Best practice

Casa Birba: molto più di un tetto per le donne migranti

La struttura di accoglienza gestita da Società Dolce a Bologna offre percorsi di inclusione sociale e lavorativa sperimentali. Ecco come funziona

di Silvia Vicchi

A giugno 2022, il Global Trends Report stimava una presenza in Europa di circa 13,6 milioni di rifugiati e richiedenti asilo, provenienti soprattutto da Medio Oriente e Africa. In Italia, molti migranti sono accolti nel Sistema di accoglienza e integrazione — Sai, cohousing e case di accoglienza gestite dal privato sociale e finanziate dal ministero dell’Interno. A Bologna, la cooperativa sociale Società Dolce, partner del consorzio L’Arcolaio, accoglie a Casa Birba, Casa Mila, San Biagio e Casa Melò ragazze e donne di origine africana, alcune delle quali giovani madri.

Esi, Nadia, Adwoa e le altre

Casa Birba in particolare è un interessante progetto sperimentale, che vede all’interno dello stesso stabile differenti risposte di accoglienza. Sono presenti due appartamenti per minori straniere non accompagnate, uno per donne con vulnerabilità psicologica e altri due per mamme e bambini. Vi abitano donne arrivate dalla Tunisia, dal Benin, dalla Costa d’Avorio, Nigeria, Colombia, Iraq, che si fermano per poche settimane, o diversi mesi, fino a massimo un anno.
Dalla convivenza nascono nuovi affetti, come tra Esi, 17 anni e Nadia, 18 anni, entrambe tunisine e amiche inseparabili di Raven, 16 anni, arrivata dalla Nigeria, uno dei Paesi più violenti al mondo, con profonde divisioni etniche e religiose, da tempo terra dei guerriglieri e delle compagnie straniere di estrazione.
Il governo della Guinea, invece, è in mano ai militari, che hanno preso il potere nel 2021 con un colpo di stato, scalzando una lunghissima dittatura, senza risolvere il problema della povertà. Il 94,5% delle ragazze è ancora vittima di escissioni genitali, un bambino su dieci non raggiunge i cinque anni e l’età media di vita è di soli 19 anni. Da lì, Dalila, 18 anni, è fuggita ed è arrivata a Casa Birba, per poi scomparire improvvisamente dopo qualche settimana. Da tempo diceva di volersi recare in Francia, dove parlano la sua lingua. Molte ragazze che approdano coi barconi attraverso il Mediterraneo, sono accolte in Italia, ma la metà di loro ormai si trova altrove, in altri Paesi europei.
Dalla Somalia invece arriva Adwoa, 17 anni, fuggita da una carestia causata dalla peggiore siccità degli ultimi 40 anni. Gioca con una palla rossa insieme a Moosa, 3 anni, figlio di Akilah, 22 anni, arrivata dal Mali, un Paese che dal 2012 ha subito tre colpi di Stato, numerose rivolte jihadiste e da dove ogni anno fuggono centinaia di migliaia di persone.

Aida, dalla Tunisia, ha potuto ricominciare a praticare la sua passione: pugilato alla Bolognina Boxe

Progetti personalizzati

«Le nostre strutture di accoglienza», spiega Carla Ferrero, responsabile area socio sanitaria di Società Dolce «non sono luoghi che offrono soltanto un tetto e cibo caldo, ma occasioni di ricostruzione di dignità e identità, dove ogni donna può trovare il proprio percorso verso l’integrazione e l’autonomia».
Le attività sono diversificate e personalizzate sulla storia di vita e sui sogni di ognuna delle giovani ospiti. «Tutte seguono corsi di lingua italiana» racconta Chiara Roccatagliata, coordinatore responsabile dei due servizi «e poi c’è chi frequenta una sartoria, un laboratorio di ceramica, o altri corsi di formazione, come quello per operatore socio sanitario, ma c’è anche chi va a scuola e perfino all’università. I bambini sono inseriti al nido, alla materna, o alla scuola primaria e le mamme sono sostenute con corsi sulla maternità e genitorialità. Nel tempo libero, ognuna può scegliere cosa fare. Creiamo le condizioni per una vita il più possibile normale, nonostante tutto».
L’Italia, lo scorso anno, ha reso disponibili circa 44mila posti Sai, oltre ai circa 63mila nei Centri di accoglienza straordinaria — Cas, per un numero di persone che l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu ha stimato in oltre 360mila, tra rifugiati e richiedenti asilo. Ad essi si aggiungono gli immigrati già residenti sul territorio it-aliano, che all’inizio del 2024 erano circa 5,3 milioni (dato in crescita rispetto alle precedenti rilevazioni), quasi il 9% della popolazione nazionale. L’84% vive nelle regioni del centro-nord. Dal primo gennaio al 23 maggio sono sbarcati sulle coste italiane 19.293 migranti (meno rispetto al 2023, ma più del 2022).In grande misura sono persone che fuggono dalle guerre, dall’estrema povertà, dalle violenze, dalle mutilazioni, dai matrimoni forzati, dallo sfruttamento e dalla tratta.

Un modello da fotografare

Il giovane fotografo Emiliano Medardo Barbieri è entrato a Casa Mila e a Casa Birba per raccogliere immagini che narrano la quotidianità delle giovani ospiti. Fotografie poi esposte in una mostra, ”Here I am”, uno sguardo silenzioso sui gesti, gli oggetti, i momenti di vita di un luogo dove immaginare e costruire il proprio futuro. «In questi due cohousing» ha detto Barbieri «ho raccolto i piccoli e i grandi momenti di una quotidianità costretta al distacco dalla propria cultura e dalla propria terra, nella speranza che i propri diritti siano riconosciuti. Una nuova vita per cominciare finalmente ad essere persona. Lungo il cammino alla ricerca di una vita dignitosa, tra le centinaia di migliaia di migranti annui, solo i più fortunati riescono a raggiungere i Paesi europei».

Le foto sono di Emiliano Medardo Barbieri e fanno parte della mostra “Here I am”


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