Non profit

Il pessimismo non ci avr

L'editoriale di Giuseppe Frangi sulla complicata situazione attuale nel nostro Paese.

di Giuseppe Frangi

Pessimismo: ecco la parola chiave che descrive l?Italia del 2004. Il pessimismo la stringe ai fianchi, ovunque si giri. Il pessimismo dei numeri, con quel misero Pil che non decolla, alla faccia del primo ministro imprenditore che disse di voler governare il Paese con l?efficienza (e la redditività) di un?azienda. Pessimismo dei numeri che si sgonfiano nei portafogli degli italiani, dove l?inflazione reale mangia più di quanto le statistiche non dichiarino e dove l?inflazione ?avvertita? addirittura semina angoscia. Pessimismo per uno smalto che si è perso, per una fantasia imprenditoriale che si è incagliata sull?apprezzamento dell?euro e sulle troppe truffe. Pessimismo persino davanti alla sana caduta di tante connivenze che smascherano le ipocrisie del sistema. Pessimismo davanti a un ?tutti contro tutti?, dove si ha la sensazione che persino il burattinaio, deus ex machina immancabile di ogni scenario, abbia perso la fiducia di poter portare a casa qualcosa (oggi persino il grande fratello non sa più esser ottimista?). Anche l?industria del divertimento è caduta in questa spirale: pensate al calcio, ridotto a pezzi da un affarismo spregiudicato che fa battere in ritirata persino i miliardari russi? C?è poi l?ultima frontiera del pessimismo, più pericolosa di ogni punto di Pil perso, di ogni finto bond smascherato. è il fatalismo che intacca la vita di ogni giorno, il piccolo cabotaggio del cinismo come unica ricetta per arrivare a sera. Ma davvero l?Italia è riducibile a questo scenario a senso unico? O forse questo è ciò che quel burattinaio senza infamia e senza lode, ha pianificato per noi? Porsi una simile domanda è già un modo di resistere. Di capire che la nostra vita non appartiene ai mediocri pianificatori di questo pessimismo. Di sottrarci a questa nuova melassa cupa. Ma c?è anche qualcos?altro da fare. O anzi, qualcos?altro di cui essere coscienti. Sono altri numeri, altre parole che raccontano di un?Italia un po? clandestina che percorre con assoluta tranquillità strade tutte sue. Dovessimo definirne il minimo comun denominatore, diremmo che è un?Italia che non ha perso il contatto con la realtà. Che guarda con indifferenza sorprendente all?imporsi delle mode, siano dettate dall?effervescenza di un idiota ottimismo o viceversa. Ma forse c?è di più: è un?Italia che non ha perso il gusto e il rischio di pensare. Ce ne siamo accorti realizzando questa serie di interviste per i dieci anni che ogni settimana chiudono il nostro giornale. Ogni personaggio che chiamiamo al registratore arriva in forza della notorietà positiva del suo agire. Ma davanti al registratore si scopre che dietro quel suo agire c?è sempre un pensiero, una capacità di dar ragioni ai propri gesti e di progettare, con la ragione, le azioni future. Sergio Cusani o Savino Pezzotta, Giuliano Pisapia o Angelo Bazzari, o tutti gli altri di cui avete letto o di cui nei prossimi mesi leggerete, hanno questo minimo comun denominatore. Non hanno alzato bandiera bianca sul pensiero. Nel suo ultimo bellissimo libro, che raccomandiamo a tutti i nostri lettori, Silvano Petrosino rilegge in chiave utile per l?oggi il mito di Babele. E spiega che Babele rappresenta l?uomo prigioniero dell?idolatria del fare e del costruire. Perciò Dio, per salvarlo, lo “obbligò a pensare”. Amici, non stanchiamoci di pensare. Così nessuno potrà tenerci ostaggio del suo pessimismo.


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