Dibattiti
Anziani fragili, sanità territoriale e l’incertezza come regola
Al Cottolengo di Torino, un convegno di Uneba Piemonte e Uneba Lombardia - realtà locali che riuniscono buona parte delle oltre mille strutture sociosanitarie del Non profit cattolico - rimette al centro il quadro difficoltoso in cui chi accoglie i non-autosufficienti si trova a operare
Si sono ritrovate in un luogo bello e storico Uneba Piemonte e Uneba Lombardia per discutere di Sanità e sociosanità territoriale, un convegno a più voci su Il ruolo fondamentale del sociosanitario, ed in particolare degli enti non profit, nella servizi territoriali per le fragilità.
Nessun luogo, meglio della Piccola Casa che Giuseppe Cottolengo volle “per i malati che non trovavano posto negli ospedali” – ed eravamo nella Torino del primo 800 – poteva infatti richiamare lo “spirito Uneba” e cioè dell’Unione nazionale istituzioni e iniziativa di assistenza sociale, che raggruppa oltre mille realtà del Non profit socio-sanitario cattolico.
A ricordare il nesso profondo fra quel luogo straordinario e i tanti luoghi, lungo lo Stivale, dove si accolgono i fragili del nostro tempo, la necessità della centralità della persona anche nell’azione socio-sanitaria di oggi, e a rammentare che quella idealità deve essere ancora, come lo fu allora, motore di tanto fare, insomma a ridire i motivi del prendersi cura dei non autosufficienti nell’anno 2024 per un motivo che non sia il lucro, era stato, in apertura, Carmine Arice, padre generale del Cottolengo.
Capire come la fragilità si inserisce
nella nuova sanità territoriale
Viatico interessante per un confronto, quello di ieri nel capoluogo piemontese, che si è focalizzato particolarmente sul ruolo centrale della fragilità nella nuova sanità territoriale, quella che si sta cercando di costruire in ossequio alla “misura 6” del Pnrr (e gli ospedali e le case di comunità che, un po’ con fatica, si inaugurano a macchia di leopardo, ce lo ricordano).
Un convegno che è entrato subito anche nell’attualità di questi giorni, con il tema della rette in strutture di accoglienza residenziali dei malati di Alzheimer, sollevato anche da VITA di recente, dopo una sentenza di una Corte di Appello di Milano che le accollava integralmente allo Stato, in quanto all’interno del percorso cura di una patologia (in materia avevamo sollecitato proprio il presidente di Uneba Lombardia, Luca Degani, si legge qui, e l’economista sanitario Francesco Longo, lo trovate qui, oltre alla Federazione Alzheimer, col suo presidente Mario Possenti, qui).
Rette Alzheimer, Governo e Regioni chiariscano
Proprio il presidente nazionale, Franco Massi, «ha evidenziato la necessità che le Rsa e le altre strutture evolvano in centri multiservizi, in grado di dare pluralità di risposte a pluralità di bisogni e ha anche ribadito la necessità per gli enti di avere norme certe. Un esempio? Sulla titolarità delle rette per le persone con Alzheimer accolte in struttura residenziale. Un tema su cui Uneba ha rivolto un appello a Governo e Regioni per un pronto intervento chiarificatore e ha preso diretti contatti con i partiti e gruppi parlamentari».
Operare nell’incertezza
Non è la sola incertezza in cui questo comparto fondamentale dei servizi alla persona si trova a lavorare. Sullo sfondo infatti, come ha evidenziato Marco Petrillo, presidente vicario di Uneba Lombardia e membro della commissione fiscale dell’Unione, anche la Riforma del Terzo Settore, che «non è ancora completata e quindi le onlus sono ancora nell’incertezza riguardo al loro futuro e in particolare sulla scelte se diventare ente del Terzo Settore o impresa sociale o addirittura restare fuori dal perimetro della Riforma».
E poi c’è l’incertezza del quadro politico-amministrativo: all’unisono i presidenti di Uneba Piemonte, Amedeo Prevete, quello di Uneba Lombardia, Luca Degani, «hanno ribadito la necessità che le pubbliche amministrazioni svolgano un’azione programmatoria che metta a sistema le varie riforme – Pnrr, Legge Anziani, Riforma del Terzo Settore…- così da dare certezze nello sviluppo dei servizi residenziali, diurni, domiciliari».
Definizione sintetica di come sia difficile operare, per chi eroga servizi delicatissimi che implicano la presa in carico totale di migliaia e migliaia di nostri anziani.
Paradossi italiani: chi accoglie 317mila anziani
deve navigare a vista
Un paradosso di questi nostri tempi: se si trovasse a dover operare con questa incertezza, qualsiasi branca del nostro giustamente esaltatissimo Made in Italy, ogni giorno avremo le prime pagine dei giornali, più o meno confindustriali, a strillarci sopra, sollecitando Governo, Regioni, Parlamento. Ma qui, d’altra parte si parla “solo” dei nostri vecchi, qualcosa come 317mila persone nel 2021. Non di bollicine, macchinoni con tori o cavallini nel logo, parmigiani e vini in quantità. E in qualità.
In sala c’erano anche ben due assessori regionali piemontesi, quello alla Sanità, Federico Riboldi e quello al Personale, Gian Luca Vignale: «Entrambi hanno manifestato ampio interesse rispetto al ruolo del sociosanitario nella sanità territoriale», prosegue la nota di Uneba.
Di questi tempi, amministratori che ascoltano sono un fatto positivo, da registrare. Se poi saranno capaci o potranno agire, dipenderà da molte variabili. Sicuramente in sala qualcuno avrà recitato, con questa intenzione, una preghiera a san Giuseppe Cottolengo. Il santo fondatore peraltro, con le autorità sotto la Mole, non s’era trovato benissimo. Il primissimo “Deposito de’ poveri infermi del Corpus Dominii”, dopo quattro anni di lavoro, fu costretto a chiudere per ragioni di profilassi: era infatti scoppiata in città un’epidemia di colera.
In apertura, un momento di socializzazione fra anziani e bambini alla Fondazione Oic di Padova, associata Uneba Veneto. Foto ufficio stampa.
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