Cinema

Scorsese, il regista che non ha mai perso la fede grazie al cinema

Dall'incontro tra Padre Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero vaticano per la Cultura, e il regista Martin Scorsese è nato il libro "Dialoghi sulla fede". Nel libro il regista si è soffermato sul ruolo della fede nella sua vita privata e professionale. I due ne hanno parlato insieme durante la scorsa edizione dell’Horcynus Festival che si è svolto a Messina

di Gilda Sciortino

Difficile mantenere la calma e non farsi bloccare dall’emozione se, davanti a noi, c’è uno dei più grandi cineasti americani, uno di quelli che meritano non una stella sulla “Walk of fame”, ma un intero sistema galattico. Quando, infatti, si pronuncia Martin Scorsese la mente elabora subito che si ha davanti l’essenza del cinema, quel cinema che regala emozioni attraverso titoli come “Re per una notte”, “L’ultima tentazione di Cristo”, “Quei bravi ragazzi”, “L’età dell’Innocenza”, “Cape Fear”, “Il Promontorio della Paura”, “Casinò”, “Gangs of New York”, “Shutter Island”, ma la lista sarebbe troppo lunga e rischieremmo di dimenticarne tanti. Senza timore di smentita, tutti già entrati di diritto nella storia del grande cinema.

Il regista nei giorni scorsi si è collegato, durante l’Horcynus Festival promosso da Fondazione Messina a Capo Peloro, con la Sicilia. L’occasione è stata la presentazione del libro “Dialoghi sulla fede” (edito da La Nave di Teseo) di Antonio Spadaro. Un momento per ripercorrere con il gesuita la sua carriera e durante il quale, per la prima volta, il regista si è soffermato sul ruolo che la fede ha avuto nella sua vita privata e professionale. Spadaro è teologo, saggista, critico letterario, già direttore della rivista “La Civiltà Cattolica”, attualmente sottosegretario del Dicastero vaticano per la Cultura, e uno degli esponenti più autorevoli della cultura cattolica contemporanea.

Facciamo un passo indietro. Il 3 marzo 2016, a New York, padre Antonio Spadaro incontra a casa sua Martin Scorsese per parlare di “Silence”, il film che il regista italoamericano ha dedicato alle persecuzioni dei gesuiti in Giappone, e del suo rapporto con la fede. Quella prima chiacchierata, foriera di stimoli e suggestioni per entrambi, dà il via a un dialogo che prosegue ancora oggi. Un discorso che, attraverso vari incontri, affronta i temi cari a Scorsese: dall’infanzia in una New York molto diversa da quella che conosciamo ora, fino ad arrivare al recente e bellissimo “Killers of the Flower Moon”, passando per profonde riflessioni sul credo e la grazia che, in modo più o meno velato, traspaiono dalle sue opere. Nelle pagine di “Dialoghi sulla fede”, Spadaro e Scorsese ripercorrono la carriera del regista premio Oscar, i suoi pensieri sulla fede, le paure e le ispirazioni, donando al lettore un ritratto nuovo e inedito di uno dei principali esponenti contemporanei della settima arte.

A dare il benvenuto a Scorsese è stato Gaetano Giunta, il fondatore di Fondazione Messina, esprimendogli la propria gratitudine per la sua presenza, nella punta estrema della Sicilia: «Siamo in uno spazio millenario potente biodiverso, come pochissimi altri luoghi al mondo», ha detto Giunta. «Uno spazio irriducibilmente complesso, in cui si confondono bellezza, narrazioni poetiche e analisi scientifiche. Forse anche per questa ragione, il luogo più adatto a presentare il vostro lavoro».

A condurre l’intervista a Padre Antonio Spadaro e Martin Scorsese, alternando le domande, Scilli Piraino, responsabile dell’area formativa ed educativa della Fondazione Messina, e Franco Jannuzzi, direttore artistico dell’Horcynus Festival. Un dono potere esserci e coglierne alcuni passaggi per condividerla con chi ama senza remore il regista statunitense con in tasca anche la cittadinanza italiana.

(SP) Qual è il suo rapporto con la la fede e qual è stata la sua esperienza in tal senso fin da ragazzo?

(MS) Per quanto riguarda la mia esperienza in relazione alla fede, direi che, quando mi sono spostato a New York e ho vissuto in quella che era la Little Italy, ho frequentato una scuola di stampo religioso. Avevo 7, 8 anni circa e l’area in cui vivevo era tra le più difficili. Ero al centro di due strade chiamate il miglio del diavolo una e il miglio degli omicidi l’altra. Mi trovavo lì in mezzo. Un’area in cui l’unico posto in cui riuscire a ritrovare un senso di protezione era la chiesa della zona, praticamente la Cattedrale di San Patrizio. Era il luogo in cui trovavo pace ma, quando uscivo da quelle mura, mi accorgevo che quello che succedeva era molto distante dal mio mondo. Anche la mia famiglia, i miei genitori cercavano di mantenere un ambiente sano. Quello che ho capito è che la fede doveva per forza essere traslata nella quotidianità, fuori da quell’ambiente protetto. Per me, capire chi era Gesù era riuscire a riproporre gli elementi di amore e di compassione anche nel contesto esterno di vita difficile, un mondo conflittuale all’esterno della chiesa. Ho avuto tanti momenti, nella mia vita, in cui ho messo il dubbio la mia fede, ma poi l’ho riconquistata anche attraverso i miei film.  

Padre Antonio Spadaro e Martin Scorsese

(FJ) Padre Spadaro, cosa lo ha colpito di più del modo in cui Martin Scorsese guarda la realtà?

(AS) Quello che ho cercato nella conversazione con Martin è stato capire come si è formato il suo sguardo umano, di regista, ed è stata un’avventura straordinaria. Ci conosciamo da otto anni, durante i quali lui ha profondamente segnato il mio modo di vedere la realtà, personalmente e spiritualmente. Una cosa che mi ha molto colpito è che è nato in Elizabeth Street, nel cuore della Little Italy, nelle cui strade la vita era violenta. Era un ragazzino inquieto che amava stare per strada ma, avendo l’asma, non poteva farlo come voleva. Guardava, quindi, tutto quello che accadeva dal balcone di casa. Questo, lo scrive nel libro rispondendo a una domanda, lo ha protetto da una forma di maschilità tossica. Un’osservazione molto bella che ci racconta come, per lui, la realtà da quel punto di vista ha formato il suo sguardo dietro la cinepresa. L’esperienza di chierichetto, invece,  gli ha permesso di venire a contatto con il mistero della messa e questa è un’altra cosa che mi ha colpito profondamente. Lui, infatti, dice che da bambino, quando entrava in chiesa, c’era la messa con il corpo e il sangue di Cristo. Finita la funzione usciva fuori e non era cambiato niente. Com’era possibile? Lo dice a un certo punto, la transustanziazione deve avvenire anche per strada. Capite questo sguardo, che si forma alla luce di un grande mistero che lui percepisce come tale, e poi il confronto diretto con la strada dove c’è violenza, dove c’è altro. Allora i preti e i gangsters, il contrasto gigantesco che lo ha formato profondamente. La bellezza della liturgia e il sangue, così come la violenza, sono temi molto forti nei suoi film. Da qui la percezione della vita che ha formato il suo sguardo facendogli comprendere che, insieme, siamo brillantemente creativi e brillantemente distruttivi. Qui c’è lo sguardo di Martin Scorsese sulla realtà.

(FJ) Scorsese, per noi il tema della violenza è importante e i suoi film ne parlano tanto, ma si può raccontare la violenza senza mostrarla in maniera esplicita?

(MS) Come ho detto prima sono cresciuto in un contesto ricco di violenza, un fattore costante nella mia vita sin da giovane. Una minaccia costante, da non potere prendere con leggerezza. Questo elemento mi ha portato a ragionare sulla natura dell’essere umano, su cosa siamo nel nostro profondo; appunto, se siamo cattivi o buoni, pacifici o violenti. Me lo sono sempre chiesto, certo di quanto sia importante mostrare la violenza anche se può provocare shock. Fa parte della nostra natura ed è importante comunicarla per ragionare e fare in modo che, comportandosi con amore e passione, ci si possa evolvere dall’essere violenti e, quindi, si riesca a migliorare.

(SP) L’arte e il cinema sono un tentativo di dare un senso all’esistenza ma, volendo introdurre il tema della grazia, cosa vuol dire parlare di questo concetto in un mondo dominato dal razionalismo economico basato sull’ipotesi di perfetto egoismo?

(MS) Mi ritengo fortunato perché ho il dono di poter fare qualcosa creando. La creazione è imitazione di Dio. Io posso trasformare quello che ho attorno a me in qualcosa che mi fa sentire vicino a Dio. La capacità di potere, con le proprie abilità, generare qualcosa di bello e utile è un atto spirituale. Per me questa è la grazia, esplorazione dell’esistenza delle persone. Cerco poi di tradurre tutto in film che permettono di aiutare le persone a evolvere, diventando migliori,

(FJ) Spadaro, cosa lo ha colpito maggiormente dei personaggi dei film di Scorsese?

(AS) La cosa che mi colpisce costantemente è l’ambiguità dei personaggi, nel senso che lui non dipinge un mondo in bianco o in nero, dove tu sai esattamente dove sta il bene e dove il male. La tua coscienza entra sempre in conflitto con se stessa, nel senso che non puoi rilassarti e guardare un film di Martin Scorsese sul divano per poi uscirne tranquillo. È una ginnastica dello spirito, della coscienza, Faccio un esempio. In “Taxi Driver” il protagonista è un serial killer che uccide, commette una strage, ma si innamora e vuole salvare una ragazza che è dentro un giro di prostituzione. Da una parte vedi l’aspetto tremendo, dall’altra scopri la delicatezza di questo personaggio e ne rimani colpito profondamente. La tua coscienza, quindi, non può stare tranquilla. Come in “Silence”, lui distingue tra problemi e mistero, dicendo che nel problema c’è una risposta che esaudisce il problema, mentre nel mistero la risposta non esaudisce mai il mistero.

Grande il valore di un momento del genere, di un’intervista come quella rilasciata da Martin Scorsese all’Horcynus Festival, unica nel suo genere anche in quanto non concessa ad altri. E proprio in virtù del legame di amicizia che contraddistingue il loro rapporto da anni, è stato proprio padre Spadaro a volere porgli l’ultima domanda.

Martin, tu non sei nato qui ma qui ci sono le tue radici. Avverti un legame sentimentale con questa terra di Sicilia?

(MS) Non c’è nessun dubbio, penso sempre alla mia famiglia, alle mie origini e vorrei vivere abbastanza a lungo per girare tutta l’isola. Sono già venuto alcune volte in Sicilia, ma parliamo degli inizi degli anni ’90. Spero di riuscire a tornare in futuro e di spendere del tempo per essere e sentirmi parte del territorio. Quindi, dico di sì, sento profondamente questo legame. Basti pensare che la società che ho costituito si chiama “Sikelia”, riprendendo il nome di questa terra che ha ormai considero parte della mia vita.

«Credo la serata abbia mantenuto le promesse che avevamo fatto all’inizio», ci ha tenuto a dire in conclusione Gaetano Giunta, «e in grandissima parte ha riportato molti di noi alle radici delle motivazioni con cui abbiamo impostato le nostre vite, a partire dalla compassione profonda delle persone più emarginate dei nostri territori. È del resto proprio dalla compassione che nasce quel bisogno forte di trasformare l’economia, al pari di quel bisogno forte di raccontare attraverso i film le storie degli uomini. La seconda riflessione che voglio condividere è che qui oggi, come da molto tempo non sentivo, si respirava un’aria e una sensibilità conciliare che spesso è ormai molto sopita. Si leggeva in tutti gli interventi questa grande continuità tra l’umano e il divino, tra la ricerca culturale e la rivelazione, tra i bisogni, le ricerche di liberazione storiche e la resurrezione. È questo filo di continuità che rende l’umanità così straordinariamente bella».

Che dire di più se non di avere potuto assistere a quella che, più che un’intervista, si è configurata come un’occasione unica per conoscere un po’ di più un premio Oscar come Scorsese, la cui grandezza trova la sua massima espressione in quella profonda umiltà che gli ha fatto brillare per tutto il tempo lo sguardo. Per non parlare di quelle piccole lacrime di commozione apparse nel momento in cui sono state spente le luci in sala per dargli modo di ammirare lo Stretto di Messina illuminato come un piccolo albero di Natale. Una magia che tocca soprattutto a chi decide di aprirsi alla conoscenza, decidendo di amare profondamente luoghi ricchi di storia, umanità e generosità, proprio come la Sicilia.