Persone

Francesco Cicchi, una vita libera contro le dipendenze

È scomparso a 63 anni il fondatore di Ama Aquilone, una grande e articolate realtà che nelle Marche risponde alle più diverse emergenze sociali. Il suffisso “ama” è stata la sua regola di riferimento. In un libro recente ha raccontato la storia dei 40 anni di vita delle comunità

di Giuseppe Frangi

L’immagine che più dice di lui è quella che si rinnovava ogni anno, al primo weekend di luglio: Francesco Cicchi che sul palco abbraccia i ragazzi e le ragazze che avevano finito il percorso di recupero e tornavano alla vita normale. C’era in quegli abbracci felicità, tenerezza e fraterna commozione. Accadeva ogni anno, a Casa Ama, la sede principale della costellazioni di strutture che in 40 anni aveva fatto nascere nel territorio di Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto, per rispondere ai bisogni e alle tante emergenze umane di quel territorio che tano amava: è la realtà della cooperativa Ama-Aquilone.

Francesco Cicchi ci ha lasciati e prima di andarsene ha affidato il racconto della sua lunga storia ad un libro semplice e bellissimo scritto con Alessandra Morelli (La stanza degli ospiti, Infinito edizioni, con una bella introduzione di Vittorino Andreoli). È tra quelle pagine che si legge un dettaglio emblematico. Dal 2014, Francesco aveva proposto una novità per la cerimonia annuale delle Dimissioni: «Decidiamo di allargare questa nostra celebrazione della gioia anche ai visitatori esterni. Decidiamo che il nome dell’evento deve contenere il suffisso nel quale in nostro impegno sempre si riconosce: “Ama Festival”». Un Festival scaturito dalla vita, appuntamento fisso che attorno a quelle biografie ferite e ritornate a sperimentare la normalità, richiamava centinaia e centinaia di persone nel meraviglioso contesto di quelle colline marchigiane, perfettamente coltivate e curate dai ragazzi della cooperativa Ama Terra.

Ma per Francesco Cicchi era importante anche guardare in faccia i fallimenti, condividere il dolore per percorsi finiti in modo drammatico. Per questo aveva voluto anche la Giornata della Nostalgia, in cui leggendo tutti i loro nomi, si rendevano presenti anche quelli che non ce l’avevano fatta. «Non riconoscere la dignità di queste persone che sebbene abbiano vissuto poco, forse hanno sofferto molto, è semplicemente ingiusto», si legge nel libro.

Il carisma di Francesco era un carisma leggero a dispetto dell’autorevolezza della persona.  Non ha mai voluto fissare un metodo, anzi ogni volta che si tentava di stringerlo a codificare i percorsi si sottraeva quasi con rabbia. Ha scritto: «Non riusciamo a conciliare l’idea di una regola da tramandare, perché ai dogmi assoluti non abbiamo mai creduto. Essere a nostro modo dei disubbidienti consapevoli, trasgressivi tra i trasgressivi». E poi: «Il non metodo con ci cui facciamo carico degli ospiti delle Comunità, rappresenta il solo strumento che, riconoscendo la sofferenza di chi abbiamo davanti si prende cura della sua unicità, che è sacra e dunque inviolabile».

Forse però un’indicazione leggera di metodo si può cogliere nella vita delle comunità di Ama-Aquilone. È quella che Cicchi chiamava la «poetica dell’abitudine», un antidoto all’incertezza di cui è costellato il cammino terapeutico degli ospiti. È la pratica insistente dei gesti quotidiani riempiti di valore; il valore della monotonia. È da quei che scaturisce la cura che caratterizza le comunità che non per niente si chiamano tutte “casa”. Francesco Cicchi credeva nel valore irrinunciabile della bellezza, quasi della sua forza redentrice. Per questo le migliaia di persone che arrivavano a Casa Ama per l’appuntamento della Festa-Festival si stupivano di trovarsi in un contesto inaspettato, dove tutto è curato e tutto è anche buono, a partire dai prodotti dei campi.

Leggi qui l’ultima intervista.


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