Famiglia

Il dramma nascosto del Nepal: 40mila le prostitute bambine

Vengono prelevate nei villaggi e finiscono nei bordelli di Bombay. E i volontari delle ong, lavorano per aiutare le ragazze che riescono a liberarsi dal racket

di Emanuela Citterio

Leela è tornata dall’inferno. In Nepal alle ragazze come lei non capita quasi mai. «Pensavo che sarei morta in quel posto», dice con un filo di voce. Leela è una delle settemila ragazze e bambine che ogni anno vengono prelevate dalle zone più povere del Nepal e portate in India, per alimentare il mercato della prostituzione. A farle partire è la disperazione e l’ignoranza dei loro famigliari. A farle arrivare ci pensano i trafficanti di esseri umani che riforniscono i bordelli di Bombay e di altre città indiane. Sul mercato fruttano di più le ragazze nepalesi, per la loro bellezza esotica e il loro carattere mite. E naturalmente se sono molto giovani il prezzo aumenta. Su circa 200 mila prostitute nepalesi si calcola che il 20 per cento (40 mila) siano bambine. Leela aveva quattordici anni quando è finita in un bordello di Bombay. A diciotto anni ha la fortuna di poter ricominciare una vita degna di un essere umano perché è stata liberata da un’associazione che si batte per l’accoglienza e il recupero delle bambine sottratte al mercato asiatico della prostituzione infantile. Leela vive in una “casa transito” a Kathmandu creata da Abc (Agro-foresty, Basic healt and Co-operatives), un’organizzazione femminile nepalese attiva dal 1987. Le case transito sono l’alternativa escogitata da questa associazione per il riscatto delle bambine e delle ragazze strappate alla schiavitù e al mercato della prostituzione. Qui possono trovare un rifugio e qualcuno che le aiuti a costruire una vita diversa. Fino a quando non riescono a reinserirsi nella società nepalese. Per le ragazze che tornano dall’India, infatti, non c’è più una casa. La maggior parte delle famiglie le rifiuta. Anche perché molte di loro hanno l’Aids. Tornano perché sono state scartate da chi le ha vendute e sfruttate. Altre, come Leela, non vogliono tornare nel villaggio, perché anche lì hanno conosciuto una vita di umiliazioni e sfruttamento. «Anche quando non ero una prostituta», dice Leela, «ero inferiore agli uomini. Pensavo di essere nata solo per servire gli uomini, ero solo qualcosa da usare. Ma ora so che sono uguale a qualsiasi altro essere umano. E sono qui per trovare un buon lavoro». A farle da interprete è Durga Ghimire, presidente di Abc-Nepal, che conosce tutta la sua storia. Sa che la famiglia di Leela era una delle più povere del suo villaggio. E che, per questo motivo, Leela era a disposizione di chiunque volesse abusare di lei. Fino a quando non è caduta nella rete dei dalals, i potenti intermediari locali che riforniscono il mercato indiano della prostituzione, ingannando le ragazze o semplicemente comprandole dalle loro famiglie. «Qualcuno mi ha chiesto se volevo andare in India per avere una vita migliore», racconta ancora Leela. «Questa è la motivazione che mi ha spinto a partire. Così sono stata venduta». Qualche anno fa Abc-Nepal ha compiuto un’indagine visitando le zone rurali del Paese. E ha scoperto che i comitati di villaggio sono fortemente implicati in questo traffico di schiave. Un affare redditizio per tutti insomma, tanto che secondo le ong che lavorano in questo campo, non c’è la volontà politica di fermare il traffico. Le famiglie, che in Nepal hanno un reddito medio di 225 dollari all’anno, sono spinte dalla disperazione e dall’ignoranza a vendere le proprie ragazze. Ad allearsi a questi fattori è anche una concezione della donna che la relega all’ultimo posto nella società, fino a renderla vendibile. Per questo Abc- Nepal è impegnata da anni nella promozione della donna all’interno della società nepalese, con l’obiettivo di rafforzare, particolarmente nelle zone rurali, il ruolo che i gruppi di cooperative femminili rivestono nella società. Abc lavora per la formazione delle donne nei villaggi, e ha avviato progetti di microcredito aiutando con piccoli prestiti le donne a iniziare un’attività per migliorare la propria condizione. L’esperienza delle case transito si sta diffondendo in diverse regioni del Nepal ed è stata sostenuta anche da ong italiane per combattere il dramma della tratta delle ragazze nepalesi. Il Cesvi di Bergamo, per esempio, ha avviato un progetto di adozione delle ragazze nepalesi ospiti della casa transito creata da Abc a Danchhi. Perché ragazze come Leela possano imparare a leggere e scrivere e trovare il “buon lavoro” che cercano. Info:www.cesvi.it abc@transit.wlink.com.np


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA