Formazione
Rwanda: Un giorno nel segno del dolore (Seconda parte)
A dieci anni di distanza, il Rwanda ha commemorato ieri il giorno più buio della sua storia
Nel suo discorso ufficiale rivolto in inglese alle poche personalità internazionali presenti ieri allo stadio Amahoro, il presidente della Repubblica rwandese Paul Kagame ha preso spunto da queste scene per fustigare alcuni paesi della ?la Comunità internazionale di non essere intervenuti prima e durante il genocidio?. In particolare, Kagame se l?è presa con gli Stati Uniti, ?colpevoli di essersi rifiutati a pronunciare la parola genocidio ? (che avrebbe automaticamente spinto l?ONU a dover intervenire), poi con il Belgio ?per aver ritirato i suoi soldati dalla Missione delle Nazioni Unite per l?assistenza al Rwanda (MINUAR)?.
Ma il paese più criticato dal leader rwandese è stato senz?ombra di dubbio la Francia accusata di ?aver finanziato e armato le milizie e i militari estremisti del governo interimario responsabile del genocidio contro i Tutsi?. Kagame ha poi rimproverato a Parigi l?opération turquoise, definita all?epoca dal presidente Mitterand e dal governo del Premier Balladur ?un?operazione umanitaria?, ma destinata secondo lo stesso Kagame a ?permettere la fuga dei genocidiari e non a salvare i Tutsi minacciati?.
I messaggi durissimi destinati alla Francia sono stati applauditi dai rwandesi, mentre un silenzio imbarazzante ha avvolto lo stadio quando il Capo di Stato ha accusato il popolo rwandese di essere ?il primo responsabile di quanto accaduto dieci anni fa?. Jean-Pierre, un artigiano di Kicucyiro (sud di Kigali) ammette le ?colpe dei rwandesi, incapaci di aver prevenuto e poi fermato il genocidio. Ma le responsabilità vanno condivise? conclude amaro. Quelle del Belgio ? ex paese colonialista del Rwanda – sono state pienamente assunte dall?unico leader politico europeo presente in Rwanda, il premier belga Guy Verhofstadt, il quale ha chiesto ?di nuovo perdono in nome dei belgi?.
Che il genocidio rwandese sia stato un fallimento colletivo lo ha ricordato la ceremonia solenne organizzata al Camp de Kigali per commemorare i 10 caschi blu belgi della MINUAR massacrati il 7 aprile 1994 dalle milizie interahamwe e le ex FAR (Forze Armate Rwandesi), i bracci armati dell?ideologia genocida. L?imponente delegazione belga, assieme al Primo ministro rwandese Bernard Makuza, hanno onorato la memoria dei ?paracaduti? belgi con l?inaugurazione di un monumento composto da 10 stele e dedicato a coloro che furono ?fucilati e fatti a pezzi con il macete dagli estremisti Hutu?.
Tra loro, il capitano Stephane Lhoir, ?ucciso al Camp de Kigali? ricorda emozionata sua moglie ?per aver tentato di proteggere l?ex premier rwandese Hutu moderata Agathe Uwilingiyimana il 6 sera del ?94?. La signora Lhoir prova ancora rancore nei confronti ?di chi avrebbe dovuto difendere mio marito. Non solo i più alti responsabili delle Nazioni Unite, ma anche coloro che qui avrebbero potuto salvarlo. Il mio riferimento al Generale Dallaire è evidente. Durante il massacro, lui è passato davanti al campo sulla sua jeep e se ne è andato come un vigliacco?. Le parole sono dure e sincere, attenuite solo dalla consapevolezza che ?l?inaugurazione di questo memoriale significa porre un termine al mio lutto?. ?In qualche modo?, conclude la Sig.ra Lhoir, ?i familiari dei 10 paracudisti belgi caduti sono coloro che possono forse al meglio risentire il dolore dei sopravissuti rwandesi del genocidio e dei loro familiari?.
Tardi nel pomeriggio, la delegazione belga lascia il Camp de Kigali, l?ennesimo sito memoriale del genocidio rwandese. L?unico dedicato a defunti occidentali. Più tardi, di sera, nuove commemorazioni vengono celebrate allo stadio nazionale Amahoro. Forse più intime perché tutte in kinyarwanda. E forse rese ancora più cupe da piogge violenti quanto minacciose. Una strana coincidenza: sotto una simile pioggia, la sera del 7 aprile 1994, gli estremisti iniziarono la loro opera di sterminio. A Kigali, tale fenomeno non è sfuggito a nessuno. Impossibile dimenticare.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.