Il sociale sotto attacco
Caserta, mandato in fumo per la seconda volta il campo confiscato
Terra Felix ha subito il quarto atto intimidatorio nel giro di un anno, è stato bruciato di nuovo il campo confiscato a Santa Maria La Fossa, nel casertano, in concessione alla cooperativa. Il direttore Francesco Pascale: «Ci sentiamo veramente abbandonati. La cosa importante è parlare di uso sociale dei beni confiscati, tema che è stato totalmente trascurato negli ultimi anni»
«Da quattro anni abbiamo riqualificato un terreno di sette ettari a Santa Maria La Fossa, in località Ferrandelle, confiscato a Francesco Schiavone, con i più moderni principi dell’agricoltura rigenerativa e di bio economia circolare», racconta Francesco Pascale, direttore della cooperativa sociale Terra Felix. «A poche ore dalla raccolta del seme di cardo, il cui olio verrà utilizzato per la produzione di bioplastiche e biochemicals, sono state bruciate circa 15 tonnellate di biomassa con la quale la cooperativa avrebbe prodotto il substrato di coltivazione dei funghi Cardoncello».
Pascale, quello della notte di venerdì scorso è stato il quarto atto intimidatorio nei vostri confronti da luglio 2023 ad oggi, il secondo nello stesso posto. Cosa vuole raccontarci?
Da luglio 2023 è “bruciata” (le indagini sono ancora in corso) l’auto di un dipendente del Casale di Teverolaccio, nei pressi di Succivo (Caserta), a Ferragosto 2023 è stato incendiato questo campo confiscato a Santa Maria La Fossa. A Casale di Teverolaccio, nei pressi di Succivo, si è tentato di incendiare la struttura animata dalla nostra cooperativa sociale (VITA ne ha scritto nell’articolo qui sotto, ndr).
Nella notte di venerdì sono andati a fuoco tutti e sette gli ettari di questo campo a Ferrandelle, che abbiamo in concessione. La mattina stessa avevamo raccolto il seme del cardo. Noi utilizziamo il seme per le bioplastiche, tutta la biomassa dovremmo utilizzarla per la composizione di ballette per la coltivazione dei funghi. È un progetto che abbiamo già in corso da tre anni, solo che sono due volte che ci bruciano il campo e dobbiamo poi acquistare le ballette dall’esterno. È bruciato solo il nostro campo, l’innesco è partito dall’interno.
Vi sentite tutelati?
L’anno scorso le indagini sono state chiuse in venti giorni, senza aver trovato i colpevoli. La Guardia di finanza, le istituzioni ci sono vicine. Ovviamente non c’è un sostegno economico.
«Questo nuovo attacco non ci fermerà e come sempre andremo avanti con maggiore forza e tenacia», ha scritto in un post sui social. Come vi rimetterete in piedi dopo questo ennesimo danno?
Sono veramente tante le organizzazioni e le persone che ci hanno chiesto di darci una mano, proveremo ad attivare a breve un crowdfunding per l’acquisto delle ballette che ci consentano almeno la coltivazione dei funghi da settembre. Nel crowdfunding venderemo, nel nostro store, una box dei nostri prodotti e chiederemo l’aggiunta di un piccolo contributo per sostenerci.
Negli ultimi periodi ci sentiamo veramente abbandonati, in uno scenario politico nazionale in cui di beni confiscati non si parla. I fondi del Pnrr per i progetti non si capisce che fine hanno fatto, non c’è co-progettazione, non c’è incontro tra Terzo settore e istituzioni
Ci racconta in breve la storia di questo terreno?
Il campo era abbandonato, in cinque anni è stato da noi riqualificato, era parzialmente contaminato. Adottiamo delle pratiche di agricoltura rigenerativa con il cardo, una pianta quasi spontanea che ha una proprietà di aumento della sostanza organica nel suolo. Quindi, in cinque anni rigenera questo suolo, noi siamo al quarto anno. Questa produzione è innovativa e serve anche per la produzione di bioplastiche: dal seme si ricava un olio che è una delle materie prime del mater-bi, bioplastica biodegradabile e compostabile delle shopper per la spesa. Poi siccome è una pianta aspra, noi recuperiamo anche tutta la biomassa e ci facciamo dei blocchi, dove coltiviamo i funghi.
Pascale, cosa si potrebbe fare secondo lei per cercare di limitare questi atti?
La cosa importante è parlare di uso sociale dei beni confiscati. È un tema che è stato totalmente trascurato negli ultimi anni. Se se ne parla, si crea una coscienza, un supporto alle cooperative che gestiscono i progetti. Negli ultimi periodi ci sentiamo veramente abbandonati, in uno scenario politico nazionale in cui di beni confiscati non si parla. I fondi del Pnrr per i progetti non si capisce che fine hanno fatto, non c’è co-progettazione, non c’è incontro tra Terzo settore e istituzioni. È importante che il tema torni nel dibattito politico per i territori che sono stati proprio vessati dalla criminalità organizzata negli ultimi 40 anni.
Se se ne parlasse, sarebbe anche più facile per voi?
Se si parla di uso sociale dei beni confiscati è più facile per noi promuovere il valore di quello che facciamo. Il rischio è che ci si abitui a questi fatti e si dica: «È bruciato un altro campo» senza dare la dovuta importanza alla gravità dell’atto.
Foto per gentile concessione della cooperativa Terra Felix
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