Parigi 2024

Pancalli: Paralimpiadi e Olimpiadi in un unico evento? Non siamo ancora pronti, ma ci arriveremo

Alla vigilia delle Paralimpiadi parla il presidente del Comitato Italiano Paralimpico. Il punto su impegni, nuove sfide e l'importanza del messaggio di cui sono portatori i nostri atleti: mettere le persone con disabilità nelle condizioni di esprimere le proprie abilità in ogni settore della vita

di Alessio Nisi

Paralimpiadi

Le Paralimpiadi portano con sé sempre una grande emozione. Sono queste le prime parole che Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico, dice a VITA: dietro l’angolo c’è Parigi: 4.400 atlete e atleti appartenenti a 185 comitati paralimpici nazionali che competeranno in 549 eventi medaglia. «Credo di poter condividere questo sentimento con il primo e l’ultimo dei componenti della delegazione, con gli atleti in primo luogo. Senza dimenticare i tecnici e tutti coloro che hanno garantito la qualificazione delle nostre atlete e dei nostri atleti. Non ultimo naturalmente i dirigenti sportivi che hanno lavorato per questa sfida».

Paralimpiadi
Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico

Dunque la sfida. Sullo sfondo ci sono le 69 medaglie portate a casa a Tokyo nel 2021 (14 ori, 29 argenti, 26 bronzi), e l’impegno di dover e poter fare meglio. Nell’occhio di bue, dal 28 agosto all’8 settembre, ci sono i nostri 141 atleti, impegnati in 17 discipline. «La squadra più ampia di sempre, Con una quasi equipollenza fra atleti ed atlete», spiega Pancalli. «E 52 esordienti. Il risultato del nostro lavorare sul presente sì, ma proiettati nel futuro». Già, presente e futuro. Tra agonismo e promozione dello sport di base, con il presidente proviamo a saltare oltre. Un evento olimpico e paralimpico insieme è pensabile?

Presidente Pancalli, che sfida ci attende a Parigi?

Una sfida complicata. Veniamo da Tokyo, dove facemmo registrare il miglior risultato di tutti i tempi, fatta eccezione per i primi Giochi paralimpici nel 1960, che non è paragonabile né per numero di atleti né per numero di paesi presenti (all’epoca soltanto 23 paesi e 400 atleti), L’asticella con Tokyo si è alzata tantissimo e le 69 medaglie sono un record storico. Siamo consapevoli di essere chiamati a fare i conti con il livello dimostrato, ma anche che ogni Paralimpiade fa storia a sé e che le sorprese sono sempre molto frequenti.

Ci sono gare che ha segnato in agenda e che proprio non vorrebbe perdere? 

Vivo  il momento dei Giochi paralimpici con lo spirito dell’atleta che sono stato, con la curiosità della partecipazione e dell’emozione per qualsiasi sport e disciplina e qualsiasi atleta riesce a regalare. Tenterò di essere ovunque. Certo ci sono delle discipline dove è difficile non essere presente: mi riferisco al nuoto e all’atletica, ma senza dimenticare la scherma, il tiro con l’arco, il canottaggio.

Alla cerimonia di apertura ci sarà anche il presidente Mattarella…

Mi ha colpito l’attenzione, la volontà e affetto con il quale il Presidente ha seguito sempre il movimento paralimpico. Tutta la delegazione gli è fortemente riconoscente. 

Come è cresciuto il mondo paralimpico in questi anni?

Tokyo è la tappa di un percorso che abbiamo intrapreso da due decenni. La Federazione pone la massima cura perché le federazioni siano messe nelle migliori condizioni possibili nel preparare i loro atleti. C’è la massima attenzione nei confronti dell’atleta, che va messo al centro, con le proprie esigenze, le proprie necessità e difficoltà.  Si è inoltre portata a compimento in questi anni l’arruolamento e l’assunzione dei ragazzi nei corpi dello stato nel gruppo paralimpico della Difesa: un elemento di grande novità e importanza sotto il profilo politico culturale, oltre che per gli atleti in termini di sostegno. Abbiamo proseguito in questa scia, mai dimenticando l’altra parte della nostra azione, la promozione.

Ci spieghi…

Abbiamo continuato a curare la parte tecnica agonistica di alto livello, ma anche a promuovere lo sport attraverso i campus di avviamento agli sport, sia estivi che invernali per cercare di diffondere sempre più il diritto allo sport.

Non può esistere un vertice senza una base. Non bisogna mai dimenticare che lavorare per l’uno non significa non a guardare con attenzione anche all’altra.

Lo sport di base…

Non può esistere un vertice senza una base. Non bisogna mai dimenticare che lavorare per l’uno non significa non a guardare con attenzione anche all’altra. Proprio in relazione all’importanza di curare la base, abbiamo da un po’ di anni a questa parte organizzato e continuiamo a organizzare i campus per l’avviamento agli sport estivi invernali attraverso bandi pubblici ai quali possono aderire persone con disabilità. Garantiamo anche la presenza di un familiare per i minori o per persone che hanno una particolare gravità. La consapevolezza di essere portatori sani di un diritto allo sport, come qualsiasi altro cittadino questo Paese, passa proprio attraverso il coinvolgimento delle famiglie. Stiamo continuando a lavorare con grande attenzione anche nelle unità spinali, nei centri di riabilitazione e di protesizzazione dove avviene l’incontro tra la nuova vita di un ragazzo e una ragazza che ha avuto un trauma che gli ha determinato una disabilità e l’incontro con la conoscenza delle opportunità che ti può offrire il mondo dello sport. È un lavoro all’unisono su due binari paralleli, che devono portare al medesimo obiettivo. 

Secondo lei lo sport paralimpico cosa può insegnare allo sport dei normodotati?

Non ci sono due mondi nello sport, che è così come lo si vive, lo si interpreta e come si vuole praticare. Non abbiamo nulla da insegnare. Abbiamo solo necessità di contaminazione l’un l’altro. È insieme che si può rendere tutto lo sport italiano sempre più penetrante rispetto alla pratica dei cittadini. Abbiamo un mondo olimpico (e taccio sul quello paralimpico perché sono scaramantico) che raggiunge risultati stratosferici e vince medaglie. Faccio i complimenti al presidente Giovanni Malagò, al capo missione Carlo Mornati e a tutte le Federazioni. Ma siamo anche uno dei paesi in Europa con il più alto tasso tasso di sedentarietà. Soltanto insieme possiamo fare la differenza.

Non ci sono due mondi nello sport, che è così come lo si vive, lo si interpreta e come si vuole praticare. Non abbiamo nulla da insegnare. Abbiamo solo necessità di contaminazione l’un l’altro.

In un’ottica di contaminazione ancora più spinta, Pancalli non è venuto il momento di un unico appuntamento olimpico, con un unico medagliere, mantenendo certo le specificità tra atleti?

È un’ipotesi suggestiva e non so se prima o poi ci si arriverà. Ritengo che però ci siano degli aspetti da affrontare in maniera molto seria. Primo tra tutti, l’aspetto culturale. In un’eventuale grande kermesse olimpica e paralimpica insieme quale evento avrebbe maggiore visibilità? Ci si potrà arrivare quando il terreno sarà sufficientemente seminato e anche quando il mondo dei media saprà guardare senza alcuna differenza. Oggi che mi sembra di poter constatare con grande franchezza che non è così. Il secondo problema è logistico. Non tutti sanno che i 15 giorni che intercorrono tra Olimpiadi e Paralimpiadi servono al comitato organizzatore (che normalmente è lo stesso) per adattare e trasformare le strutture. Infine il terzo problema. Credo che le Paralimpiadi siano il più grande evento mondiale nel quale si lancia un messaggio: oltre a quello di portare gli atleti a vincere medaglie, il messaggio è facciamo contaminazione. 

Più precisamente?

Il mondo dello sport paralimpico è quel luogo dove le persone con disabilità vengono portate a guardare a ciò che hanno e non a ciò che hanno perso. Così facendo, quello che hanno lo trasformano, attraverso la passione e l’allenamento, in abilità per raggiungere risultati straordinari. Questo è il paradigma che vorremmo si applicasse nella quotidianità in tutti i paesi al mondo: mettere le persone con disabilità nelle condizioni di esprimere le proprie abilità in ogni settore della vita. Lo sport paralimpico a livello mondiale vuole lanciare questo messaggio da un palcoscenico unico ed esclusivo. In una kermesse più ampia perderebbero forse quell’occhio di bue che meritano.

In apertura (i due portabandiera del gruppo azzurro, Ambra Sabatini, atletica, e Luca Mazzone, ciclismo) e nel testo foto di Ufficio Stampa Comitato Italiano Paralimpico

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