Non profit
Vivere nel doping globale
Anteprima di VITA non profit magazine. L'editoriale di Riccardo Bonacina che, in compagnia del sociologo Bauman, inquadra l'attualità all'interno di un generalizzato doping morale
Dopati, pare non esserci scampo. Nel numero di Vita in edicola il professor Pietropolli Charmet dice che per un ragazzo dai 14 ai 18 anni che abiti in una grande città, le possibilità di evitare il contatto con la droga sono oggi pari a zero. Dopato è lo sport, con la pratica del doping che tanta parte ha avuto nel declino e nella tristissima morte di un popolarissimo eroe sportivo come Marco Pantani. Dopata è l?economia con il doping amministrativo che ha determinato prima il crack dell?azienda simbolo dell?alimentazione dei nostri figli (latte, succhi e merendine), e poi la tristissima dinasty di una famiglia dalle ottime frequentazioni come i Tanzi. Dopata è l?aria con i suoi livelli record d?inquinamento prodotto dai 31 milioni di veicoli in movimento. Dopato è il cibo, con conigli e suini cresciuti ad antibiotici e anabolizzanti, ma anche con le mucche e i polli che non se la passano per niente bene.
Il doping come causa e insieme effetto del livello di vita della parte del mondo che noi chiamiamo ?sviluppata?. Causa, poiché il doping è il trucco per gonfiare tutto, dai muscoli ai profitti, dalle prestazioni ai bilanci; effetto, perché ne è anche il suo frutto di disperazione, è la via di fuga, la scorciatoia che stritola un uomo senza più certezze e legami. Cioè senza moralità.
Come uscirne? C?è una via di uscita? Sepolti con i casi Enron e Parmalat ciò che restava dei codici etici e delle pratiche universali di condotta morale, dove fondare i presupposti per una ripresa di moralità, privata e pubblica?
In un libro bello e recentissimo (Una nuova condizione umana, edizioni Vita e Pensiero), Zygmunt Bauman ci aiuta a riflettere su questa capitale questione. Bauman avverte che l?unica condizione per un possibile risveglio morale può consistere, non più nel rispetto di regole che non tengono più e che sono solo scritte sulla carta, ma solo in una nuova pratica dell?esercizio della responsabilità.
Non c?è moralità possibile, avverte il grande sociologo, se non nella capacità di ricominciare a riconsiderare e a guardare in faccia le proprie responsabilità. Un compito particolarmente difficile nell?epoca della globalizzazione e dell?uomo senza legami.
“Per un gran numero di problematiche sociali, un tempo lo Stato si assumeva le responsabilità che oggi ricadono sulle spalle di uomini e donne costretti a cercare soluzioni individuali a questioni prodotte socialmente”, scrive Bauman.
E sono spalle fragili, avverte: “Perché gli uomini d?oggi stanno perdendo quella preziosa arte che permetteva di tradurre i problemi privati in questioni pubbliche e viceversa, conditio sine qua non di ogni democrazia. Oggi, invece, la ribalta pubblica viene utilizzata per mettere in scena i drammi privati, lo spazio pubblico si è corrotto sempre più in uno spazio in cui ostentare faccende individuali che rimangono tali e che interessano solo perché tali”.
Se questo è il mondo e il tempo che abitiamo, per Bauman, però, c?è oggi un?opportunità enorme per il risveglio della responsabilità personale e pubblica: “Forse, oggi, per la prima volta nella storia, la questione etica e lo spirito di sopravvivenza non divergono, ma puntano nella medesima direzione e richiedono le stesse modalità di intervento. E, per quanto ciò possa apparire retorica, si tratta di una questione di vita o di morte”.
Proprio così, la questione etica oggi porta il nome della responsabilità, verso noi stessi, i nostri figli, le nostre imprese e il nostro lavoro, verso l?ambiente che abitiamo, verso la metà della popolazione mondiale che ogni sera va a letto senza aver mangiato.
È questione di vita o di morte, in modi diversi, ma per tutti.
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