Guerre

«Il simbolo della Croce Rossa ora è un bersaglio, spesso prevale l’odio»

Il presidente della Croce Rossa Italiana, Rosario Valastro, parla in occasione del 160esimo anniversario della prima Convenzione di Ginevra. Sale la tensione tra gli operatori sanitari e umanitari che intervengono nelle zone di guerra, esposti a rischi sempre più evidenti nonostante la loro neutralità

di Luigi Alfonso

«Nel conflitto ucraino e in Medio Oriente, così come in tutte le guerre in corso, a pagare il più caro prezzo sono la popolazione civile, gli operatori umanitari e il personale sanitario impegnati quotidianamente sul campo. Ogni giorno la dignità umana viene violata. Le atrocità a cui assistiamo ci lasciano attoniti perché antepongono all’umanità un odio e un’acredine così forti da cancellare ogni forma di rispetto per il prossimo, per la vita». Così il presidente della Croce Rossa Italiana, Rosario Valastro, in occasione del 160esimo anniversario della prima Convenzione di Ginevra.

«Proprio la vita di ogni donna, uomo, bambina e bambino, è sacra e va tutelata», prosegue Valastro. «Ce lo ha insegnato il nostro fondatore, Henry Dunant, e lo ha ribadito con forza la comunità internazionale il 22 agosto del 1864, con la firma della prima Convenzione di Ginevra, testo che gettò le basi del Diritto internazionale umanitario contemporaneo. A 160 anni di distanza da quel giorno storico che portò all’attenzione del mondo un documento rivoluzionario, le crisi umanitarie in essere sembrano rimettere in discussione valori imprescindibili. Garantire neutralità e protezione alle ambulanze e agli ospedali, al personale e al materiale sanitari, a prescindere dagli schieramenti, proteggere la popolazione civile, riconoscere nel nostro emblema un simbolo di protezione e neutralità: tutto questo non può e non deve essere cancellato dalla violenza. La tutela dei civili, degli operatori umanitari e del personale medico, devono essere garantiti. Se è vero che la storia insegna ad imparare dal passato, i conflitti di oggi ci impongono di riflettere sul presente. La missione di tutti noi, oggi, è quella di gridare al mondo intero con ancora più forza che l’Umanità non può e non deve mai essere messa in discussione».

Rosario Valastro, presidente della Croce Rossa Italiana

Le guerre esistono da sempre. Ma, sino a poco tempo fa, c’era per lo meno il rispetto dei soccorritori, un valore che oggi viene spesso a mancare. Che cosa è accaduto nel frattempo? «Vorrei poter dare una risposta esaustiva, ma non è affatto semplice», commenta il presidente della Cri. «Viene comunque da chiedersi che cosa abbia portato a questo processo di disumanizzazione. L’enorme mole di lavoro svolta oltre un secolo e mezzo fa, in preparazione alla formulazione del testo della prima Convenzione, si basò proprio sull’opera di umanizzazione in ambito internazionale. Quello strumento di diritto internazionale poneva le basi non tanto sulle questioni di carattere economico piuttosto che di confini o trattati di pace, bensì aveva a cuore la dignità dell’essere umano nella condizione in cui esso viene maggiormente messo in pericolo, ovvero la guerra. In quella Convenzione veniva posto un limite preciso: la guerra deve risparmiare tutto ciò che non rientra negli obiettivi specifici, vale a dire la popolazione civile e coloro che portano soccorso».


«I compleanni sono sempre un evento positivo, dovrebbero portare felicità. Stavolta, però, questo anniversario nasconde un retrogusto amaro», commenta Valastro. «Intendiamoci: 160 anni costituiscono sempre un traguardo importante, tuttavia non possiamo fingere che le cose vadano bene. Ci sono aspetti che ancora non sono stati codificati, per esempio la questione della neutralità dei feriti. Ma non solo non siamo andati avanti, siamo pure riusciti a tornare indietro, con un processo di disumanizzazione molto accelerato negli ultimi 20 anni. Oggi sembra che si voglia riprendere quel vecchio adagio, “in amore e in guerra tutto è concesso”. Questo, fondamentalmente, mette in pericolo tutte le conquiste di carattere umanitario che ci sono state. Nessuna conquista su diritti e libertà è definitiva, va sempre difesa, alimentata. Dalla guerra in Siria in poi, da più parti non sono stati risparmiati gli operatori sanitari impegnati sul campo. Questo è diventato normale, non crea più scandalo. Qualcuno è arrivato pure a dire che sono questioni da tribunale».

Rosario Valastro visita un ospedale da campo

Così, giorno dopo giorno, gli attacchi alle popolazioni inermi, alla Croce Rossa, agli edifici scolastici piuttosto che alle chiese o moschee, agli ospedali e ai monumenti o alle opere d’arte, avvengono regolarmente. «Non solo: non costituiscono più notizia e neppure motivo d’indignazione. Sì, certo, in molte città del mondo si sono registrate manifestazioni civili di protesta, ma si può e si deve fare molto di più. Tutti: società civile, media e associazionismo. Noi abbiamo preso come impegno quello di andare a diffondere le norme di diritto internazionale e umanitario addirittura nelle scuole elementari. Bisogna ripartire dalle basi del cittadino del domani. Ma occorre un lavoro più ampio che coinvolga l’intera opinione pubblica, in modo che i governi sentano la pressione della gente comune, la voce forte che dia un preciso indirizzo politico. Per difendere le conquiste fatte, bisogna conoscerle. C’è un’alimentazione del concetto di nemico, ma anche una misconoscenza sempre più elevata di questi strumenti di diritto internazionale. Sembriamo tornati ai primi dell’Ottocento, quando ancora non venivano impiegati tutti gli strumenti di cooperazione che possono prevenire queste sofferenze smodate».

A ottobre si terrà la Conferenza internazionale delle società di Croce Rossa, un organo paritetico che si riunisce ogni quattro anni. Al suo interno vede, oltre al Comitato internazionale, i rappresentanti di tutte le 191 società nazionali di Croce Rossa e Mezza Luna Rossa, nonché tutti gli Stati firmatari delle Convenzioni di Ginevra. «Da tempo stiamo lavorando a una serie di documenti preparatori, e anche qui si nota la difficoltà nel pervenire a un testo condiviso e gradito a tutti, oltre che nel portare avanti e riaffermare dei concetti che, dopo 160 anni e con altre conquiste ottenute nel frattempo, dovrebbero essere evidenti», sottolinea ancora Valastro. «Questo perché ci sono Paesi che cercano di tirare sempre più i remi in barca sotto il profilo dell’umanitarismo moderno. Comunque non dispero, sono moderatamente ottimista. Ma c’è chi ti dice apertamente: accettiamo (a malapena, oserei dire) le norme che sono state scritte in passato, non ne vogliamo altre».

La Croce Rossa italiana è presente in tante zone di guerra, compresa l’Ucraina e la Palestina. Con quale spirito stanno lavorando gli operatori? «La paura c’è sempre stata e sempre ci sarà, ma lo spirito è quello di difendere qualcosa in cui si crede. Gli operatori umanitari e sanitari che si muovono in zone di conflitto o di disastro, lo fanno con competenza e consapevolezza: intendo dire che, quando partono, sono consapevoli del pericolo ma anche del fatto che possono contare su un emblema che, in tutto il mondo, rappresenta fiducia e neutralità. Purtroppo non sempre questo accade, in una decina di casi abbiamo dovuto piangere i nostri colleghi morti. Al momento non ci ritroviamo nelle condizioni di richiamare i nostri operatori per motivi di sicurezza. Gli ideali hanno una grossa forza nell’atteggiamento delle persone, che comunque sono molto provate. Quando lo scorso giugno, a Solferino, abbiamo avuto la gradita sorpresa della visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel mio saluto ho richiamato appunto questi concetti, sottolineando che gli operatori non sono bersagli. Mi hanno raccontato che, a queste parole, moltissimi volontari presenti (anche di altre organizzazioni) si sono commossi. Denota la grande tensione che c’è in questo periodo storico. Viene messo in dubbio un lavoro molto importante che in alcune aree la Croce Rossa svolge da decenni. E questo può essere spazzato dall’oggi al domani. Abbiamo visto le foto degli operatori della Mezza Luna rossa che sono stati uccisi in Medio Oriente e ci hanno colpito enormemente, perché erano come fratelli per noi».

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