Il caso
Beni agricoli confiscati: il Governo dimentica il Terzo settore
La denuncia delle associazioni dopo l'accordo tra l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e il ministero delle politiche agricole. «Il non profit», dice Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo settore, «possiede le capacità per far rinascere quei beni con scopi sociali, ma per farlo ha bisogno del sostegno delle istituzioni. L'accordo invece punta tutto sul privato, quando invece bisognerebbe prima valorizzare il contributo del privato sociale»
di Anna Spena
All’inizio di luglio è stato firmato al Viminale, alla presenza dei Ministri Piantedosi (Interno) e Lollobrigida (Agricoltura), un accordo che prevede la pubblicazione di bandi pubblici finalizzati all’assegnazione dei terreni agricoli confiscati e non optati a giovani agricoltori, verso la corresponsione di un canone agevolato.
Nell’accordo tra l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e il ministero delle politiche agricole il Terzo settore non viene mai citato.
All’incontro erano presenti anche il sottosegretario all’Interno con delega all’Anbsc, Wanda Ferro, il direttore dell’Agenzia Nazionale, Bruno Corda, il Capo di Gabinetto del Masaf, Raffaele Borriello e il Capo Dipartimento della Sovranità alimentare e dell’ippica, Marco Lupo.
“L’intesa”, come si legge nella nota condivisa sulla pagina dell’Agenzia, “dà avvio ad un importante progetto che consentirà di coniugare il reimpiego a scopo sociale di parte dei fondi confiscati – in totale oltre 9.000 – con il rilancio delle politiche a sostegno dell’agricoltura. Al Masaf verrà assegnata una dotazione iniziale di oltre 1400 terreni: il dicastero, attraverso la controllata Ismea, ne curerà la concessione a giovani imprenditori del settore agricolo, dietro la corresponsione di un canone agevolato. I proventi delle concessioni confluiranno nel bilancio del Ministero dell’Agricoltura e verranno impiegati per l’acquisto di derrate alimentari a favore degli indigenti. L’accordo prevede inoltre che gli imprenditori agricoli realizzino, nei terreni assegnati, iniziative di carattere sociale o didattico-divulgativo”.
«L’accordo Ansbc-Masaf», spiega Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del Terzo settore, «non considera il contributo che potrebbe e dovrebbe dare il mondo del non profit, prima di ricorrere allo spirito imprenditoriale dei giovani agricoltori. Questo contributo è già riconosciuto e previsto dalla normativa sulla gestione dei beni: la prima cosa da fare, dunque, sarebbe creare le condizioni affinché si concretizzi, agevolando così il riuso sociale dei beni confiscati. Il Terzo settore ha le competenze giuste, ma non possiede le risorse economiche necessarie per la riconversione dei beni, che spesso vanno riqualificati, ristrutturati o comunque adeguati alle nuove attività».
«Siamo consapevoli», scrivono in una nota congiunta la Cgil, Libera contro le Mafie, Legambiente, Arci, Avviso Pubblico, Legacoop e il Forum del Terzo Settore, «che sul territorio nazionale insiste un ingente patrimonio fondiario proveniente da procedure di confisca e non assegnato e, pur consapevoli che spesso la mancata manifestazione di interesse verso i beni messi a bando è stata legata ad una oggettiva difficoltà di accesso agli stessi beni ed ai dati indispensabili alla progettualità finalizzata al loro riuso, riteniamo comunque opportuno un intervento finalizzato ad accrescere la possibilità del riuso per evitare che, oltre a trasmettere un messaggio simbolico del tutto controproducente, il bene non utilizzato rappresenti un mancato investimento economico e sociale, con danni ingenti anche alla tutela dell’ambiente».
In Italia infatti è in vigore la legge 109 del 1996 per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie. «L’accordo Ansbc-Masaf», continua Pallucchi, «sembra così far passare in secondo piano quella che dovrebbe essere la strada principale per la gestione dei beni confiscati, ovvero la loro restituzione alla collettività attraverso il riuso sociale, grazie anche all’attività delle realtà territoriali. Chiediamo che si lavori per eliminare gli ostacoli che si trovano su questa strada».
«Va evitato», continuano le associazioni, «il rischio che l’assegnazione prevista dall’accordo possa rappresentare il volano di un nuovo corso verso la privatizzazione di un patrimonio pubblico di ampia portata simbolica, oltre che economica, che rappresenterebbe anche l’allontanamento dagli indirizzi della legge 109/96 e dell’articolo 48 del codice antimafia chiaramente indirizzati al riuso sociale dei beni attraverso progetti a carattere collettivo. Data la delicatezza ed importanza degli interventi previsti, sarebbe stato opportuno ascoltare i suggerimenti avanzati dalle realtà nazionali interessate, che da anni dedicano risorse e impegno su tali rilevantissime questioni, in collaborazione con gli Enti e le Istituzioni territoriali e la stessa Anbsc. Il testo, così come presentato, apre la possibilità di affitto dei terreni solo a imprese agricole giovanili, soggetti economici totalmente privati e profit, senza prevedere il coinvolgimento dei Comuni, del Terzo Settore, della cooperazione e del sindacato, che potrebbero svolgere un ruolo di promozione, affiancamento e coinvolgimento delle comunità locali rappresentato dalle buone pratiche di economia sociale. Sarebbe viceversa , utile valorizzare le esperienze svolte in 29 anni di riuso sociale, che sono state in grado di aprire la strada a modelli di sviluppo alternativo e nuove forme di economia civile, anche con il coinvolgimento di altre tipologie di imprese in filiere produttive improntate ai valori etici, di legalità e giustizia sociale e ambientale».
Nello specifico le realtà propongono di intervenire affinché:
L’accordo contenga le indicazioni su un partenariato fra soggetto privato profit e soggetto sociale (come già succede in molti altri campi), per garantire un accompagnamento costante rispetto alla implementazione, non solo di un progetto sociale, ma di percorsi di integrazione e reinserimento lavorativo di categorie vulnerabili, nonchè allo sviluppo di filiere etiche di produzione e commercializzazione dei prodotti.
I progetti di imprenditoria agricola vengano realizzati nel rispetto di vincoli per coltivazioni sostenibili sotto il profilo ambientale e sociale oltre che economico.
Alle lavoratrici e lavoratori, venga garantita, la corretta applicazione dei contratti nazionali definiti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le norme di tutela della salute e sicurezza, prevedendo altresì espresso divieto del subappalto nella filiera agricola.
Vengano indicate con maggior dettaglio le penalità e sanzioni previste in caso di mancato adempimento di quanto previsto negli accordi, fino alla esclusione, in caso di gravi inadempienze.
Foto: il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida durante il Question time alla Camera dei deputati a Roma/Roberto Monaldo/LaPresse
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