Cultura

Aznar ha perso le elezioni in Marocco

Il premier uscente è stato il primo dell’era democratica a non privilegiare il dialogo con il vicino maghrebino, arrivando addirittura alle soglie di una guerra.

di Paolo Manzo

Non deve sorprendere troppo che, dei cinque arrestati dalla polizia di Madrid due giorni dopo l?11 marzo, tre siano di nazionalità marocchina. Né che facciano parte, probabilmente, della rete di Al Qaeda, né che uno di essi sia stato formalmente accusato di essere l?autore materiale del massacro. Piuttosto dovrebbe far riflettere che la guerra contro l?Iraq, fortemente appoggiata dall?ex presidente Aznar (basti ricordare il summit con Bush e Blair, il 15 marzo 2003 alle Azzorre, per mettere a punto i dettagli dell?attacco), ha cambiato radicalmente la percezione che i Paesi arabi hanno della Spagna. Soprattutto la percezione della popolazione e del governo del Marocco che, prima dell?avvento di Aznar, era il Paese dell?area maghrebina con cui Madrid manteneva i vincoli più stretti, sia commerciali che diplomatici. L?isolotto conteso Per capire come Rabat fosse importante per la Moncloa, basti dire che il primo viaggio all?estero di tutti i presidenti iberici postfranchisti ha sempre avuto come meta il Marocco: da Adolfo Suárez sino a Felipe González. Aznar, invece, ha ignorato sin dall?inizio l?eredità musulmana del proprio Paese, che dal 711 sino al 1492 fu occupato dai ?mori?, così come ha ignorato la vicinanza con Rabat, il cui paradigma geografico più significativo è rappresentato dalle due enclavi di Ceuta e Melilla. Aznar ha così abbandonato la tradizionale politica iberica di interlocutore occidentale privilegiato nei confronti del mondo marocchino, politica che aveva dato tanti vantaggi al suo Paese, sia in termini commerciali (con forti investimenti esteri diretti di Madrid verso Rabat) che diplomatici. Sin dal suo primo mandato, nel 1996, il new deal del premier è stato improntato all?uso del bastone, raramente alternato alla carota. Case study esemplare per capire la strategia ?muscolare? di Aznar verso il vicino arabo fu la crisi militare (oltreché diplomatica) che scoppiò nel luglio di due anni fa. All?epoca, a causa del minuscolo isolotto di Perejil, Aznar riuscì ad arrivare a un passo dalla guerra con l?altra sponda del Mediterraneo. E poi, l?attualità. Felipe González avrebbe preso parte alla guerra in Iraq senza prima tentare di mediare con i Paesi nordafricani, tutti a maggioranza araba, né consultarsi con Rabat? La risposta, è ovvio, non si può dare. Ma non si dimentichi che, sul finire del 1991, fu proprio lui a organizzare la Conferenza di Madrid che mise in moto quel processo di riavvicinamento tra israeliani e palestinesi che sfociò nella Conferenza di Oslo del 1996, e riuscì in quell?occasione a far sedere attorno a un tavolo le due parti in causa, usando il re del Marocco come mediatore d?eccezione, in cambio di una seria politica dell?immigrazione. Otto anni di buco nero Aznar, dopo sette anni di governo durante i quali aveva ?blindato? la questione marocchina, senza per altro riuscire a frenare le frotte di disperati che continuano ad arrivare, e spesso a morire, sulle coste iberiche, lo scorso anno lanciò, nel bel mezzo della guerra irachena, un?impressionante campagna diplomatica verso quel Paese. A Pasqua 2003 chiamò il re del Marocco, Mohamed VI: l?obiettivo dichiarato era organizzare una Conferenza di Madrid bis, quello non dichiarato di togliersi di dosso la nomea di ?vassallo? succube agli interessi di George W. Bush per trasformarsi in un mediatore di pace tra Occidente e mondo arabo. Peccato per lui che quel tentativo sia fallito miseramente: nemmeno uno degli attori decisivi per discutere di Medio Oriente si sedette a quel tavolo. Ora “i buoni rapporti con il Marocco tornano a essere una delle priorità della politica estera spagnola”, fa sapere da Madrid il futuro premier, José Luis Rodriguez Zapatero. Peccato per quel ?buco nero? tra 1996 e 2004, che ha un nome e cognome: José María Aznar.


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