in Albania? «è stato un impatto molto forte», prosegue Elena. «Le persone faticano ad aver fiducia, tendono a volerti mettere alla prova. Io e Lorenzo abbiamo cercato, fin dalle prime settimane, di far capire che non eravamo lì semplicemente per svolgere una mansione e portare avanti un progetto, ma per condividere i problemi e inserirci nella loro comunità». Elena è ?sul campo?: entra nelle case, organizza l?animazione, gioca con i bambini. Lorenzo si occupa degli aspetti del coordinamento e della gestione dei progetti. «Siamo insieme sul lavoro e poi a casa», dice. «è molto bello e nello stesso tempo difficile: penso che l?essere sposati già da cinque anni ci abbia comunque aiutati ad affrontare gli imprevisti e le tensioni di questa nuova vita». Di esperienze dure, infatti, ne hanno già vissute. «In febbraio è morto un ragazzo di 17 anni che frequentava il nostro centro», racconta. «Come spesso accade in Albania, era andata via la luce e Luan, così si chiamava, è rimasto fulminato mentre cercava di collegare il generatore all?impianto elettrico di casa sua. Abbiamo vissuto la sua morte come una terribile ingiustizia: era in attesa del visto per rientrare in Italia, dove ad aspettarlo c?erano suo fratello maggiore e una proposta di lavoro regolare». Altrettanto duro è il confronto con il sistema socio-culturale albanese, dove la famiglia è vissuta come un clan molto chiuso, in cui la donna vive una condizione di totale sottomissione. «Settimane fa due ragazze adolescenti hanno trascorso la notte fuori casa», continua Elena. «Le loro famiglie, sopraffatte dalla vergogna di quella che, in fondo, era stata solo una disobbedienza puerile, le hanno uccise. Quando capitano queste cose, è molto difficile rapportarsi a questa realtà: io ritrovo il coraggio giocando con i bambini. E pensando che con mio marito sto facendo qualcosa per cambiare le cose, per lasciare una piccola traccia». E dopo, che farete? «Questa domanda ce l?ha posta anche il nostro presidente, Marco Griffini, quando ci siamo seduti la prima volta davanti a lui. Ma perché decidere adesso? Il mondo della cooperazione ci ha conquistati, la ?mission? dell?organizzazione combacia perfettamente con i nostri ideali. Ogni giorno, sul campo, ritroviamo la carica per andare avanti. Siamo felici e abbiamo anche voglia di allargarci. Perciò, la risposta è: dipende da quanto saremo cambiati tra due anni!».

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