Dopo l'alluvione

Valle d’Aosta, in alpeggio ripartenza è un gregge che resta

A Lillaz, frazione di Cogne, nella notte tra il 29 e il 30 giugno Enrico Cavagnet ha tirato fuori dal fango le 700 pecore di cui si prende cura in estate. Il suo buongiorno dall'alpeggio, con le immagini della valle che si risveglia vista dall'alto, è un messaggio di ripartenza

di Daria Capitani

Lillaz è una frazione di Cogne nota per le sue cascate, tre salti d’acqua del torrente Urtier per 150 metri di altezza. È uno dei luoghi in cui l’acqua si è ingrossata rapidamente non più tardi di due settimane fa in Valle d’Aosta, dove una prima stima dei danni causati dall’alluvione si aggira intorno ai 150 milioni di euro. Per Enrico Cavagnet, Lillaz è uno dei pascoli primaverili, dove ha vissuto una notte di terrore. La sua storia, e quella delle 700 pecore di cui si prende cura in estate, è rimbalzata sulle cronache locali. Oggi il suo buongiorno sui Social, con le immagini della valle che si risveglia vista dall’alto, è uno dei simboli del desiderio di ripartenza.

Le pecore al pascolo.

Una notte lunghissima

«Stiamo bene. Siamo acciaccati e ancora un po’ malconci, ma abbiamo erba per un mese e un colpo d’occhio magnifico da quassù». Cavagnet ama profondamente il mestiere di pastore. «La mia famiglia aveva un albergo», racconta, «io facevo il cuoco, ma ho sempre avuto la passione per la montagna, gli animali, in particolare le pecore e le capre. È una specie di malattia, credo di averla ereditata dai nonni. Per questo ho deciso di aprire un’azienda agricola, a Roccaverano in provincia di Asti. D’inverno mi occupo dell’attività in pianura ma non rinuncio ogni estate a tornare qui, ai miei alpeggi, dove da dodici anni mi prendo cura di un gregge itinerante di 700 pecore». Nella notte tra il 29 e il 30 giugno, a Lillaz pioveva ma Cavagnet non immaginava che si sarebbe trovato in una situazione così complicata: «Abbiamo pascolato tutto il giorno in un punto che alle nove di sera non c’era più. Portato via dall’acqua. Prima di rientrare a casa, avevamo chiuso le pecore lungo il greto del torrente in un luogo che reputavo sicuro. Eravamo tranquilli, le pecore avevano il torrente sotto e sopra la strada. Siamo scesi in paese, ci siamo messi a mangiare, un occhio fuori dalla finestra per controllare le condizioni meteo. Quando siamo tornati su, la strada era già franata, il torrente un carico di fango. Con la jeep siamo arrivati dalla parte opposta del torrente, a piedi abbiamo attraversato un ponte sovrastato dall’acqua, siamo riusciti a liberare le pecore nel bosco. Erano nel bel mezzo di due frane. È stata una notte lunghissima».

Il giorno dopo, continua Cavagnet, «abbiamo radunato le pecore e abbiamo visto che ce n’erano ancora molte, non era scontato. Non sappiamo quante ne abbiamo perse, abbiamo deciso di non contarle. Sono dodici anni che veniamo a Cogne ma un anno così non lo avevamo mai vissuto: siamo saliti più tardi per le abbondanti nevicate in primavera, poi l’alluvione, ma rispetto ad altri siamo stati molto fortunati».

«Restare quassù è un messaggio di speranza»

Questa storia non finisce qui. Una volta accertatosi che il gregge c’è ancora, il pastore deve decidere il da farsi. Rientrare con i camion in pianura o trovare un altro alpeggio dove portare le pecore. «Non è stata un decisione semplice. Abbiamo a disposizione due alpeggi ed entrambi in questo momento sono senza ponti, quindi irraggiungibili. Uno dei due è accessibile lungo una strada secondaria che in tutti questi anni non abbiamo mai usato perché la ritenevo impraticabile con le pecore: ci sono lastroni di pietra e tratti esposti in cui possono passare al massimo una o due per volta. Con l’aiuto di un gruppo di volontari, abbiamo tirato delle reti di protezione. Sono ancora incredulo, eppure ce l’abbiamo fatta: siamo saliti a Les Ors». È da qui che Cavagnet posta il suo buongiorno: un saluto mattutino mentre dal fondovalle risalgono i rumori dei mezzi all’opera per la ricostruzione.

Enrico Cavagnet in una foto di qualche inverno fa, dal suo profilo Facebook

Trasformare la paura nel desiderio di reagire. Tornare in quota anziché fare marcia indietro verso la città. «Noi qui siamo presidio e manutenzione del territorio, la bellezza di questi prati è anche merito nostro», continua Cavagnet. «Ho sentito il dovere di provare a raggiungere Les Ors, credo possa essere un messaggio di speranza per i valdostani che hanno subìto più danni di noi e un’opportunità per condividere immagini che possano rasserenare il turista». Ora manca ancora un ponte, quello del Lauson, «perché scendere è più complicato che salire, ma mi sono già rivolto alle istituzioni per chiedere che il ripristino provvisorio tenga conto dell’attraversamento del gregge».

La vista da Les Ors.

Intanto, c’è una comunità che non è parola vuota ma sostanza: «Ho avuto un sacco di richieste da persone che si sono rese disponibili ad accompagnarci nella nostra transumanza forzata. Ho dovuto dire diversi no perché il sentiero è stretto e soltanto chi è avvezzo alla montagna può percorrerlo con il gregge in sicurezza. Qui la gente ha un cuore grosso». Come gli abitanti di Cogne, che di fronte alle scuse sui Social per aver dovuto attraversare il centro storico provocando qualche danno alle fioriere, rispondono: «È stato bellissimo vedervi passare». O la bimba, in vacanza con la famiglia a Cogne, che ha fatto rimandare la partenza dei genitori perché voleva essere certa che il gregge che tanto l’aveva colpita nei giorni precedenti avesse resistito all’onda d’urto del maltempo. «Non passiamo inosservati», scherza Cavagnet. Poi aggiunge: «Se può servire a Cogne, a far vedere che si va avanti con quello che si ha, la racconti pure la mia storia. In autonno le pecore partoriranno e sarà la vita che continua».

L’immagine in apertura è di Antonio Sessa su Unsplash. Le altre foto sono state scattate da Enrico Cavagnet.


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