Volontariato

Bruno Brunod, due gambe e un catenaccio

Storia di uno che era il più forte e che ora corre solo per sé.

di Carlotta Jesi

Per gli esperti delle due ruote, è il più forte scalatore ciclista del mondo. Per i suoi amici, uno che dovrebbe essere estinto. Perché nonostante i suoi risultati da professionista – detiene i record di ascensione al Cervino, all?Aconcagua, al Monte Rosa e al Kilimangiaro – Bruno Brunod ha continuato ad abbinare l?allenamento al suo lavoro di muratore. E perché non si vergogna a dire che,sommando i compensi ottenuti in tutta la sua carriera sportiva, oggi potrebbe acquistare a mala pena una vettura di media cilindrata. Una lezione di vita che Brunod ha deciso di raccontare nel libro Ripensare lo Sport, scritto da Pietro Trabucchi ed edito da Franco Angeli, da cui è tratta questa intervista. Vita: Da dove viene la passione per il ciclismo? Bruno Brunod: Sono nato all?ospedale di Aosta nel 1962. Mi piaceva portare le mucche al pascolo, d?estate. Un giorno ero sull?alpeggio e mi è capitato tra le mani un vecchio giornale che parlava delle imprese di Coppi e Bartali. Sono stato come fulminato. Ho subito deciso che sarei diventato anch?io un campione. Sono sceso a valle e ho comprato una bicicletta. Però mi hanno fregato: era un catenaccio vecchio e pesantissimo. Vita: Quando sei diventato un atleta? Brunod: A militare, fungevo da inserviente tutto fare a Courmayeur. Un giorno mi hanno ordinato di tagliare il prato davanti alla casa del generale; ma io col tagliaerba elettrico non mi trovavo mica tanto. “Maresciallo”, ho detto, “se mi fa andare a casa a prendere la falce che uso per i fieni, faccio un lavoro che il generale è contentissimo”. “E come ci vai a casa, se non hai la macchina?”. “In bici, se mi lascia andare adesso stasera sono di ritorno”. Il maresciallo rise e mi lasciò partire. Quando mi vide già di ritorno nel pomeriggio, gli prese un colpo: “Alpino Brunod, tu sei un talento naturale. Tra dieci giorni c?è la gara ciclistica riservata agli atleti d?élite del Gruppo Sportivo. Io da oggi ti nomino atleta e t?iscrivo alla gara”. Vita: E come andò la gara? Brunod: Mi sono presentato con il catenaccio sotto la striscia di partenza. La gente rideva. Alla partenza per l?emozione caddi e gli altri sparirono subito dopo la prima curva. Allora mi prese una tale rabbia, forse perché mi sentivo deriso, che saltai sul rottame, ripresi il gruppo, e alla prima salita lo staccai. Vinsi con più di un minuto sul secondo. La mia carriera è cominciata quel giorno. Per fare il professionista mi hanno mandato in una squadra in Lombardia: lì ho visto delle cose che non mi sono piaciute tanto e così ho smesso con il ciclismo. Vita: E ha cominciato a correre in montagna… Brunod: La salita mi è sempre piaciuta; forse perché assomiglia un po? alla mia vita. Vita: Ha quattro figli, li incita a fare sport? Brunod: Non sopporto i genitori che spingono i figli nello sport. Credo che lo sport vada fatto solo se uno se lo sente dentro, come un grande desiderio.


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