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Borse, mondo distopico, dove Nvidia vale più del Pakistan
Usciamo da giornate in cui le quotazioni borsistiche internazionali hanno spaventato: per giorni, dal Nikkei a Wall Street, i titoli hanno perduto valore. E nessuno ha veramente capito perché. Ma la razionalità con questa finanza è merce rara
La Borsa è il regno dell’irrazionale. O almeno dell’incomprensibile.
In quel mondo accadono cose inspiegabili per i più, in cui trovare un meccanismo normale di causa-effetto diventa sempre più arduo. Prendiamo le recenti intemperanze delle Borse mondiali che hanno fatto temere un crollo epocale e lo scoppio di una nuova bolla finanziaria. Diciamolo, nessuno ci ha capito veramente nulla.
Il 6 agosto da Tokyo parte un’ondata di ribassi che, facendo perdere oltre il 12% alla piazza nipponica, si estende alle altre Borse mondiali. Allarme generalizzato, si teme un crollo del sistema, si scatenano gli analisti con le più disparate spiegazioni. Chi dice che si tratti di un fatto contingente interno alla Borsa di Tokyo: il rialzo dello yen frena la competitività dell’export nipponico e spinge gli investitori, costretti ad indebitarsi in yen per finanziare le loro “scommesse” (la Repubblica, 6.8.2024), a chiudere rapidamente le loro posizioni (sell-off, vendite a raffica).
Altri individuano la causa nella paura di un rallentamento dell’economia Usa, fino ad una possibile recessione (Dimon, ceo di JP Morgan, v. MilanoFinanza 9.8.2024). Mohamed El-Erian, capo consigliere economico di Allianz, società madre di Pimco di cui è stato ceo dal 2007 al 2014, dà questa possibilità di recessione al 35%, in base a cosa non è dato saperlo (Corriere della Sera, 6.8.2024). Sempre El-Erian incolpa la timida politica del presidente della Fed, Powell, che non si decide a tagliare il costo del denaro.
Lui definisce “insolito” un taglio di 50 punti base che pure è dato come assai probabile dai trader (al 90%!). Prevede un taglio del 25% da parte della Fed che, però, sarebbe «troppo dipendente dai dati. Manca un ancoraggio strategico e, come tale, la sua guida politica futura è stata caotica». Periodo confuso, difficile da comprendere, ma certo sembra ammettere che la politica incide sulla finanza ben più dei suoi meccanismi intrinseci. Poi dice che la Fed dovrebbe tagliare il costo del denaro del 75%, «ma a rischio di affrontare un nuovo problema di inflazione in futuro».
L’economia reale c’azzecca?
Ma cosa tutto questo abbia a che vedere con l’economia reale solo Dio può saperlo. Infatti, mentre accadeva tutto questo, si continuava a registrare la difficoltà della Germania, già motore dell’economia europea, e dei settori produttivi tradizionali (la fiducia degli imprenditori dell’automotive, registrata – chissà come – dall’indice Ifo, segnava un -18,3).
In un Paese nel quale il governo non riesce a rilanciare il Pil, nonostante i 100 miliardi di euro per gli armamenti insufflati nell’economia addirittura con una modifica della Legge fondamentale.
Dall’altro lato si è registrato un brevissimo periodo di alta volatilità a fronte di una fase prolungata di stagnazione dell’economia mondiale. Ma in tutto ciò i titoli delle hightech e delle società finanziarie sono in forte rialzo da diverso tempo, senza che di questo abbia beneficiato l’economia reale. Perché? È una condizione ordinaria del sistema finanziario quella di un suo netto distacco dall’economia reale? Certo è che i grandi titoli finanziari hanno drenato, concentrando, risparmio distogliendolo dall’economia reale. Vanguard, BlackRock e State Street hanno, da soli, 26mila miliardi di dollari di capitale dei 40mila complessivi delle prime 50 società al mondo.
Il caso Nvidia
È di pochi giorni fa la notizia del maggiore incremento di capitale registrato in un solo giorno da una società quotata: il record è di Nvidia, corporation americana del software e una delle più importanti società nel campo dell’Intelligenza artificiale con sede in California, con un aumento di capitale di 329 miliardi di dollari.
Ora 329 miliardi di dollari sono una cifra pari o superiore al Pil di 130 paesi del mondo nel 2023: per dire la Finlandia ha un Pil di 305 miliardi, il Pakistan (con 240 milioni di abitanti) di 310. Ma che effetto ha questa enormità di risparmio attratto da Nvidia, BlackRock, Vanguard, State Street e le altre sull’economia reale? Prendiamo due indicatori validi da questo punto di vista: forza lavoro impiegata e fatturato. Ebbene, se escludiamo Amazon che con 1.911 miliardi di capitale dà lavoro (poi ci sarebbe da discutere molto sulla qualità di quel lavoro…) a 1,6 milioni di persone, Ndvia con 2.664 miliardi di capitale ha appena 23mila dipendenti, Apple che è l’azienda prima al mondo per capitalizzazione (3.340 miliardi) ha appena 162.000 dipendenti, Meta con 1.255 miliardi ha 70mila dipendenti. Se poi guardiamo al fatturato, Apple registra 405 miliardi di dollari di fatturato, Microsoft con un capitale di 3.083 miliardi di capitale ha appena 212 miliardi di fatturato e la campionessa di capitalizzazione in un giorno solo, Ndivia, si ferma a 28 miliardi di fatturato.
Per i titoli tecnologici è sempre festa
Ora, il punto è tutto qui: a cosa serve tutto quel capitale improduttivo sotto il profilo dell’economia reale? Semplicemente a far crescere il valore finanziario delle società sulle Borse mondiali e, dunque, a far guadagnare gli azionisti. Per inciso, le azioni di Nvidia a Wall Street hanno fatto un balzo del 5% lunedì scorso. Apple negli ultimi cinque giorni di turbolenze dei mercati ha guadagnato il 3,09% sui mercati; Microsoft lo 0,46%; Alphabet il 3,18%; Amazon il 5,07%; Meta il 7,70%. Ecco, dunque, l’assurdità di questo mondo distopico che è la Borsa: l’economia reale, fatta di risparmio che confluisce in capitale delle imprese che dovrebbe servire a rendere solide le aziende che così possono produrre, creare lavoro dignitoso e prodotti utili per la prosperità della società, non solo è completamente distaccata dalla finanza, ma al contrario questa sfrutta il risparmio – cioè la base per un’economia sana e prospera – per concentrare ricchezza nelle mani di pochi, restituendo solo le briciole alla società da cui quel risparmio proviene.
Ecco, dunque, l’assurdità di questo mondo distopico che è la Borsa (…) sfrutta il risparmio per concentrare ricchezza nelle mani di pochi, restituendo solo le briciolo alla società da cui quel risparmio proviene.
Simone Siliani
Tutto ciò solo per aumentare, senza limiti, il valore (fittizio, cioè principalmente monetario) delle attività finanziarie. Non a caso sentiamo spesso parlare di bolle finanziarie, ma raramente di bolle economiche. L’economia è, in questo mondo assurdo, ancella della finanza e non il contrario, come invece sarebbe nella natura della finanza che, appunto, nasce per attivare, facilitare, muovere l’economia reale. E la politica, nel suo complesso, è al servizio di questo meccanismo, diventando il teatro dell’assurdo.
Simone Siliani è direttore della Fondazione finanza etica.
Nella foto in apertura, di Craig Ruttle per Ap Photo/LaPresse, la Borsa di New York.
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