Volontariato

Storie di pace. I 60 anni dei gemelli Zevini. Nati nel letto di un Papa

Castelgandolfo, 1944: Pio XII decide di aprire le porte della sua residenza estiva a 12mila sfollati in fuga dai nazisti. Vi restarono per quattro mesi. Durante i quali...

di Lucio Brunelli

Pio Eugenio ed Eugenio Pio naturalmente si assomigliano. Stesse spalle formato armadio, stessa stretta di mano che fai fatica a dire “piacere” quando stringono la tua, stesso accento dei Castelli romani. E stessa tessera di partito. “Da sempre iscritti al partito comunista, come ci ha imparato nostro padre”, ti dicono, quasi a mettere in chiaro che, a loro, anche il vecchio nome del partito andava bene, non creava mica problemi. Pio Eugenio e Eugenio Pio Zevini sono fratelli gemelli. E vantano una nascita davvero fuori dal comune. Sono gli unici gemelli al mondo nati nella camera da letto di un Papa. Ironia del destino: proprio il Papa che decise la scomunica per i fedeli iscritti al Pci. Ma guai, con loro, a parlar male di Papa Pio XII, Eugenio Pacelli. “Sì, aveva idee politiche diverse da quelle dei nostri genitori”, dicono i due fratelli, “ma noi riconosciamo che compì un gesto nobile e non ci vergogniamo di portare il suo nome”. Nome scelto dai genitori proprio come atto di riconoscenza a Papa Pacelli. Che sessant?anni fa li accolse nella sua villa, salvandoli dagli orrori della guerra. Le cose andarono così. Risparmiati dalle bombe Il 22 gennaio 1944 gli alleati sbarcavano ad Anzio, nella costa meridionale del Lazio. Pio ed Eugenio non erano ancora nati, ma erano stati già concepiti. La mamma, residente a Castelgandolfo, era al settimo mese di gravidanza. Come tutti gli abitanti dei Castelli romani, viveva giorni di paura e di angoscia. Bombardamenti americani a tappeto. Violentissimi. E le truppe naziste in ritirata. Nervose. Pronte a ogni genere di angherie nei confronti della popolazione civile e impegnate in continui rastrellamenti di ebrei, antifascisti e renitenti alla leva. Presa tra due fuochi, la gente fuggiva dalle proprie abitazioni con le poche cose che riusciva a portare con sé. Molti iniziarono ad accalcarsi, in cerca di un rifugio più sicuro, davanti alle mura della villa pontificia di Castelgandolfo. Fu un giovane monsignore della Segreteria di Stato vaticana, Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) a informare Pio XII, in quei giorni quasi prigioniero a Roma nel palazzo apostolico. La decisione fu presa senza tentennamenti. Quello stesso giorno le porte della residenza pontificia di Castelgandolfo (dove i Papi di solito trascorrono i mesi estivi) si aprirono a circa 12mila sfollati. A nessuno fu chiesto il certificato di battesimo o il colore del proprio credo politico. Le poche immagini in bianco e nero riprese da un cineoperatore mostrano la lunga colonna di persone, carica di materassi e pochi altri oggetti personali, mentre entra silenziosa dal portone che si affaccia sulla piazza principale del paese. Essendo un?enclave pontificia, quella era una zona extraterritoriale. E come tale godeva di un particolare statuto diplomatico che garantiva l?inviolabilità dei suoi confini a ogni esercito o milizia straniera. I 12mila rifugiati rimasero nella reggia estiva del Papa per ben quattro mesi. Sino a quando i combattimenti non cessarono, con la presa di Roma, il 4 giugno 1944. Ogni giorno ricevettero un pasto caldo. Tra loro c?erano numerosi ebrei e ricercati politici. In quei quattro mesi le bombe sfiorarono la villa pontificia: i segni provocati dalle schegge sono visibili ancora oggi sulle mura esterne. Ma nessun ordigno esplose all?interno e non ci fu nessuna vittima fra la moltitudine terrorizzata che lì aveva trovato rifugio. Non furono risparmiati, invece, dalla violenza della guerra altri edifici sacri situati a poche centinaia di metri. Il primo febbraio una bomba alleata distrusse il convento delle Clarisse e delle Basiliane, uccidendo 16 suore di clausura. Il 10 febbraio un altro terribile bombardamento colpì il Collegio di Propaganda Fide, dove erano stati accolti altri sfollati dei paesi vicini, e fu una strage: oltre 500 le vittime. Oggi li chiamerebbero “effetti collaterali”. Ed eravamo comunisti Pio Eugenio ed Eugenio Pio, ignari ancora di tanto dramma, se ne stavano tranquilli nella pancia della signora Zevini. Non erano gli unici bimbi in attesa di vedere la luce. In quei quattro mesi nacquero 36 bambini. Alle partorienti venne riservato l?appartamento privato del Papa. “Ogni volta che si levava il vagito di un bimbo”, ricorda Marcello Costa, che all?epoca aveva 18 anni e che dopo la guerra per ben 33 anni è stato sindaco democristiano di Castelgandolfo, “subito si innalzava la preghiera di ringraziamento”. Attimi di gioia, momenti di lode, più intensi del boato delle bombe che pure, talvolta, facevano tremare i vetri del palazzo. A quasi tutti i neonati fu messo come nome Pio o Eugenio. Atto di gratitudine a Pio XII. Nacque un?unica coppia di gemelli, quella dei coniugi Zevini. Era il primo marzo 1944. Sessant?anni dopo dà una certa emozione chiacchierare con i due fratelli nella piazza di Castelgandolfo, guardando il portone che i loro genitori varcarono sei decenni orsono, col cuore in gola. “Qui tutti ci riconoscono come i gemelli nati nella reggia del Papa”, sorridono. Entriamo in un bar nella piazza principale e la signora dietro il bancone, appena li vede, fa festa e racconta. “Voi non lo sapete, ma io vi ho visto nascere, là dentro? Avevo dodici anni, anche io e la mia famiglia eravamo stati accolti nella villa pontificia? mi sono intrufolata nell?appartamento trasformato in nursery e vi ho visto? chi piangeva, chi rideva, che confusione?”. Pio Eugenio ed Eugenio Pio sono due omoni, hanno sempre lavorato duro per vivere, non è gente dalla lacrima facile. E nemmeno sono personaggi da talk show televisivi. Ma si vede che sono un po? emozionati anche loro. Sembra una fiaba, la loro. Ma è storia. Storia di due gemelli comunisti che portano nel nome e nell?anima il segno della carità di un Papa.

Info: Incontro tra le tre religioni

Un incontro interreligioso per dire no al terrorismo e a chi mira a erigere muri invece che abbatterli. È quanto si svolge tra decine di giovani cattolici, ebrei e musulmani che si incontrano ad Albano Laziale fino al 21 marzo per sperimentare cosa li unisce al di là delle loro diversità e per verificare quale apporto possano dare alla politica. L’iniziativa è patrocinata dal Comune di Roma e vede la partecipazione di diversi gruppi giovanili delle tre religioni. In particolare gli organizzatori sono Acli, Fuci (Federazione universitari cattolici italiani), Unione giovani ebrei e Giovani musulmani d?Italia. FUCI

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