Mondo
Iraq/2. Le ong. Ora la fuga non è la risposta
Nino Sergi, direttore di Intersos, é appena ritornato in Italia.
“Non ci sentiamo ancora nel mirino. Noi restiamo a Bassora e Bagdad”. L?Iraq brucia – per le minacce del leader sciita Moqtada al Sadr e per i colpi delle forze della Coalizione che cercano di tenere a bada i suoi guerriglieri – ma la società civile italiana non ha intenzione di abbandonare il Paese. Ad assicurarlo è Nino Sergi, di Intersos, che il 5 aprile è tornato a Roma dall?Iraq proprio mentre le agenzie di stampa battevano la notizia di nuovi attacchi contro i militari italiani a Nassiriya. Notizia che Sergi commenta così: “Da qui a fine giugno, la situazione non può che peggiorare. Chi è contro la pace, e chi teme di non avere un ruolo nel prossimo governo iracheno, cercherà in ogni modo di farsi sentire. E il modo migliore di finire sui giornali internazionali, purtroppo, è colpire gli internazionali”.
Lo provano i due cooperanti sudcoreani rapiti dalla milizia Mehdi e poi rilasciati il 6 aprile. Nonché le insistenti richieste di rinforzi da parte degli operatori Onu appena tornati in Iraq. Sono segnali che Intersos non vuole sottovalutare: “Da fine aprile affideremo tutti i nostri progetti su Bagdad a personale locale ripiegando a Bassora dove ci occupiamo di sminamento e del ritorno di profughi, ma per ora non abbiamo intenzione di ritirarci”. Contrari a una fuga sono anche i cooperanti di Un ponte per, a Bassora e Bagdad per dei progetti di potabilizzazione delle acque e di promozione dell?educazione: “Le notizie dell?ultima settimana sono sconcertanti”, ammette Lello Rienzi, “temiamo che, per il solo fatto di essere italiani, i nostri cooperanti possano essere identificati coi soldati e attaccati. Nonostante questo, è importante restare. E non siamo gli unici a pensarlo: facciamo parte di un coordinamento di 40 ong internazionali, e per ora, nessuna ha deciso di evacuare”.
Una scelta che hanno fatto molte sigle della società civile. Un anno fa, in Iraq operavano circa 90 ong. Oggi sono rimaste una cinquantina. Tra loro, il Coopi: “Con 3 cooperanti espatriati e 10 iracheni, lavoriamo in due zone delicate: Bagdad e Mosul. Abbiamo appena finito di ristrutturare ed equipaggiare nove centri di salute intorno alla capitale”, dice Elena Delbò, “nonostante il peggioramento dalla situazione di sicurezza, restiamo”. Peggioramento che ha preoccupato il Cesvi: “Il 5 aprile, dopo l?occupazione del governatorato di Bassora abbiamo momentaneamente evacuato un nostro cooperante in Kuwait”, e l?Agenzia Onu per i rifugiati.
Da Ginevra, il 6 aprile l?Acnur dichiara di aver sospeso il rimpatrio di rifugiati dall?Iran che, tre volte a settimana, a bordo dei suoi convogli, attraversano il confine con l?Iraq. “Il pericolo di aggressioni è troppo forte”, dichiara l?Acnur sui cui convogli, dal luglio 2003, hanno fatto ritorno a casa 5mila profughi iracheni fuggiti da Saddam Hussein.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.