Il nodo cittadinanza

Ius scholae? Nei fatti nelle scuole italiane esiste già

Per Paolo Limonta, maestro elementare e presidente del Centro Italiano Aiuti all'Infanzia - Ciai, la scuola è già pronta per una una legge che renderà "legale" una situazione di rispetto per i diritti di tanti ragazzi che nelle nostre aule è già un fatto acclarato e una prassi quotidiana

di Alessio Nisi

scholae

Le medaglie portate in Italia da ragazzi con background migratorio nel corso delle Olimpiadi di Parigi 2024 hanno riaperto la strada alla discussione sulla cittadinanza. Un tema che riguarda oltre 300mila dei 914.860 alunni che studiano in Italia e non hanno ancora compiuto 17 anni (i numeri sono frutto di uno studio di Openpolis su dati Istat): bambini e adolescenti italiani di fatto, ma non di diritto. Si attende da anni una legge che riconosca piena cittadinanza ai ragazzi nati in Italia o che studiano in Italia e da qui le diverse proposte per riconoscerne il diritto.

A cominciare dallo ius soli attraverso cui si darebbe la cittadinanza italiana per il diritto di essere nati sul territorio dello stato, mentre attraverso il principio dello ius sanguinis verrebbe concessa per discendenza o filiazione. Lo ius culturae approvata dalla Camera nell’ottobre del 2015 è fermo al Senato dal 2017 prevedeva l’ottenimento della cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia, o entrati entro il dodicesimo anno di età, che abbiano “frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali”, conclusi con la promozione. Protagonista del dibattito, lo ius scholae legherebbe invece l’acquisizione della cittadinanza al compimento di un ciclo di studi. 

In classe

«Ho una classe di 24 bambini, di cui 16 hanno genitori stranieri. Inizieranno a settembre la terza elementare. Giudico irrispettoso che bambini con genitori stranieri nati in Italia e cresciuti in Italia debbano perdere almeno un giorno di scuola all’anno per andare in questura a rifare il permesso di soggiorno», interviene Paolo Limonta, maestro elementare dell’Istituto Comprensivo Statale Francesco Cappelli del parco Trotter in viale Monza a Milano, e presidente del Centro Italiano Aiuti all’Infanzia – Ciai.

Lo ius soli

«Sono molto contento», aggiunge, «quando si riaprono le discussioni sulla possibilità di avviarci verso la strada per diventare un paese veramente civile. Certo, penso che in Italia debba essere approvato lo ius soli», sottolinea, «perché credo che i bambini e le bambine che nascono in Italia automaticamente devono diventare cittadini italiani. Ovviamente, se la riapertura della discussione sullo ius scholae può agevolare un percorso che rispetti i diritti delle bambine e dei bambini, credo che vada assolutamente preso in considerazione». 

La scuola è già pronta

Già, ma se con lo ius scholae il focus sulla cittadinanza si sposta sulla scuola, forse la domanda da porsi è: la scuola è pronta? È in grado di fare vera inclusione? Può sopportare il peso di questo passaggio? Per Paolo Limonta, la scuola è «una fotografia avanzata nella realtà» ed «è prontissima. Nella scuola è già in vigore lo ius scholae perché non c’è nessuna differenza tra bambini italiani e bambini con genitori stranieri. La scuola italiana», spiega, «lavora per creare delle comunità che fotografano la situazione del territorio. La scuola» aggiunge, «non solo è già pronta. la scuola ha già provato questa legge» che «renderà reale una situazione che esiste già». Lo Stato, spiega ancora, «dovrebbe anche per questo motivo rimettere la scuola al centro della propria politica e definire una politica scolastica che la consideri l’evoluzione della società e la crescita delle cittadine e dei cittadini uno degli elementi più importanti del Paese».

I numeri

I ragazzi che beneficerebbero dello ius scholae vivono soprattutto nell’Italia settentrionale (14% nel Nordest e 15% nel Nordovest rispetto al totale degli studenti). Proporzionalmente si concentrano in regioni come la Lombardia, dove si raggiunge il 25% (più di 70mila ragazzi). Sommati a quelli di Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna e Lazio, si arriva al  68% dei potenziali aventi diritto.

E gli italiani che ne pensano? Il 59% delle persone intervistate da Youtrend si dice a favore della proposta di legge. Con il 53,92% di sentiment positivo, gli italiani sui social network si dichiarano favorevoli allo Ius Scholae, secondo poi uno studio condotto in esclusiva per l’Adnkronos da Vis Factor. «Sono fiducioso. Credo che le persone siano più predisposte» spiega Limonta a proposito dello ius scholae, «e penso che abbia fatto il suo tempo la diffusione da parte della politica di paure e preoccupazioni legate agli immigrati».

Il futuro del Paese

Gli italiani, spiega il maestro elementare, vivono in quartieri insieme a migliaia e migliaia di persone che sono arrivati da altri paesi, che vivono qui, lavorano qui, «fanno figli qui in Italia e fanno parte di quel tessuto che garantirà il futuro di questo Paese». Chi nega un orizzonte in cui vivono «assieme alle bambine e ai bambini italiani migliaia e migliaia di bambine e bambini con genitori non italiani è ancorato al passato. Credo che la maggior parte delle persone oggi sia molto consapevole di questa cosa e che quindi sia disposta ad appoggiare le opzioni politiche che rispettino questo tipo di percorso».

Verso la normalità

Certo, per Limonta la risposta più adeguata sarebbe lo ius soli. «I bambini che nascono in Italia devono essere considerati da subito cittadini italiani: questa sarebbe la normalità in un paese moderno e democratico. Se l’approvazione dello ius scholae ci può portare verso questa normalità, ben venga questa prima fase di normalizzazione».

In apertura foto di Pixabay

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