Salute
Terapie anti Aids, la sfida del Brasile
Dopo la vittoria di Mandela in Sud Africa contro le multinazionali dei farmaci, ora tocca a Rio de Janeiro dove un'industria statale fa concorrenza alle multinazionali
La vittoria delle ong sulle multinazionali del farmaco, Eloan Pinheiro l’ha festeggiata, alla periferia di Rio de Janeiro, in laboratorio, con tutto il personale della Far-Manguinhos, l’azienda produttrice di farmaci generici, proprietà dello Stato, e che lei dirige. Si è festeggiato anche se adesso toccherà proprio ai brasiliani portare avanti la battaglia per l’accesso ai farmaci nei Paesi in via di sviluppo.
Infatti la Far-Manguinhos dal 1998 produce il 40% dei farmaci generici anti Hiv distribuiti in Brasile e all’inizio dell’anno è stata accusata dagli Stati Uniti di violare gli accordi internazionali sui brevetti (Trips). Quarantamila volte al giorno, tante quante le confezioni di farmaci che produce nelle 24 ore. Troppe per un sistema politico che dalla lobby delle aziende farmaceutiche ha ricevuto 25 milioni di dollari in occasione delle ultime elezioni presidenziali. Troppe per un governo che conta 297 lobbisti del farmaco, uno ogni due membri del Congresso. Così all’inizio di gennaio gli Usa hanno denunciato il Brasile davanti a una commissione disciplinare dell’Organizzazione mondiale del commercio che, entro giugno, deciderà se applicare pesanti sanzioni al Paese.
Rispetto al Sudafrica e a Zachie Achamat – il 35enne direttore dell’ong sudafricana Treatment Action Campaign che a Pretoria ha battuto le multinazionali – la Pinheiro e il Brasile hanno molte più carte da giocare. Fra cui 500 mila sieropositivi in meno del Sudafrica e il fatto che, già da quattro anni, il governo di Brasilia produce in loco i generici anti Hiv di cui ha bisogno. Una strategia che ha dato ottimi risultati: dal 1997 a oggi, mentre in Sudafrica le aziende farmaceutiche bloccavano le importazioni di generici e 400 mila malati morivano di Aids, il Brasile ha ridotto i decessi del 50%, tenendo in vita 95 mila persone, e risparmiando 422 milioni di dollari. Senza violare in alcun modo gli accordi Trips sui brevetti e sulla proprietà intellettuale dell’Organizzazione mondiale del commercio, che in Brasile sono entrati in vigore nel 1997: il governo in pratica ha potuto produrre copie generiche di tutti i farmaci anti Hiv registrati negli Stati Uniti e in Europa prima di quella data. Farmaci come l’Azt, la Nevirapina e l’Indinavir, retrovirali che il governo di Brasilia ha copiato e oggi vende a prezzi 6 volte inferiori che negli Stati Uniti.
Quando però, qualche mese fa, da Rio de Janeiro la dottoressa Pinheiro ha annunciato di essere pronta a produrre copie generiche di farmaci Hiv ancora protetti da patenti come l’Efavirenz della Merck, la rabbia di Big Farma ha spinto gli Stati Uniti a denunciare il Brasile davanti all’Organizzazione mondiale del commercio. A violare gli accordi sui brevetti sarebbe l’articolo 68 dell’Industrial Property Act brasiliano approvato nel 1996. Un articolo che consente al governo di Brasilia di produrre legalmente o importare copie di farmaci lanciati sul mercato dopo il 1997 se l’azienda che ne detiene il brevetto non li produce in Brasile da tre anni. Come fanno molte multinazionali del farmaco, che si limitano a esportare i loro prodotti nel Paese. Consapevole della difficoltà di difendere le proprie ragioni, solo la Merck ha appena siglato un accordo col Brasile per abbassare il prezzo del suo Efavirenz. Ma agli Stati Uniti, e le altre 39 multinazionali invece non mollano. Il timore è che i farmaci generici prodotti in Sudamerica arrivino nel Nord degli States. E, soprattutto, che altri Paesi decidano di seguire l’esempio del Brasile, copiando la sua legge sulle patenti e mettendosi a produrre farmaci generici.
Perché l’esempio dei 95 mila sieropositivi brasiliani che prendono le medicine con la stessa precisione dei malati americani, può essere positivamente contagioso. Anche perché a differenza degli americani, li pagano molto, molto meno.
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