Salute

Un filo difficile da staccare

Assurti tragicamente all’onore delle cronache dopo l’incidente toccato ai chirurghi sardi, i professionisti dei trapianti si raccontano.

di Carmen Morrone

Solcano i cieli a bordo di elicotteri o di piccoli e veloci aerei a qualunque ora e in qualunque giorno dell?anno. Sono le équipe mediche dei trapianti. Con l?incidente in Sardegna di fine febbraio, qualcuno si è sentito di usare la parola eroi, ma loro si schermiscono e dicono di fare solo il loro dovere di medici. Gabriella Rossi, ematologo e infettivologo laureatesi nel 1981, è stata una delle prime a seguire il corso per coordinatore di trapianti. Siamo nel 1997, due anni prima della legge 91/99 istitutrice del servizio nazionale, quando la regione Toscana fa da apripista nel sistema delle donazioni di organi e tessuti. Così la dottoressa Rossi è una delle pioniere del settore. “Il coordinatore è un po? medico, un po? dirigente e anche un po? politico per i rapporti con le istituzioni, le associazioni di volontariato e per far crescere la cultura della donazione. All?inizio ho dovuto creare un sistema nuovo, formare un’équipe e una rete in funzione 24 ore al giorno per 365 giorni l?anno. La donazione è una catena che non deve avere anelli deboli”.

Una sconfitta professionale
A seconda dei casi, il coordinatore gestisce l?impianto o il prelievo di un organo. In quest?ultimo caso trova davanti a sé una persona appena deceduta, pianta da moglie, figli, parenti. “Per il medico la morte di un paziente è professionalmente una sconfitta e umanamente un dolore. Ma per un medico ?normale? tutto finisce qua, per noi invece inizia la parte più delicata del nostro lavoro, che è l?approccio con la famiglia”, continua Gabriella Rossi. In effetti, è già difficile accettare la morte di un caro, anche se questi si trova già da qualche giorno in condizioni disperate; in questo contesto il medico per i trapianti può essere considerato come colui che aggiunge altra sofferenza. “La gente ormai è arrivata a riconoscere l?importanza del trapianto per percorsi diversissimi e individuali”, ricorda la Rossi, “tuttavia consente al prelievo solo se ha piena fiducia nel medico curante che l?assicura anche per la ricomposizione della salma. Insomma la donazione non deve essere la richiesta del medico cui servono organi e tessuti, ma una scelta in cui la famiglia decide tra due possibilità”. Diverso il caso di chi muore di morte accidentale, in un incidente stradale. “Ammesso di riuscire a rintracciare in poche ore i familiari, questi vedono il parente steso sulla lettiga dell?obitorio freddo, incontrovertibilmente morto. Qui non c?è nessun cuore che batte e quindi capita che la famiglia consenta al prelievo dei tessuti come ossa, cute o valvole cardiache. Ma abbiamo comunque di fronte persone straziate dal dolore e dipende da noi trovare il momento e le parole opportune per proporre la donazione”.

Partenza e ripartenza
Dopo il consenso dei familiari, il coordinatore telefona al Centro trapianti per offrire gli organi disponibili. Il Centro trova nella lista d?attesa il possibile ricevente che viene allertato dal chirurgo curante, il quale parte per raggiungere il paziente donante. Terminata l?operazione, l?équipe medica riparte (avendo a disposizione solo pochissime ore) alla volta del paziente ricevente che si trova già in sala operatoria.
“La legge italiana è molto garantista, l?operazione di prelievo viene compiuta da un chirurgo del ricevente che toglierà il cuore in base alle esigenze del paziente ricevente. Ma una volta tornati al loro ospedale sarà un collega a fare l?operazione di impianto. Ciò per evitare che nessuno abbia interesse all?organo”. A parlare è Romeo Flocco, medico rianimatore all?ospedale civile di Campobasso, che insieme alla moglie Maria Michela Niro, neurochirurgo, coordina dal 1994 l?aspetto medico dei trapianti.
In dieci anni cosa è cambiato? “Il trend delle donazioni è in ascesa anche nel Sud Italia. In questi ultimi anni sono aumentati i donatori anziani che hanno subito un?emorragia cerebrale spontanea non traumatica o un?ischemia cerebrale. Tanto che si dovrà procedere ad innalzare l?età massima dei donatori, oggi ferma a 55 anni. Sono diminuiti i giovani, per la riduzione degli incidenti stradali mortali e per l?uso del casco che evita gravi traumi cranici”.

Consensi più sistematici
Il Molise, con i suoi 350mila abitanti, è una delle regioni con il numero più alto di prelievi, grazie anche alla sensibilità della gente. Dunque molti scelgono la donazione, ma i coordinatori avvertono: “Noi preferiremmo che la scelta non avvenisse in questi momenti. Preferiremmo che il no, oppure il sì, al prelievo non fossero dettati dalla spinta emotiva. Il tesserino blu consegnato insieme alla tessera del 2001 e lo sportello telematico presente in alcune Asl sono stati degli esperimenti. Sarebbe invece necessario che ci fosse una banca dati, sempre aggiornata e funzionante su tutto il territorio”.

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