Salute

Palestina, solo il 40% delle donne con un tumore al seno sopravvive

A causa del contesto di occupazione protratta, delle difficoltà di movimento e di circolazione e dei numerosi check-point controllati dall'esercito israeliano, l’accesso alle cure e alle pratiche di prevenzione oncologica per le comunità palestinesi è molto complesso. Fondazione Avsi sostiene il progetto “Fight like a Girl!”, una clinica mobile che raggiunge le aree rurali e i campi profughi della Cisgiordania per effettuare screening mammografici gratuiti

di Anna Spena

Nella Striscia di Gaza le vittime sono arrivate a quasi 39mila, nei territori palestinesi occupati sono quasi 600, tra loro anche 140 minori. «La situazione è molto dura», racconta Francesco Buono, rappresentante Paese di Fondazione Avsi in Cisgiordania. Le condizioni erano già complicate prima del sette ottobre e continuano a peggiorare. È di pochissimi giorni fa la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che ha dichiarato la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati illegale. «Gli spostamenti», continua Buono, «tra un governatorato e un altro sono incredibilmente difficili. E la prime vittime sono i cittadini che si sono visti limitare la possibilità di movimento, e così è diventato ancora più complesso accedere ai servizi essenziali». 

Fondazione Avsi in Cisgiordania sostiene il progetto “Fight like a girl 2.0”. «Un’iniziativa», spiega Buono, «di prevenzione del cancro al seno e diritto alla salute femminile in Palestina nata dall’Ospedale Augusta Victoria di Gerusalemme». Finanziato anche dalla Regione Emilia-Romagna il progetto ha l’obiettivo di favorire l’accesso inclusivo alla salute per donne e ragazze nei territori palestinesi, in aree rurali della Cisgiordania e a Gerusalemme Est, attraverso il miglioramento della prevenzione e del trattamento del cancro al seno e delle malattie legate alla salute femminile. Sono coinvolti anche il Comune di Forlì e l’Associazione Volontari e Amici dell’Istituto Oncologico Romagnolo Odv. 

«Nei territori occupati palestinesi», continua Buono, «il numero di donne sopra i 50 anni che non hanno mai effettuato una mammografia supera il 60%. I motivi sono molti: la mancanza di un programma nazionale di screening, la carenza di strutture mediche, scarsa consapevolezza, motivi familiari, cause culturali che vedono come “inappropriato” questi tipi di esami medici o perché il cancro viene ancora percepito come uno stigma sociale e non vogliono quindi che venga loro diagnosticato. In Palestina solo il 40% delle donne con un tumore al seno sopravvive. L’Ospedale Augusta Victoria di Gerusalemme, con il quale collaboriamo, già da qualche anno si era dotato di una clinica mobile per raggiungere anche le comunità più rurali e marginalizzate in tutta la Cisgiordania. All’interno della clinica viaggia uno staff medico tutto al femminile che svolge screening mammografici gratuiti per le donne al di sopra dei 40 anni e propone corsi di sensibilizzazione. In tutta la Cisgiordania ci sono solo due mammografi, uno a Betlemme e un altro all’Augusta Vittoria appunto, ma come detto l’ospedale si trova a Gerusalemme est. La città è staccata da tutto il resto del West Bank, e per i palestinesi non residenti a Gerusalemme è molto difficile accedervi. Bisogna passare il di checkpoint di Qalandia e avere un permesso speciale. I governatorati di Jenin e Tulkarem sono quelli rimasti più scoperti a causa delle difficoltà di accesso. In una giornata la clinica mobile effettua anche più di 30 mammografie, tra marzo e giugno 1822 donne hanno preso parte alle sessioni di sensibilizzazione».

Nella seconda fase del progetto, la clinica mobile verrà equipaggiata di un ecografo, per effettuare diagnosi più precise e rapide direttamente sul campo, riducendo i richiami presso l’ospedale e offrendo un supporto immediato alle pazienti. «Con l’acquisto di un ecografo», spiega Buono, «sarà ora possibile eseguire un’indagine più approfondita, direttamente al momento della visita con l’obiettivo di ridurre i casi dubbi e evitare che la paziente sia costretta a intraprendere uno spostamento, spesso costoso e difficile, verso l’ospedale, dove poter effettuare gli esami di approfondimento».


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