Scuola
Insegnanti di sostegno: prima l’emergenza o la qualità?
La Commissione Cultura della Camera ha avviato l'esame del decreto legge che introduce diverse novità sul sostegno, per la sua conversione in legge. Chi ha già lavorato per tre anni, pur non avendo la specializzazione, ora potrà avere il titolo con un percorso formativo dimezzato. Una formazione ad hoc, ancora da disegnare, ci sarà anche per chi si è specializzato all'estero. Le novità e i commenti
La legge ancora non è definitiva, ma già sui gruppi Facebook dedicati all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità si sono scatenate un’infinità di polemiche, con genitori che in nome della continuità didattica hanno già chiesto al dirigente la conferma dello stesso insegnante di sostegno per l’anno prossimo, docenti onorati e docenti scandalizzati, con commenti che vanno dal «e che siamo al mercato del bestiame?» al «non siamo di proprietà di nessuno». Ne vedremo di belle. Ma l’articolo 8, comma 1, del decreto legge 71 del 31 maggio 2024 – finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale e assegnato alla VII Commissione Cultura della Camera per la sua conversione in legge – è solo uno dei nodi critici di un decreto emergenziale in cui si cerca di mettere toppe alle magagne più macroscopiche del sistema di inclusione scolastico italiano.
I prof per gli alunni stranieri? Arrivano a settembre 2025
Prendiamo per esempio l’articolo 11, misure per l’integrazione scolastica degli alunni stranieri. A fine maggio, al termine del Consiglio dei Ministri, il ministro Giuseppe Valditara aveva annunciato che «nelle classi dove gli studenti di origini straniere, e che abbiano importanti carenze nella conoscenza della lingua, siano uguali o superiori al 20%, dal 2025 arriverà un docente adeguatamente formato che affiancherà con lezioni di potenziamento il lavoro di classe». Una scelta di realismo e di concretezza, che aveva strappato il plauso per Valditara di personaggi del calibro di Eraldo Affinati o Alex Corlazzoli. Ora che il decreto è pubblico, però, si scopre che i docenti specializzati per l’insegnamento dell’italiano come L2 arriveranno in classe non a gennaio 2025 – come pareva dalle parole del ministro – bensì dall’anno scolastico 2025/2026. La bontà della scelta resta, ma un po’ smorzata dalla tempistica e dall’impressione di un non detto creato ad arte. Per l’anno scolastico 2024/2025, le scuole dovranno accontentarsi di attività di potenziamento didattico in orario extracurricolare a valere sulle risorse del PN Scuola e competenze 2021/2027.
Le classi? Sono 756
Un decreto dovrà definire quante e quali sono le classi con una percentuale di studenti stranieri pari o superiore al 20% che si iscrivono per la prima volta al sistema nazionale di istruzione e che non sono in possesso delle competenze linguistiche di base in lingua italiana. Nella relazione che accompagna l’invio del decreto ai parlamentari, si legge che «gli alunni stranieri neoarrivati in Italia nella scuola primaria e secondaria sono 27.566 e rappresentano lo 0,44% del totale degli alunni e il 3,8% degli alunni stranieri. I plessi con classi in cui è presente un numero di alunni stranieri neoarrivati superiore al 20% sono 237 in tutta Italia. Le classi che registrano una presenza di alunni stranieri neoarrivati superiore al 20% sono 756. Nella scuola secondaria di I grado all’esito degli scrutini dell’anno scolastico 2022/2023 la percentuale di studenti italiani che hanno riportato in italiano un voto pari o inferiore a 4 è pari allo 0,30%, percentuale che sale all’1,12% per gli studenti stranieri e che raggiunge l’1,61% per gli studenti stranieri nati all’estero. Nella scuola secondaria di II grado all’esito degli scrutini dell’anno scolastico 2022/2023 la percentuale di studenti italiani che hanno riportato in italiano un voto pari o inferiore a 4 è pari al 2,0%, percentuale che sale al 5,4% per gli studenti stranieri e che raggiunge il 6,3% per gli studenti stranieri nati all’estero.
Docenti di sostegno, stesso titolo con metà crediti
Ma il vero punto del dibattito sono le misure emergenziali per il sostegno, in un decreto che non a caso si intitola “Disposizioni urgenti”. Il decreto-legge contiene due misure che riguardano gli insegnanti di sostegno. La prima prevede una nuova offerta formativa di specializzazione sul sostegno, destinata solo ai docenti di sostegno precari che da anni già insegnano in questo ruolo pur non avendo la specializzazione. In Italia un docente di sostegno su tre è in cattedra senza avere una formazione specifica e il 60% degli alunni disabili cambia insegnante da un anno all’altro. L’articolo 6 del decreto legge ironicamente si intitola “Potenziamento dei percorsi di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità”: in via straordinaria e transitoria, in aggiunta ai percorsi ordinari di specializzazione sul sostegno attivati dalle università (TFA sostegno, giunti alla IX edizione) che prevedono 60 CFU, fino al 31 dicembre 2025 la specializzazione per il sostegno si consegue facendo una formazione da 30 CFU attivata da Indire o dalle stesse università. A questo percorso breve potrà accedere chi ha prestato servizio su posto di sostegno per almeno tre anni scolastici, anche non continuativi, negli ultimi cinque anni. La relazione tecnica del provvedimento «riferisce che la platea dei destinatari dei predetti percorsi ammonta a 71.788 docenti».
Gli 11mila specializzati all’estero (dove l’inclusione non c’è)
Il secondo punto del decreto legge riguarda la risoluzione del contenzioso collegato al mancato riconoscimento dei titoli di specializzazione sul sostegno conseguiti all’estero. L’articolo 7 resta tuttora fumoso, nel senso che si limita a prevedere che chi ha conseguito un titolo di specializzazione sul sostegno in un altro paese Ue, possa fare un percorso di formazione attivato dall’Indire, riferito a un solo grado di istruzione, presentando contestualmente all’iscrizione la rinuncia ad ogni istanza di riconoscimento sul sostegno o contenzioso pendente. Negli altri Paesi tuttavia, non c’è lo stesso modello inclusivo che ha l’Italia. La relazione tecnica «rappresenta che ad oggi il Ministero ha in carico 11.255 richieste relative al sostegno. Conseguentemente, la platea dei destinatari dei percorsi di formazione Indire deve essere parametrata a tali 11.255 istanze alle quali andranno sottratte quelle oggetto di provvedimento espresso di rigetto ad oggi ammontanti a 50».
Entro 60 giorni un decreto del Ministro dell’istruzione e del merito, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca, definirà i criteri di ammissibilità dei titoli esteri e i corrispondenti requisiti di qualità, nonché i contenuti formativi dei percorsi in questione.
Decreto sì, perché le criticità emergenziali sono troppe
«Dobbiamo partire dai dati di realtà e fare i conti con quella. Da anni diciamo che la scuola a settembre inizia per tutti tranne che per gli alunni con disabilità, denunciamo le criticità del sistema e il fatto che su 228mila insegnanti di sostegno ce ne siano 85mila non specializzati. E su 13mila posti a disposizione con il concorso, si sono presentati in 2.500. È chiaro che serve tamponare in emergenza una situazione che ci portiamo dietro da diversi anni», commenta Vincenzo Falabella, presidente di Fish. «Il decreto mi piace? No. Lo reputo necessario? Sì».
La Fish ha già chiesto di essere audita in Commissione VII e ai ministri Valditara e Bernini di avviare un confronto per “ristrutturare” l’attuale sistema di formazione. «Serve un cambio di paradigma, con una vera e propria scuola di specializzazione sul sostegno da istituire presso le università, con tempi formativi ben definiti e prevedibili, in tutte le università, che in breve tempo potrebbe arrivare a formare insegnanti specializzati a cadenza annuale», spiega Falabella.
Serve un cambio di paradigma, con una vera e propria scuola di specializzazione sul sostegno da istituire presso le università, con tempi formativi ben definiti e prevedibili
Vincenzi Falabella, presidente Fish
«Verrebbe superata l’attuale modalità di selezione la quale, prevedendo tre prove assai strutturate, risulta essere estremamente onerosa sul piano organizzativo e infine, si potrebbero convogliare in questa scuola tutte le formazioni post lauream (master, corsi di specializzazione) e la formazione continua che in tutti questi anni le università Italiane hanno organizzato per rendere sempre più capace e competente la scuola nell’affrontare le problematiche degli allievi con bisogni educativi speciali».
Il secondo punto è la cattedra dedicata per il sostegno, «perché abbiamo docenti specializzati che però poi passano sulla disciplina. La nostra proposta di legge, che garantisce una formazione apposita sulle diverse didattiche inclusive e le conoscenze delle diverse condizioni di disabilità, andrebbe a formare insegnanti specializzati che saranno finalmente sullo stesso piano del curricolare».
Gli emendamenti necessari
Nello specifico, poi, per apportare miglioramenti al decreto 71, la Fish chiederà di inserire in maniera esplicita che per garantire la continuità didattica lo stesso insegnante può essere riconfermato per tre volte consecutive e non per un anno solo e chiederà che i 30 CFU previsti per i percorsi formativi di Indire salgano a 40 CFU, con attività laboratoriali sulle diverse condizioni di disabilità.
«La valutazione della consulta scuola di Anffas sul testo approvato è che lo stesso sia irricevibile ed inemendabile», dice Roberto Speziale, presidente Anffas. «Tuttavia Anffas darà il proprio contributo per tentare di migliorare il testo in sede di conversione del decreto. Sappiamo che non ci sono grandi spazi ma, come già dichiarato dal presidente Fish, sarebbe importante prevedere una formazione aggiuntiva per il personale immesso in servizio senza avere acquisito la prevista specializzazione; un non automatico riconoscimento dei titoli di specializzazione acquisiti all’estero; un diretto coinvolgimento delle università nei percorsi formativi, non delegando solo a Indire tale compito; la previsione che i gli ulteriori atti attuativi siano adottati con il concerto del ministero per le Disabilità e con il parere dell’Osservatorio sull’inclusione scolastica, che va ricostituito al più presto e dell’Osservatorio sulla condizione delle persone con disabilità».
Per Speziale occorre anche «rafforzare il diritto alla continuità didattica che allo stato attuale risulta subordinato a tutta una serie di condizioni che ne renderanno estremamente complessa la concreta attuazione», Insomma, «se il Parlamento non desidera che si ponga una pietra tombale sull’inclusione scolastica, in sede di conversione tenga conto delle proposte migliorative avanzate dalla Fish».
Se il Parlamento non desidera che si ponga una pietra tombale sull’inclusione scolastica, in sede di conversione tenga conto delle proposte migliorative avanzate dalla Fish
Roberto Speziale, presidente Anffas
Decreto no, abbassa la qualità dell’inclusione
Per Dario Ianes, ordinario di Pedagogia dell’inclusione all’Università di Bolzano, «è paradossale che per risolvere il problema della qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità… abbassiamo la qualità dell’inclusione. Sono sempre più convinto che il paradigma attuale vada cambiato radicalmente, è finita l’epoca dell’insegnante di sostegno specializzato, perché più sei specializzato più il sistema intenderà l’insegnante come l’insegnante dell’alunno con disabilità e quindi più scatterà il meccanismo di delega». Il problema per lui non sono tanto i 30 o 40 CFU, ma il fatto che la formazione sarà online e le regole (ancora da scrivere) per il riconoscimento di crediti acquisiti per esami pregressi: «Tanta della qualità ce la giocheremo lì».
È paradossale che per risolvere il problema della qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità… abbassiamo la qualità dell’inclusione. È finita l’epoca dell’insegnante di sostegno specializzato
Dario Ianes, ordinario di Pedagogia dell’inclusione all’Università di Bolzano
Dello stesso avviso Evelina Chiocca, insegnante di sostegno specializzata, docente nei corsi di specializzazione per il sostegno e presidente del Coordinamento insegnanti italiani di sostegno. «Com’è possibile che percorsi tanto differenti poi rilascino lo stesso titolo? Il profilo professionale è lo stesso, ma per conseguire il titolo servono ora 60 CFU ora 30? E non mi si dica che tre anni in cattedra “valgono” 30 crediti, perché chi ha lavorato senza titolo non aveva alcuna competenza professionale quando ha iniziato e non l’ha dopo tre anni, perché nessuno quelle competenze le ha nutrite. È assurdo, piuttosto questi docenti potrebbero entrare negli attuali percorsi di specializzazione senza prove selettive, mi parrebbe una strada più equa». Ancora meno le piacciono i corsi dalle modalità ancora ignote per chi ha conseguito il titolo all’estero: «Quale esperienza ci sarà in questa formazione fatta all’estero, se nelle scuole degli altri paesi l’inclusione come la intendiamo in Italia non c’è?».
Una sola sarebbe per Chiocca la soluzione «seria, doverosa e inderogabile»: «Inserire nella formazione iniziale di tutti i docenti quelle competenze che ti consentono di lavorare con gli alunni con disabilità. Si tratta di competenze didattiche e pedagogiche, non sanitarie, di metodologie che permettono di gestire meglio la classe tout court. Nei libri di pedagogia scriviamo da anni che l’utilizzo di didattiche inclusive migliora la qualità della didattica: se è vero, puntiamoci».
No alle scorciatoie
Contraria anche la voce delle università. Catia Giaconi, docente di didattica e pedagogia speciale all’Università di Macerata e presidente della Società italiana di pedagogia speciale-SipeS, afferma che «questo decreto ci lascia perplessi e ne prendiamo le distanze come studiosi e come docenti accademici che hanno diretto i corsi di specializzazione organizzati in questi anni e che hanno visto la qualità dei percorsi, fatti in presenza, con laboratori e tirocini, andando a costruire quelle relazioni educative significative che fanno la differenza. La riduzione di questi percorsi a 30 CFU mina non solo la qualità della formazione del futuro docente di sostegno, ma mina anche la qualità dell’inclusione. Diciamo no alle scorciatoie, la formazione richiede tempo e passaggi precisi anche per chi ha tre anni di servizio».
Foto Avalon/Sintesi
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