Idee Giovani

Google Home, podcast e Alexa: il ritorno della cultura orale

L’invasione di schermi digitali ha creato l’illusione ottica del dominio di una comunicazione visiva, e in parte è così. Ma è più comodo ascoltare che leggere. E i ragazzi lo sanno bene

di Stefano Laffi

Qualche tempo fa chiesi ad una classe di liceo quale parola digitassero su Google per cercare un certo concetto, e loro mi risposero con un’obiezione preliminare: non usavano Google, se mai Youtube. Mi resi conto all’istante che quel semplice avvicendamento fra canali di ricerca rappresentava un cambio epocale: io sono nato nel ‘900, cercavo documenti da leggere per informarmi, il mio immaginario era quello dell’archivio e della biblioteca, loro sono di questo secolo, cercavano spiegazioni da ascoltare, il loro era quello del flusso di tutorial e racconti.

L’invasione di schermi digitali, da cui leggere e su cui scrivere – presto la maggior parte delle superfici diventeranno digitali, penso al parabrezza o alla scrivania  – ha creato l’illusione ottica del dominio di una comunicazione visiva, e in parte è così, le macchine ci parlano dai loro display continuamente. Ma è più comodo ascoltare che leggere, così come dettare anziché scrivere, e i ragazzi e le ragazze lo sanno bene. E poiché le macchine hanno imparato a leggere quel che scrivono, sempre di più si chiede loro di farlo. 

Tanti giovani e non solo non usano più la tastiera, dettano per scrivere, così come chi scrive sta abituandosi a farsi leggere dal pc quanto ha appena scritto. Da tempo i figli comandano a Google Home o Alexa di dire loro cose o metter su musica, mentre le loro madri si fanno suggerire a voce le ricette: apparentemente è la stessa funzione, ma gli immaginari sono diversi, la mamma cerca un cuoco che la guidi nelle mosse in cucina, i figli cercano lo sconto della fatica di cercare, trovare e cliccare. Chi guida ascolta podcast o audiolibri, interrotti solo ogni tanto dalla voce del navigatore, mentre per strada ormai è abituale vedere persone di tutte le età che dettano vocali e conversano scambiandosi messaggi audio, anziché parlarsi o scriversi. Chat Gpt è il nostro nuovo amico immaginario, gli possiamo chiedere tutto – ovviamente è comparsa presta la funzione “voce” – e lui ci risponde. I nuovi tutorial per apprendere le lingue sono avatar, puoi sceglierne l’aspetto e la voce e cominci a dialogare, loro capiscono il tuo livello di conoscenza e calibrano la conversazione per accrescere le tue competenze. E così via…

Comandare alle macchine non è come chiedere alla persone, i modi verbali “servo-padronali” che un bambino apprende da Alexa non deve trasferirli su sua madre

Ci sono due aspetti preoccupanti. Per il cervello scrivere e dettare non sono la stessa cosa, e così pure ascoltare e leggere, sarebbe importante non perdere capacità. Inoltre comandare alle macchine non è come chiedere alla persone, i modi verbali “servo-padronali” che un bambino apprende da Alexa non deve trasferirli su sua madre. Ma la nuova oralità ha anche risvolti interessanti. Leggere e scrivere sono pratiche solitarie, ascoltare e parlare sono attività relazionali, richiedono di uscire da sé e rivolgersi all’esterno. L’oralità è più immersiva, perché l’udito funziona a 360°, il visivo è invece giocoforza frontale, e tendenzialmente è paranoico: avendo sempre aree cieche porta alla proliferazione delle telecamere, mentre nessuno si riempirebbe la casa di microfoni. L’oralità è più inclusiva, ascoltare un libro e dettare un testo lo può fare anche chi fatica a leggere e scrivere, quale che sia la causa. E l’uso della voce, anziché della propria immagine – pensiamo al classico confronto radio versus tv – consente di esserci anche quando si è insicuri del proprio aspetto. Ma è anche più discreta, si può ascoltare guidando l’auto o pulendo una casa, nei collegamenti in video spegniamo la telecamera per fare altro mentre seguiamo.


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C’è un ulteriore aspetto, che capii con quella classe del liceo. Andare alla caccia sul web di qualcuno che spieghi, e non di documenti da studiare, non era solo scontarsi lo “sbattimento” di leggere, era cercare testimoni. Quei ragazzi e quelle ragazze volevano vedere incarnati quei saperi, perché uno che ti spiega una cosa quella cosa la sa, è una sua esperienza, l’ha vissuta, mentre un documento esplicativo è in genere il sapere senza la vita che c’è dietro. Alla fine incontrai i loro insegnanti e dissi che non sarebbe stato facile d’ora in avanti, avevamo di fronte una generazione che in un certo senso chiedeva astronauti come insegnanti di matematica o scrittori come inseganti di italiano, cioè persone che quelle discipline la usavano davvero, per vivere. Una scuola di testimoni, appunto.

Foto Pexels di Thirdman


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