“Se riusciremo a portare la speranza per le strade, ci saranno meno ragazzi pronti a trasformarsi in kamikaze”. La speranza, Saman Khoury, l?ex direttore generale del ministero dell?Informazione e del Centro della stampa palestinese che oggi si batte per la pace in Medio Oriente tra le fila del Peace and Democracy Forum, la misura con una percentuale. Quella della popolazione palestinese favorevole all?Accordo di Ginevra che Khoury ha contribuito a negoziare: “prima dell?uccisione dello sceicco Yassin, oscillava tra il 35 e il 40%”. Dopo la sua morte, però, la percentuale di cui si parla è un?altra: il 35% di ragazzini palestinesi tra i 12 e i 13 anni che per il Centro della salute mentale di Gaza sarebbero pronti a diventare bombe umane.
Vita: Cosa risponde un pacifista come lei a numeri così?
Saman Khoury: Il giorno dopo la morte di Yassin, insieme ad altri firmatari e negoziatori dell?Accordo di Ginevra, abbiamo pubblicato un?inserzione sui giornali palestinesi. Diceva che la pace è possibile e che uccidere, o cadere nella trappola della vendetta e decidere di farsi scoppiare, non è il modo giusto di battersi contro l?occupazione israeliana.
Vita: Che alternativa proponete agli adolescenti della striscia di Gaza?
Khoury: Diciamo ai ragazzi che la ribellione non deve essere violenta, che devono esprimere il loro malcontento facendo pressione sul loro governo e spingendolo a negoziare con Israele. Perché il dialogo, come ha dimostrato l?intesa raggiunta dalla società civile israeliana e palestinese nell?Accordo, è l?unica soluzione possibile. Cedere alla violenza non fa che peggiorare la situazione.
Vita: Crede che questo messaggio riesca a raggiungere gli aspiranti kamikaze?
Khoury: Non è facile, perché il reclutamento viene fatto in segreto. Le organizzazioni fondamentaliste cercano i ragazzi più frustrati e più disperati. Per fare notizia, basta che ne convincano due. Gli attivisti dell?Accordo di Ginevra, invece, puntano sui grandi numeri: cerchiamo di convincere che la pace non si ottiene suicidandosi. Ma, piuttosto, riconoscendo che deve esistere uno Stato palestinese a fianco di quello di Israele, non al posto di Israele.
Vita: Dopo l?uccisione di Yassin, molti Paesi arabi e anche alcuni leader occidentali hanno dichiarato la morte della Road Map. L?Accordo di Ginevra, che piace a Colin Powell e all?Unione europea, rimane l?unica alternativa possibile per portare la pace in Medio Oriente?
Khoury: La Road Map non è l?unico piano che rischia di non sopravvivere. Ogni processo di pace è morto se continuiamo a fomentare la violenza. Una volta chiarito che la vendetta non è mai un?alternativa al negoziato, la Road Map avrà successo se il Quartetto che l?ha lanciata – Stati Uniti, Onu, Russia e Unione europea – si impegnerà veramente a portarla avanti. Cosa che, in questo momento, non accade. Il presidente degli Stati Uniti, George Bush ha detto che vuole vedere la fine dell?occupazione israeliana e la creazione di due Stati indipendenti, bene: l?Accordo di Ginevra attacca un po? di polpa a questa sua vision. La società civile israeliana e palestinese ha presentato un modello per metterla in pratica.
Vita: Spetta ai politici farlo?
Khoury: Non abbiamo mai pensato di sostituirci ai governi: seguendo il nostro esempio, devono mettersi d?accordo sul ritiro di Israele entro i confini del 1967 e sulla creazione di due Stati che convivano uno di fianco all?altro.
Vita: Avete presentato l?Accordo ad Hamas, alla Jihad e ad altri gruppi fondamentalisti?
Khoury: Tutti hanno visto una copia del documento. Ma non abbiamo avuto riscontri. Nelle settimane seguite all?uccisione di Yassin, poi, il nostro lavoro è stato ancora più difficile.
Vita: E l?Autorità palestinese, come ha accolto l?Accordo?
Khoury: Arafat, a livello personale, ci ha fatto i complimenti. E appoggio, sempre in via non ufficiale, abbiamo ricevuto anche da vari ministri.
Vita: E in via ufficiale?
Khoury: Purtroppo il governo dice che non prenderà una posizione ufficiale, almeno finché il governo israeliano non lo avrà fatto. Ma questa posizione a noi non basta: continueremo a provocare il dibattito in Parlamento, perché il governo sia costretto a uscire allo scoperto. Non c?è alcun bisogno di aspettare che Israele decida da che parte stare.
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