Cultura

Come uscire dall’epidemia dell’io

L'ex ministro e fondatore della Comunità di Sant'Egidio firma un saggio ("Rigenerare il futuro. Dall’io al Noi") che accendo un faro sull'individualismo contemporaneo: «Oggi si sono indebolite le relazioni stabili, si sono dissolte le reti tradizionali e rurali con l’inurbamento, soprattutto quelle originate dal volontarismo politico, sociale e religioso. Come riscoprire una dimensione collettiva?

di Angelo Palmieri

Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, nel suo ultimo libro “Rigenerare il futuro. Dall’io al Noi”, (Scholè 2024 pp.51) da fervido assertore del cattolicesimo sociale ci affida alcune considerazioni sul bisogno di prendersi cura delle persone più bisognose e più marginali. Profondamente ripiegati come siamo su un presente privo di orientamenti significativi, il futuro ci appare minaccioso, completamente circondato da muri e steccati, come privo di una rassicurante visione.  

Ne consegue l’oggettiva difficoltà ad una chiara ermeneutica della realtà sia in termini sovrastrutturali ovvero culturali che politici. Riccardi spiega che in Europa oggi si percepisce la mancanza di una visione, in conseguenza dell’abdicazione della politica al proprio ruolo, sperimentando una scissione dalla cultura e attivando processi ricombinatori con i vari media, dalla televisione ai social, col fine di rielaborare idee, concetti e narrazioni per trarne punti di vista diversi e nuovi. 

Un “mondo fatto di tanti “io” vive una politica diversa, fatta di polarizzazioni estreme ed emotive, del rifiuto dell’impegno civico oppure di ricerca di leader rassicuranti in senso populista.

Riprendendo le parole del rabbino Jonathan Sacks che parlava di un “cambiamento climatico culturale” interpretato come il passaggio dal “noi all’io”, ovvero individui isolati in un vuoto relazionale, Riccardi identifica lo stato esistenziale dell’uomo contemporaneo: un’epidemia di solitudine. Già sul finire del secolo scorso Antonio Salvati aveva ribadito che, per aver sperimentato un esodo profondo verso il mondo dell’io, abbiamo generato individui isolati, ripiegati su sé stessi, intenti ad allentare i rapporti con gli altri, inclini a non affrontare e padroneggiare le proprie crisi di identità da cui è derivato lo sfociare nell’apatia, nella totale indifferenza, nella cura di un sé dispotico, pronto ad assumere un atteggiamento camaleontico nei contatti con gli altri. 

Ne è conseguito un vivere tutto convulso, un guardare ogni cosa attraverso il “buco della serratura della nostra misura razionalista” (Julian Carron) col rischio di inabissarci nella disperazione, nella paura. Per questo, come sostiene Riccardi, lo stato esistenziale dell’uomo è approdato ad una epidemia di solitudine, mentre avvertiamo un disperato bisogno di alimentare l’umano in una società dai rapporti desertificati. 

Alcuni correlati del primato dell’io, di cui oggi avvertiamo più poderosamente gli effetti esiziali, sono il disincanto affettivo, la provvisorietà e il senso della frammentazione. Come ci rammenta il fondatore della Comunità di Sant’Egidio fino a qualche decennio fa la nostra società era “densa”, basata sulla famiglia e caratterizzata da una vasta rete di relazioni prodotta dalla politica, dai sindacati, dai partiti, dal mondo dell’associazionismo, dalle comunità religiose: un mondo che generava cultura popolare, visioni delle cose, interpretazioni. Sottolinea l’importanza dei movimenti di ogni caratterizzazione, che assicuravano spazi pubblici di solidarietà, dove si affrontavano opzioni diverse per un destino comune, spazi che proiettavano verso traiettorie future. 


Oggi tutto questo si è assopito, o per meglio dire col noto sociologo e psicoanalista Luigi Zoja «infragilito». Si sono indebolite le relazioni stabili con la fine dei contorni comunitari, si sono dissolte le reti tradizionali e rurali con l’inurbamento, soprattutto quelle originate dal volontarismo politico, sociale e religioso. 

RIGENERARE IL FUTURO. DALL’IO AL NOI

Siamo di fronte, come sottolinea Mattia Ferraresi, «al mondo delle pubblicità profilate, dei pasti monoporzione, del selfie, della condizione di single come stato sommamente desiderabile». Un mondo in cui sembrano predominare il profondo senso di solitudine e la desertificazione della vita, specie nel periodo della vecchiaia o in stati di povertà economica. È lo stesso Riccardi a mettere in evidenza come in queste condizioni l’io non è sufficiente. Si chiede cosa significhi essere bambini e adolescenti in un vuoto relazionale. Tuttavia, anche se otto milioni e mezzo di italiani vivono da soli e un terzo dei nuclei è composto da una sola persona, l’interrogativo di come uscire da questa condizione di ripiegamento, di solipsismo, non può dirsi spento: si leva, dice Riccardi – un grido di dolore, anzi forse più di uno. Innanzitutto, quello degli anziani, che non ce la fanno a vivere da soli. Basti pensare all’emblematica vicenda delle Rsa, che durante la pandemia di Covid ha messo in luce il dramma dell’abbandono con migliaia di anziani morti in stato di abbandono e nella più totale solitudine. Poi, il disagio dei giovani che non hanno voce perché spesso le loro parole e i loro sentimenti vengono “oscurati da un protagonismo di una generazione di adulti che non vuole invecchiare e lasciare spazio agli altri”. 

Non si può ignorare che la nostra società adultocentrica si rivela incapace di proporre ai giovani una visione prospettica per connettersi al futuro. 

Un altro aspetto che Andrea Riccardi evoca nel suo ultimo libro è il tema della pace, intesa come strumento risolutivo poiché «la guerra è il principale ostacolo alla fraternità». C’è una forte corrente che spinge verso la ricerca di soluzioni globali – sostiene Riccardi che rammenta le parole profetiche del cardinale Martini. Per altro, dalla lettura dell’enciclica “Fratelli Tutti” emerge la necessità di un sogno per il futuro, di un futuro di pace, di un processo di affratellamento, di amicizia sociale, mentre dilaga una sorta di indifferenza per la guerra che non riesce a provocare profondi sensi di inquietudine morale.

Non siamo consegnati a un destino ignoto, su cui non si può esercitare nessuna influenza. Si può ascoltare, comprendere, discutere

Andrea Riccardi

Con una pacata riflessione Riccardi ci invita a fare nostro il grido di pace che giunge da ogni parte del mondo, organizzando movimenti di persone animate da idee, sentimenti e speranze. «Non siamo consegnati a un destino ignoto, su cui non si può esercitare nessuna influenza. Si può ascoltare, comprendere, discutere: i processi messi in moto, talvolta, travolgono le resistenze e mettono in atto movimenti che vanno ben al di là dei singoli. C’è anche una forza della ragionevolezza della pace, risposta all’anelito di tanti: molte volte è un’energia sottovalutata». Le sue parole racchiudono un messaggio di speranza e ci spronano a desiderare sempre più una pacem in terris, come evocata nella famosa enciclica di papa Giovanni XXIII che invitava tutti, credenti e non credenti a guardare ad un mondo senza confini e senza “blocchi”, a ricercare ciò che unisce e tralasciare ciò che divide, a scorgere l’evoluzione verso una nuova, migliore umanità. Non possiamo non coltivare un “noi” condiviso, passare dall’io al noi è l’inevitabile punto di partenza per rigenerare il futuro, ripudiando con forza ogni sorta di egocentrismo personale e di egoismo nazionale.

Foto in apertura: Pexels

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