È una delle più grandi campionesse italiane di equitazione paralimpica di tutti i tempi, Sara Morganti. Parteciperà alle sue quarte Paralimpiadi, che si svolgeranno dal 28 agosto all’8 settembre a Parigi, insieme alla sua cavalla Mariebelle. 48 anni, originaria di Barga, in provincia di Lucca, Morganti vive e si allena a Pisa. «Inizia a farsi sentire l’emozione. Finora sembrava lontano l’inizio delle Paralimpiadi, ora mancano pochi giorni. È un’emozione veramente grande. Ci prepariamo quattro anni per quest’evento, investiamo tanta energia».
Morganti, come sono andate le altre tre Paralimpiadi?
Nella prima Paralimpiade, su tre gare, il miglior risultato che ho ottenuto è stato il quarto posto. Nella seconda, a Rio de Janeiro, la cavalla non è entrata in campo gara; i giudici, il giorno precedente la competizione, guardano tutti i cavalli per verificare che abbiano l’idoneità fisica per competere, la mia cavalla non trottò benissimo e decisero che non potevo partecipare, per me è stato un durissimo colpo. A Tokyo sono arrivata terza nella prova individuale tecnica e terza nella prova freestyle. Le Paralimpiadi sono un sogno: quando sei lì ti rendi conto che stai realizzando un sogno e quando sono finite ti sembra di aver vissuto un sogno. Rimane una dimensione un po’ eterea.
Con che spirito parte per Parigi?
Da un lato non vedo l’ora perché ho aspettato tanto e sarà una Paralimpiade particolare: le gare si svolgeranno nella reggia di Versailles, in un contesto veramente incredibile. Partecipare in un luogo così iconico è da sogno. Ho tanta emozione e speranza di far bene. Andrò con la cavalla più giovane, Mariebelle. Con l’altra cavalla ho fatto tantissime gare in più di 10 anni, forse mi dava più sicurezza, ma Mariebelle potenzialmente potrebbe avere un po’ di qualità in più: è stata una scelta molto difficile perché entrambe hanno fatto benissimo quest’anno nelle gare. Con Mariebelle ho conquistato l’oro nel freestyle dell’Europeo di Riesenbeck. il 23 agosto andrò in raduno con i miei compagni di squadra, il 28 partiremo per Parigi per partecipare alla cerimonia di apertura. Ormai ci siamo, inizio ad essere molto agitata.
La passione per i cavalli risale alla sua infanzia. Le va di raccontarci?
Ho iniziato equitazione a 13 anni, montava mia sorella maggiore e mi sono innamorata di questo sport. Al momento della diagnosi di sclerosi multipla, uno dei miei più grandi timori iniziali è stato dover rinunciare a questo sport, che è un po’ più di uno sport perché contempla la presenza di un altro essere vivente con cui instauri un rapporto molto stretto. È chiaro che, anche se non monti, puoi goderti comunque il rapporto con un cavallo. Ma io ero un agonista, facevo gare, quindi avevo paura di non poterle più fare.
Quando ha avuto la diagnosi di sclerosi multipla?
La diagnosi di sclerosi multipla è arrivata quasi 30 anni fa, avevo 19 anni. Al tempo si pensava che con la sclerosi multipla lo sport fosse una cosa da non fare, che potesse essere dannoso. C’era l’idea che l’importante era cercare di ridurre la progressione della malattia riposando tanto e facendo una vita molto contenuta. Quindi è stata una delle mie prime domande: «Potrò sempre fare le gare?». La dottoressa mi rispose che avrei dovuto valutare io i pro e i contro. All’inizio è stata molto dura. Ero molto giovane, avevo paura di non poter fare questo sport come qualsiasi altro progetto importante. Eravamo in un momento in cui internet era proprio agli inizi, le informazioni circolavano molto lentamente e soprattutto per via cartacea. Ed era anche difficile averle, era complicato addirittura capire cosa fosse la sclerosi multipla. Per fortuna, in tutti questi anni, sono state create molte più cure che servono a contenere l’evoluzione della malattia, in certi casi addirittura a fermarla. Io purtroppo al tempo non ho potuto fare le cure.
Com’è stata l’evoluzione della sua malattia?
La mia sclerosi multipla si è evoluta tanto. Una volta che ci sono danni a livello del sistema nervoso centrale non possono essere sanati. Per chi ha una diagnosi oggi, per fortuna, ci sono tante possibilità di terapie. Dopo poco più di due anni dalla diagnosi, ho iniziato ad avere problemi di deambulazione, nel ’98 ho avuto un peggioramento ulteriore e da lì ho dovuto iniziare ad usare la sedia a rotelle, non riuscivo più a deambulare autonomamente, se non per brevissimi tratti all’epoca, ora per nulla.
Visto che il dolore è diventato (ahimè) un mio compagno di vita, ho deciso che avrei continuato almeno a fare la cosa che amavo tanto: il mio sport
Ha dovuto iniziare a praticare l’equitazione in un modo nuovo.
Ho dovuto reimparare a montare, a comunicare con il cavallo tramite delle strade alternative per raggiungere il medesimo obiettivo di prima che è quello di portare a termine una ripresa di paradressage. Ho imparato ad usare delle vie di comunicazioni differenti rispetto a prima. “Dare gamba” è una delle principali frasi che si sente dire da un istruttore a un allievo. Non avendo forza nelle gambe, dovevo trovare un’alternativa per dire al cavallo di procedere, andare avanti, di lato e altro. Ho iniziato ad usare due fruste, gli appoggi al posto della gamba. Bisogna educare il cavallo a capire che l’appoggio della frusta serve per dare l’indicazione di spostarsi da una parte piuttosto che dall’altra.
E sono iniziati i successi.
Nel 2005 ho scoperto l’esistenza dell’equitazione paralimpica, della disciplina paradressage, da lì è partito tutto. Ho fatto i campionati italiani, poi mi sono fermata nel 2007 e 2008 perché è comparso il dolore neuropatico cronico dovuto alle lesioni midollari. Il dolore era tale che speravo che, fermandomi, potesse scemare, invece no. Non dipende da quello che fai, ma dal danno al sistema nervoso centrale. L’amore per i cavalli mi fa andare oltre la sclerosi multipla. Visto che il dolore è diventato (ahimè) un mio compagno di vita, ho deciso che avrei continuato almeno a fare la cosa che amavo tanto: il mio sport. Se dovevo comunque avere dolore, tanto valeva che almeno facessi quello che volevo.
Poi ha avuto inizio la carriera internazionale.
Nel 2009 ho iniziato la carriera internazionale e sono arrivate tante soddisfazioni. Tra queste: quattro ori e due argenti mondiali; un oro, due argenti e quattro bronzi europei; due medaglie di bronzo alle Paralimpiadi di Tokyo; 34 campionati italiani assoluti. In quasi tutte le gare internazionali che ho disputato, sono riuscita a portare a casa o una vittoria o un piazzamento.
Lei si presenta a queste Paralimpiadi da seconda nella ranking mondiale assoluta di paradressage, è la campionessa mondiale in carica.
Questo non mi fa andare a cuor leggero a Parigi. Mi sento un po’ di pressione, il peso delle aspettative lo sento tanto.
La Paralimpiade è l’unico luogo al mondo in cui tanti paesi riescono a stare in pace insieme
È la sua quarta esperienza. Com’è vivere le Paralimpiadi insieme ad atleti italiane di tante altre discipline e con atleti di tutto il mondo?
È incredibile, una cosa meravigliosa. A partire dalla cerimonia di apertura fino alla quotidianità nel Villaggio paralimpico, dove stanno solo gli atleti con lo staff. La famiglia non è con noi, la famiglia diventa la tua squadra, la tua nazione. Sei in un luogo in cui tutti sono accomunati dalla stessa passione per lo sport, dalla stessa forma mentis: praticare uno sport paralimpico a questi livelli è una scelta di vita a tutti gli effetti, che coinvolge anche chi ti sta vicino. Per arrivare alle Paralimpiadi devi essere il massimo possibile, a livello di risultati e come atleta. Quindi, bisogna lavorare tantissimo, con grandi sacrifici, zero ferie, niente distrazioni. Quando sei lì, con tutte queste persone e i colori delle varie nazioni, capisci che la Paralimpiade è l’unico luogo al mondo in cui tanti paesi riescono a stare in pace insieme. Mi sembra un risultato incredibile. È una condivisione bellissima. Riusciamo ad avere il tempo e il modo di conoscerci meglio, noi atleti italiani di sport differenti. Durante l’anno ci vediamo con i compagni della nostra disciplina, nelle gare importanti. Invece durante le Paralimpiadi viviamo e mangiamo tutti insieme, condividiamo le gioie dei risultati dei nostri compagni di squadra, quando dico “di squadra” intendo italiani di tutte le discipline sportive.
Il movimento paralimpico è in crescita, la squadra olimpica a Parigi 2024 conta 141 atleti, non ce ne sono mai stati così tanti nella squadra paralimpica italiana. Quanto è importante dare visibilità a un evento come le Paralimpiadi?
È importantissimo. Una delle cose più importanti della pratica dello sport paralimpico è che possa essere accessibile agli altri. È fondamentale la conoscenza, la condivisione proprio perché si spera che un ragazzino con una disabilità venga a scoprire che può praticare uno sport piuttosto che un altro, che può gareggiare e può partecipare alle Paralimpiadi che sono il massimo, ovviamente come per i colleghi delle Olimpiadi c’è un processo di selezione. Quello che voglio dire è che un ragazzino può sognare di andare un giorno, da grande, alle Paralimpiadi. O se no, può solo uscire di casa, provare a fare sport e divertirsi, senza avere mire agonistiche. Per me è importantissimo che possa essere fruibile la conoscenza della possibilità di fare sport paralimpico. Le gare di Parigi 2024 verranno tutte trasmesse da Raidue, le Paralimpiadi avranno una grande visibilità e questo è molto importante.
C’è molto bisogno di far conoscere gli sport paralimpici?
Moltissimo. Spesso i ragazzini con disabilità non conoscono le tante discipline che possono fare, neanche i genitori sanno che hanno la possibilità di portare i figli a fare tiro con l’arco piuttosto che nuoto paralimpico, equitazione o altro. Qualsiasi sia lo sport, l’importante è che i ragazzi escano, si divertano a giocare e a fare sport esattamente come i compagni delle discipline sportive olimpiche.
Una delle cose più importanti della pratica dello sport paralimpico è che possa essere accessibile agli altri
I premi in denaro per gli atleti paralimpici che vincono le medaglie d’oro, d’argento e di bronzo sono minori rispetto agli atleti olimpici medagliati. Cosa ne pensa?
C’è stato un aumento importante, dopo l’ultima Paralimpiade, ma non c’è stata l’equiparazione totale (mentre per gli atleti paralimpici italiani sono previsti premi in denaro di 100mila euro per l’oro, 55mila euro per l’argento e 35mila euro per il bronzo, gli atleti olimpici italiani ricevono 180mila euro per l’oro, 90mila per l’argento e 60mila per il bronzo, ndr). Una parte delle risorse economiche del Comitato italiano paralimpico viene investita per aiutare la base a crescere. È anche una scelta, la “coperta” è quella: la tiri da una parte e dall’altra e deve bastare. Sono stati aumentati i premi senza raggiungere quelli degli atleti olimpici per poter avere a disposizione i mezzi anche per chi inizia a praticare uno sport.
Con chi andrà a Parigi?
Verranno mia sorella Victoria, che è la groom, si occupa del cavallo. Verrà mio marito, che è il proprietario della cavalla. Verranno a vedermi anche mio fratello e la compagna. Sono terminati da tanto tempo i biglietti per assistere alle gare. Questo è molto bello.
Perché ha scelto di essere testimonial di Aism, Associazione italiana sclerosi multipla?
Da tantissimi anni sono in contatto con Aism. Conosco l’associazione, la stimo moltissimo anche per la diffusione della conoscenza della malattia, per il supporto nei confronti di chi ha appena avuto una diagnosi di sclerosi multipla: fornisce le informazioni sulle cure, sulle ricerche scientifiche. È un’associazione importante sia per i neo diagnosticati sia per chi, come me, convive con questa malattia da molto tempo. Ho deciso di essere testimonial Aism, di metterci la faccia per favorire la conoscenza dell’associazione e, quindi, dei servizi che offre alle persone con sclerosi multipla.
Sara Morganti gareggerà alle Paralimpiadi di Parigi il 3, 6 e 7 settembre.
Foto dell’intervistata (foto in apertura: premiazione campionati italiani 2023, con la cavalla Royal Delight – credit Marta Fusetti)
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.