Sistema Italia

Integrare i migranti fa bene all’economia: lo dicono i fatti (oltre che Panetta)

Cleophas Adrien Dioma, executive president di “Italia Africa Business Week”, plaude alle parole del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, che al Meeting di Rimini misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari

di Luigi Alfonso

«Per ridurre gli squilibri demografici, una risposta razionale può essere l’introduzione di misure che favoriscano l’ingresso di lavoratori stranieri regolari». La riflessione non proviene da un’associazione di immigrati bensì dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta. Intervenuto al Meeting di Rimini, parlando di “Sostenibilità del debito, sviluppo e sviluppo economico”, Panetta ha poi aggiunto che «le proiezioni demografiche indicano che nei prossimi decenni si ridurrà il numero di cittadini europei in età da lavoro e aumenterà il numero degli anziani. Questa dinamica rischia di avere effetti negativi sulla tenuta dei sistemi pensionistici, sul sistema sanitario, sulla propensione a intraprendere e a innovare, sulla sostenibilità dei debiti pubblici. Misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari, costituiscono una risposta razionale sul piano economico, indipendentemente da valutazioni di altra natura. L’ingresso di immigrati regolari andrà gestito in maniera coordinata all’interno dell’Unione europea, bilanciando le esigenze produttive con gli equilibri sociali e rafforzando l’integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavoro».

«Fa piacere che queste parole provengano da un’istituzione come la Banca d’Italia», commenta Cleophas Adrien Dioma, una delle voci più ascoltate della diaspora africana, imprenditore, executive president di “Italia Africa Business Week” e consulente esperto di migrazione e sviluppo. «Sono considerazioni importanti, anche se potrebbero apparire banali o scontate, ma invece non lo sono. Da tanto tempo si sa benissimo che alcuni lavori in Italia sono svolti prevalentemente da immigrati. Lo sa anche quella parte politica che, per motivi elettoralistici, ha bisogno di parlare alla pancia dei propri sostenitori. Se non ci fossero i migranti, molte imprese avrebbero chiuso i battenti. Io abito da vent’anni a Parma e posso garantirvi che anche prodotti rappresentativi del made in Italy, come il Parmigiano Reggiano e il Prosciutto di Parma, vedono tantissimi africani e asiatici impiegati nelle fabbriche. Persino tanti musulmani che, lasciando da parte gli integralismi, lavorano la carne di maiale perché si tratta pur sempre di lavoro. E lavorare è importante per loro e i familiari. La religione non c’entra niente».


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Dioma sottolinea poi che «anche in territori come il Bresciano e il Veneto, dove è radicata una certa forza politica, gli imprenditori sono consapevoli dell’importanza della forza lavoro che arriva da Africa e Asia. Gli esperti del sistema bancario nazionale hanno rilevato questo aspetto, ora è auspicabile che le associazioni imprenditoriali inizino a dialogare con le istituzioni, soprattutto con la politica, facendo capire loro quanto sia importante lavorare in questa direzione. Avere un clandestino è sempre un problema, lo capisco benissimo: se accade qualcosa, non si sa che cosa farne. Perciò occorre trovare soluzioni praticabili. Che non significa regolarizzare i delinquenti: nessuno di noi si sognerebbe di fare richieste del genere. Piuttosto, significa dare la cittadinanza a chi, di fatto, vive e lavora in Italia da due o tre anni, magari pagato in nero. Parliamo probabilmente di 20mila persone, a fronte di cinque milioni di immigrati regolari».

L’Italia è ancora un Paese appetibile? «Parlo per me e dico che è un Paese super appetibile, perché qui ancora non si vivono situazioni gravissime di razzismo», spiega Dioma. «Ci sono episodi molto spiacevoli, certamente, ma la maggioranza degli italiani accoglie con grande senso di ospitalità coloro che arrivano dall’estero, senza distinzioni. Molti di noi sono nati qui, dunque non possono essere considerati stranieri; altri vivono in Italia da venti-trent’anni, e molto probabilmente qui moriranno. Bankitalia conosce benissimo la situazione economica di questo Paese e sa perfettamente che gli immigrati non solo contribuiscono a tenere in vita le fabbriche del Nord, il vero motore dell’economia italiana, ma qui pagano le tasse, qui acquistano e consumano prodotti e servizi, portano un contributo di cultura non indifferente. Noi paghiamo l’affitto, andiamo al supermercato, usiamo l’automobile e compriamo il carburante necessario, esattamente come fanno tutti gli italiani. Dunque, siamo parte integrante di questa comunità e partecipiamo alla vita politica, culturale e sociale del Paese. Ci sono tanti territori spopolati, e molte famiglie italiane non fanno più figli, credo perciò che possiamo dare il nostro onesto contributo. Lo sanno anche quei politici che parlano degli immigrati come se fossero tutti clandestini e delinquenti. Se vuoi avere i voti per governare, devi attribuire a qualcuno la colpa di ciò che non funziona. La paura convince molti elettori, e questo lo comprendo. Ma coloro che hanno beneficiato delle precedenti sanatorie per essere regolarizzati, lavorano quasi tutti nelle fabbriche del Nord Italia. Perché chi esce dal Senegal, dal Burkina Faso o dallo Sri Lanka ha un progetto di vita, non desidera venire qua per lavorare in nero. Mettere a posto i documenti dei clandestini significa inserirli nel sistema sociale, culturale e lavorativo del Paese. Chi invece ha commesso dei reati, è giusto che venga rimpatriato. Chi non ha voglia di lavorare e spera di essere mantenuto, è una piccolissima minoranza».

«C’è bisogno di formazione, e bisogna dare le opportunità di integrazione a coloro che vengono in Italia: credo che spetti al governo italiano trovare una soluzione, nell’interesse della collettività, e ritengo che le associazioni di categoria possano dare un contributo di idee», prosegue Cleophas Adrien Dioma. «Selezioniamo nei Paesi d’origine i lavoratori che possono tornare utili al sistema produttivo italiano, facendo formazione mirata prima di giungere qui. I clandestini non li vogliamo neppure noi perché non aiutano nessuno. Se un giovane arriva dall’Africa o da un altro continente e si mette a spacciare droga, non solo commette un grave reato ma distrugge l’immagine che abbiamo costruito pazientemente in tanti anni di onesto lavoro e pacifica convivenza. Perché poi molta gente tende a fare di tutta l’erba un fascio, come si dice qui. Ma, lo ripeto, io qui mi sono integrato perfettamente, sono stato accolto benissimo e interagisco con tutti senza alcun problema. Certo, alcuni aspetti possono essere migliorati, ma in Italia non vedo le banlieue parigine o i ghetti di altri Paesi».


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