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Perdono

Grazia e perdono: la confusione è naturale, ma mentre la prima accade il secondo si deve chiedere. Atto di umanità contro il desiderio di rivalsa.

di Alter Ego

Di perdono si parla fin troppo, oggi, confondendolo con la grazia di cui questo rettangolo si è già occupato. Per carità, confusione naturale. Connaturata a un tempo, il nostro, che in nome di una laicità presunta (nessun peggior clericalismo di quello della pseudoragione) disprezza tutto ciò che non capisce. Oppure che mette sotto alla stessa etichetta cose diversissime. Come il perdono, appunto, che della grazia rappresenta come l?altra faccia, il lato oscuro, the dark side of the moon. Incommensurabile, però. Se infatti la grazia non si può chiedere ma può solo accadere, il perdono si chiede, anzi si deve chiedere. «Atto di umanità e generosità che induce all?annullamento di qualsiasi desiderio di vendetta, di rivalsa, di punizione», il perdono è dunque categoria umana, umanissima. Per ottenere il perdono, o per concederlo, è quindi necessaria fatica, impegno, desiderio anche. In ogni modo, il perdono è un gesto che accade quando ci sia la richiesta o la volontà di ottenerlo. Proprio come il perdono più famoso, quello che al secolo secolarizzato puzza di oratorio e sacrestia. Il perdono della Chiesa, del sacerdote, o dello Stato, del giudice, che in fondo è solo l?indulgenza corrisposta nei confronti di una determinata pratica devota. Ti perdono, se attraverso un gesto, un rito, un?azione (che manifesta una volontà di riscatto) mi dimostri che sei pronto a cambiare. Le cose sarebbero semplici se finissero qui. Epperò, non è così. Perché il perdono è anche una delle versioni della misericordia. Ti perdono anche se non fai niente perché io ti perdoni. Mistero dell?umano!


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