Famiglia

“Amici pacifisti, a Madrid non avete vinto voi”

Filippo Andreatta analizza il voto spagnolo. E avverte: "Per attaccare l’Iraq ci siamo alleati coi complici del terrore".

di Giuseppe Frangi

“Le elezioni si vincono sulla politica interna. Aznar le ha perse perché la Spagna si è scoperta insicura”. A Filippo Andreatta, docente di politica internazionale, spiace dare una doccia fredda ai pacifisti spagnoli. Ma quanto è accaduto domenica con il voto che ha consegnato a sorpresa il potere ai socialisti, non ha altre spiegazioni che questa. “Il governo popolare ha peccato in modo molto grave di scarsa trasparenza. Quindi, e spiace di deludere i pacifisti, ma l?esito delle elezioni non è frutto delle loro pressioni”. Vita: L?11 settembre ha rafforzato i conservatori in America. L?11 marzo ha rilanciato i progressisti a Madrid. Come si spiega? Filippo Andreatta: L?impatto emotivo tra i due eventi è stato molto diverso. Qui l?effetto psicologico è stato diminuito dall?incertezza iniziale sui veri mandanti della strage. E poi l?11 settembre era stato vissuto in diretta da mezzo mondo e aveva sconvolto un luogo simbolico come Manhattan. L?unico equivalente in Europa sarebbe stato un attentato a Londra o Parigi: in quel caso l?opinione pubblica del Vecchio continente avrebbe reagito come quella americana dopo la strage. Comunque, ogni fatto di questo tipo comporta un cambiamento politico: basti vedere com?è cambiata, in due anni, la politica estera Usa. Prima era conservatrice di uno status quo, poi è andata all?attacco di quello stesso status quo. Vita: Non la sorprende il fatto che l?Occidente non riesca a venire a capo di un fenomeno come il terrorismo, pur con l?enorme dispiego di mezzi di questi ultimi anni? Andreatta: Non mi sorprende affatto, perché la politica dell?Occidente è una politica solo passiva, che investe sulla sicurezza interna, su una maggiore intelligence che in realtà ha prodotto scarsa conoscenza sulla strategia del terrorismo. Si è andati su obiettivi sbagliati, come dimostra il caso Iraq. Saddam era un dittatore con colpe gravissime ma aveva poco a che vedere con il terrorismo, come gli spagnoli hanno potuto purtroppo toccare con mano. E poi l?Occidente vive di un altro equivoco. Vita: Quale? Andreatta: Si pensa che l?obiettivo del fondamentalismo sia quello di islamizzare l?Occidente. Non è così, anche se sulla Spagna sono affiorati discorsi di questo tipo. Il fondamentalismo vuole islamizzare il Medio Oriente, e la cosa gli sta riuscendo per i macroscopici errori dell?Occidente. Per fare la guerra ci siamo alleati con poteri corrotti, che con la loro politica repressiva finiscono con l?essere il miglior terreno di crescita per il terrorismo. Insomma, manca una visione d?insieme: dovremmo iniziare a guardare al Medio Oriente come all?Europa di inizio secolo. Se non si innesta un processo di sviluppo quei Paesi sono inevitabilmente consegnati al fondamentalismo. Ci sono milioni di giovani che hanno rotto con la rete sociale del passato ma che non possono approdare a una modernità decente. Non trovano lavoro, sbocchi per il futuro. Così i reticoli della società tradizionale li riassorbono, creando spirali pericolosissime. Vita: Una scommessa persa? Andreatta: Sì, fino a che non ci si rende conto che la sfida è quella di avere una visione complessiva della questione. Sinora gli unici ad averne avuta una sono stati i neo conservatori americani. Che hanno capito il problema ma hanno decisamente sbagliato la soluzione: hanno pensato che il punto fosse l?esportazione della democrazia, mentre è la creazione di sviluppo. Vita: Questa paralisi è determinata dalla divisione politica dell?Occidente? Davanti a un?emergenza come questa, l?idea di politiche di unità nazionale sarebbe fuori luogo? Andreatta: Da politologo posso rispondere che le grandi coalizioni nascono in tempo di guerra, e questa non è paragonabile a una guerra. Dopo l?11 settembre, in occasione dell?offensiva in Afghanistan avevamo vissuto esperienze quasi di unità nazionale. Ma l?impatto emotivo dell?11 settembre era stato senza paragoni. D?istinto invece dico che per fare esperienze di unità bisogna avere possibilmente qualche idea in comune. Invece mi sembra che sul fronte della strategia con il Medio Oriente i Paesi europei latitino, mentre sul fronte dell?integrazione delle comunità islamiche ci sono visioni frontalmente opposte. E invece è un problema decisivo: quando non c?è integrazione accade che il controllo sociale da parte della comunità marocchina in Spagna sia molto più efficiente che non l?azione dei servizi segreti. E la stessa cosa si potrebbe dire della comunità turca in Germania o di quella pakistana a Londra.


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