Migranti
“Schiavi d’Italia”, viaggio tra i diritti negati nel ghetto di Borgo Mezzanone
Luca Pernice, scrittore e giornalista foggiano, ha realizzato un reportage in uno dei più grandi insediamenti informali d’Europa. Ha scritto un libro per denunciare le condizioni in cui vivono i migranti in questo villaggio di cartone e lamiere, dove i braccianti sono vittime di caporalato e sfruttamento. «Ma non sono solo braccia, sono persone»
«La prima volta che ci sono arrivato mi sono sentito catapultato in una di quelle sceneggiature anni ’70, che descrivevano il mondo futuro dopo la terza guerra mondiale. Rifiuti sparsi ovunque, persone che uscivano dalle baracche, per verificare chi fosse quell’estraneo che aveva sconfinato nel loro territorio. Uomini che condividono baracche, letti di fortuna e, spesso, il cibo con cani e gatti randagi. E altri animali. Anch’essi ospiti della baraccopoli. Come i topi e le blatte. Ma immaginare un film è tutt’altra cosa che viverlo». Luca Pernice ha visitato più volte il ghetto di Borgo Mezzanone, a metà strada tra Foggia e Manfredonia, in cui d’estate vivono quasi 4mila migranti, soprattutto nordafricani, impegnati nel lavoro dei campi. Raccolta di pomodori, in particolare, ma in base alla stagione vengono reclutati dai caporali per raccogliere anche asparagi, uva, zucchine e i vari frutta della terra.
Scrittore e giornalista foggiano, Pernice ha incontrato i migranti che vivono all’interno di uno più grandi ghetti d’Europa, dove i diritti dei lavoratori sono piegati da sfruttamento e caporalato, e dalle pessime condizioni igienico sanitarie in cui vivono in questo villaggio di cartone, mattoni e lamiere. Da questo suo reportage è nato il libro “Schiavi d’Italia. Caporalato, diritti negati e speranze in uno dei ghetti più grandi d’Europa” (edizioni Paoline), «frutto delle varie inchieste che ho fatto nei ghetti per denunciare le condizioni in cui vivono i migranti. Accompagnato da uno dei ragazzi che vivevano nell’insediamento informale, ho girato per le baracche per parlare con le persone, conoscere meglio le loro storie e raccontare la vita che si sviluppa in questo luogo, che tutti conoscono, tutti sanno che esiste, ma poi fanno finta di non conoscere o non vedere».
Ė qui, in questo luogo in cui lo Stato di diritto sembra essersi fermato, che i caporali reclutano la manodopera da sfruttare nei campi. «Anche 12-14 ore di lavoro al giorno, 5 euro per il trasporto, 3,50 per un panino. Al termine di una durissima giornata di lavoro, al migrante della paga resta pochissimo in tasca, ma sa bene che se vuole continuare a lavorare non ha altra possibilità che rimanere a vivere nel ghetto, che diventa una sorta di “ufficio di collocamento”. Per chi non conosce queste situazioni può sembrare assurdo, invece i migranti non se ne vogliono andare dai ghetti perché sanno che qui vengono chiamati per lavorare». Ed il pensiero corre verso tutti i migranti che in questi anni sono morti nei campi, nei ghetti, a causa di incidenti stradali. O come Satnam Singh, il trentunenne di origine indiana che lo scorso mese di giugno è morto in seguito alle gravi ferite riportate dopo essere rimasto coinvolto in un terribile incidente sul lavoro in un’azienda agricola di borgo Santa Maria, nella periferia di Latina. «Ė terribile pensare che abbia perso il braccio in un macchinario avvolgiplastica a rullo trainato da un trattore. Ė terribile» rileva Pernice «vengono chiamati braccianti, perché chi lavora in agricoltura sembra che serva solo per le sue braccia. Ma non sono solo braccia di cui abbiamo bisogno, sono persone e fono a quando la politica non inizierà a guardare loro come esseri umani, questo problema non cambierà mai».
I migranti non se ne vogliono andare dai ghetti perché sanno che qui vengono chiamati per lavorare
Luca Pernice, scrittore
Per Pernice, dunque, c’è ancora tanto da fare per provare a migliorare le condizioni di vita di chi finisce a vivere nei ghetti per essere impiegato nei campi. «Bisogna capire che il caporalato non è un’emergenza nata da poco, c’è sempre stato, è difficile da estirpare se non cambiano anche le politiche di accoglienza e le leggi contro il caporalato. La legge 199 del 2016 in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura è sicuramente una buona norma, ma servono più ispezioni sul campo e non solo sui registri contabili. Perché oggi il datore di lavoro può anche farti un contratto di lavoro, ma anziché lavorare 7 ore al giorno ti fa lavorare 14 ore. Per questo, occorre potenziare le ispezioni in questo settore».
Servono più ispezioni sul campo e non solo sui registri contabili. Perché oggi il datore di lavoro può anche farti un contratto di lavoro, ma anziché lavorare 7 ore al giorno ti fa lavorare 14 ore
Luca Pernice, scrittore
Ma per Pernice, che in questi anni ha girato in lungo e in largo per i ghetti della provincia di Foggia, non ci sono dubbi: «Servono politiche di accoglienza e di inclusione reali, a partire dalla possibilità di avere i documenti, senza dei quali i migranti non possono fare nulla, avere un regolare contratto di lavoro, aprirsi magari un conto in banca. La legge Bossi-Fini va cancellata, perché di fatto favorisce l’immigrazione irregolare e il lavoro nero, come quello dello sfruttamento in campagna. Occorre che le istituzioni sostengano l’operato delle associazioni nei ghetti, che in questi anni hanno svolto corsi di alfabetizzazione di lingua italiana, di conoscenza dei diritti dei lavoratori, di percorsi di inclusione. Attraverso il Piano Nazione di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sono stati stanziati 200 milioni di euro destinati alle Amministrazioni locali per eliminare i ghetti. Ė una grande occasione da non sprecare. Se queste risorse vengono utilizzate per fare politiche di accoglienza adeguate, diverse dagli insediamenti abusivi, possono rappresentare un’opportunità, anche perché per i migranti ghetti restano l’unica fonte di lavoro che hanno, sembra incredibile dirlo, ma è così. Un uso accurato dei fondi del Pnrr può anche aiutare a superare le bombe sociali provocate dai ghetti che spesso generano conflitti tra gli abitanti ed i migranti, come nel caso di Borgo Mezzanone, anche perché vengono davvero trattati come animali».
Infine, un ruolo determinate per il superamento dei ghetti è affidato «alla Grande distribuzione che impone i prezzi agli agricoltori anche molto tempo prima della raccolta e quindi questi ultimi tra tasse, sacrifici, costi vari, devono risparmiare da qualche parte. E dove vanno a tagliare? Tagliano sul lavoro dei braccianti, che sono l’ultima catena di questo lavoro. Ė anche il sistema della filiera agricola che deve cambiare» conclude Pernice, che tra i suoi libri più recenti ha scritto anche “O.S.C.A.R., la Resistenza scout. Lo scautismo clandestino dopo il 1943” e “La società foggiana e la quarta mafia”.
Foto di apertura: Francesco Strippoli
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