Cultura

Paolo Rumiz, ciclo giornalista. Più si pedala e più il mondo si fa amico

Ha iniziato grazie a suo figlio. Oggi ha scritto due libri e tanti reportage. Sempre in sella.

di Stefano Arduini

“Una passione senile”, così il giornalista di Repubblica e scrittore Paolo Rumiz definisce il colpo di fulmine con la bicicletta avvenuto a 50 anni suonati. Sei anni e due libri dopo (Tre uomini in bicicletta ed È Oriente, Feltrinelli), eccolo a progettare un?altra avventura: destinazione San Pietroburgo. Vita: Si ricorda la prima volta che ha impugnato un manubrio? Paolo Rumiz: Come dimenticarlo! Tutto è avvenuto grazie a mio figlio Michele, che allora aveva 16 anni. Avevamo deciso di fare qualcosa che ci legasse per sempre. Qualcosa di cameratesco, prima che io invecchiassi troppo e lui andasse via di casa: una settimana da Trieste a Vienna. Vita: Come andò? Rumiz: Fu una rivelazione da tutti i punti di vista. Abbiamo scoperto noi stessi e l?altro, oltre che l?immenso valore aggiunto della lentezza. Da allora la bici è diventato un modo di raccontare le cose. Le due ruote allineano gli incontri su un filo. Basta seguire quello, e il racconto è fatto. Pedali e incontri le persone. Tutto è già in ordine senza interferenze. Vita: Ma tutto è anche molto lento. Rumiz: Il ritmo di attraversamento del paesaggio e degli uomini è tale che diventa stile. La bicicletta mi ha aiutato a rifondare la scrittura. Tanto che nel mio ultimo libro è Oriente le ho dedicato due capitoli: nel primo, racconto il viaggio con mio figlio e nell?ultimo, l?attraversamento su due ruote del Nord-Est che lavora. Il luogo più frenetico percorso con il mezzo più lento. Una provocazione. Vita: Come reagiscono gli italiani di fronte alla lentezza? Rumiz: Incantamento: ecco il guru che mi dice la verità sul modo migliore di passare la vita. Oppure, invidia: ti odiano perché la lentezza rappresenta ciò che loro non hanno. Infine, aggressività: se li costringi ad andare piano, in qualche modo li infastidisci e se potessero ucciderti lo farebbero. Quando sono stato a Kabul per lavoro ho rischiato infinitivamente meno di quando giro qui in Italia. Vita: Le piace il ciclismo dei professionisti? Rumiz: Una volta la bicicletta era un?icona della paciosità e dell?armonia della Padania. Oggi è diventata un simbolo intollerabile. Viene accettato solo chi si dopa nello sport come nella vita. Se non ci fermiamo un attimo a riflettere, Pantani sarà il nostro destino. Vita: Ti emozionava il Pirata? Rumiz: Oggi questo sport mi fa schifo, non mi interessa più. Nonostante Pantani mi abbia regalato dei brividi di autoidentificazione fenomenali. Vita: A proposito, mai fatto ricorso a integratori ? Rumiz: Il mio integratore era la birra. Circa tre litri al giorno. Vita: Tre anni fa scriveva: la bici è una cosa di sinistra. Ancora convinto? Rumiz: Forse non lo riscriverei. Rimane però uno strumento con cui ci si aggancia al territorio. Ed è un?arma eccezionale per distruggere gli stereotipi sulle persone. In Serbia ci hanno accolti come pascià, con tanto di servizi televisivi. E li avevamo bombardati un anno prima.


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