L'Europa che sarà
Il Green deal? Avanti con inerzia, ma senza investimenti
Che ne sarà del Green deal e delle politiche per l'ambiente, nell'Europa del dopo elezioni? Ne parliamo con Davide Sabbadin, esperto di clima presso l’European Environmental Bureau
di Alessio Nisi
Il Green deal, il patto verde europeo, è un progetto tanto ambientale e politico quanto sociale ed economico che ha fornito risposte importanti sul fronte del clima, dell’energia, dell’economia circolare, meno sui grandi temi della biodiversità, sull’uso intelligente della chimica, sull’uso dei pesticidi, sulle aree degradate. Il suo percorso a Bruxelles? Un bilancio complessivo positivo, nonostante tutto. «Nessun altro periodo storico ha visto tanta normazione su questi temi come quella appena conclusa, nonostante una seconda parte della legislatura in cui c’è stato un rallentamento», spiega Davide Sabbadin, esperto di clima presso l’European Environmental Bureau, rete europea di organizzazioni di cittadini ambientalisti che riunisce oltre 170 organizzazioni della società civile provenienti da più di 35 paesi europei.
Ma ora che succede? O meglio, che cosa può succedere al patto verde europeo alla luce dei sommovimenti delle ultime elezioni? Quanto influirà l’avanzata delle destre estreme e il calo dei verdi nelle politiche verdi di Bruxelles? Andrà avanti, con prudenza certo, sostiene Sabbadin, che non vede all’orizzonte grandi terremoti ma neanche grandi innovazioni.
«La maggioranza, con una componente conservatrice più marcata, credo finirà con lo sviluppare quello che in termini di Green deal è stato già deciso». Su spinta delle destre «ci potrebbe essere una timida frenata su alcune tecnologie, come le auto elettriche o le pompe di calore, a favore di altre ma vedo all’orizzonte una manomissione di norme fondamentali». Certo, resterà appesa al nodo della unanimità tuttavia un tema fondamentale, «la proposta di revisione della direttiva sulla tassazione energetica». Al tempo stesso il futuro ci porterà in Europa ad una nuova visione della sostenibilità ambientale, quella legata alla sicurezza militare (un tema emerso con la crisi ucraina), alla resilienza e alla competitività del continente.
Sabbadin, quali sono le previsioni sul Green deal in relazione alle maggioranze più probabili che si formeranno a Bruxelles?
Rispetto all’avanzata delle forze anti europeiste, va detto, il risultato delle elezioni è meno grave di quello che si poteva immaginare all’inizio. Poi, le somme tra le forze progressiste e quelle quelle conservatrici sono più o meno pari. È molto probabile dunque che Ursula von der Leyen si ripresenti e che abbia una maggioranza analoga a quella precedente, eventualmente allargata ai Verdi, che pure hanno avuto un risultato negativo. Sono tutti partiti questi per i quali il Green deal continua ad essere uno dei punti importanti.
Non solo uno dei punti importanti per gli ambientalisti, il Green deal è considerato strategico per l’economia…
Perfino il Fondo monetario internazionale ha sostenuto che investire nella direzione intrapresa dall’Unione Europea per quanto riguarda soprattutto il tema emissioni ed energia è sicuramente più economico nel medio periodo di quanto non lo sia non far nulla e continuare con la dipendenza dalle fonti fossili. Fonti che sono per la grande maggior parte appunto importate in Europa.
Quale parte del Green deal non è stata implementata e rischia di non esserlo?
C’è tutta la parte che aveva a che fare con la biodiversità, le bonifiche, la parte che riguarda l’agricoltura, la diminuzione della chimica in agricoltura, il favorire la biodiversità anche nei campi, l’aumento della percentuale di biologico. E poi tutta la strategia sul cibo, diretta alla diminuzione del consumo di carne. Ecco, questo aspetto, che è altrettanto importante sia sul piano economico che su quello climatico, non è stato implementato. Anzi è stato oggetto di molte retromarce negli ultimi 9 mesi.
Quindi che succederà?
Succederà che, con lo spostamento a destra del Partito Popolare europeo, si avrà nei confronti del Green deal un atteggiamento più prudente. Per quanto la maggioranza sia la stessa, il vento politico è diverso.
Avanti con prudenza insomma.
Un elemento da sottolineare è che il Green deal ha una serie di flessibilità, che lasciano spazio all’interpretazione. Flessibilità che sono sia di carattere sia europeo che di carattere nazionale. Molte norme cioè sono delle direttive che devono essere integrate nella normativa nazionale e nell’adozione della direttiva c’è spazio per l’interpretazione. Interpretazione che può essere più o meno stringente, più o meno conservatrice, più o meno ambiziosa. È importante sottolineare poi che quando si parla di neutralità climatica negli ultimi 9 mesi ho visto una fortissimo ritorno di soluzioni “tecnocratiche”, che non mettono in discussione il nostro stile di vita e il nostro modello di sviluppo ma si limitano ad applicare alcune tecnologie per risolvere il problema senza appunto mettere in discussione la causa. Penso all’idrogeno o al sequestro di CO2, al sequestro di anidride carbonica nel terreno, come anche al nucleare. Ecco, questi sono temi molto cari alla destra e al centro destra, ma non sono decisivi per il raggiungimento della neutralità climatica.
Che effetto avrà tutto questo sul Green deal?
Mi aspetto che all’esterno la scatola del Green deal rimarrà con le stesse parole d’ordine e le stesse priorità apparenti. Mentre all’interno potrebbe venire svuotata, con uno spostamento delle risorse e senza fare gli investimenti che invece si devono fare. Penso alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica.
Tra le proposte normative che nel corso della passata legislatura non sono state implementate c’è la revisione della direttiva sulla tassazione energetica. Lei la considera fondamentale…
Non credo sarà all’ordine del giorno neanche nella prossima. Sì, è fondamentale. La bozza prevedeva tre categorie di vettori energetici, dai più sporchi ai più puliti, e la tassazione era regolata in base ad una gerarchia. La corrente elettrica da fonti rinnovabili non poteva essere tassata di più rispetto a quella generata da fonti fossili. Il fatto è che l’Ue ha pochissima competenza in ambito fiscale e si tratta di norme vincolate all’unanimità degli stati membri.
Resilienza, competenza e sicurezza sono per lei le tre parole chiave che caratterizzeranno l’approccio della prossima legislatura al Green deal e ai temi della sostenibilità ambientale
Da oggi ai prossimi 5 anni il rapporto tra sicurezza ed energie rinnovabili è una delle chiavi di lettura. Il cambiamento climatico comporta scombussolamenti di carattere geopolitico molto forti. Non solo. La guerra in Ucraina ha messo in evidenza come i grandi impianti di produzione di energia (ancora di più se si tratta di centrali nucleari) sono molto vulnerabili ai blackout e difficili da difendere. In questo senso si stanno sviluppando ragionamenti su come le energie rinnovabili, in quanto reti molto più flessibili e riconfigurabili, possano essere più resilienti in caso di attacco. È un valore questo delle energie rinnovabili che nessuno fino a prima delle guerra in Ucraina immaginava.
Sulla competenza?
Credo aumenterà l’attenzione che c’è tra fonti rinnovabili intese come energie made in Europe. Quindi si punterà molto sull’autosufficienza energetica e sulla necessità di accorciare la filiera dell’energia, ma anche sulla produzione in Europa di auto elettriche, pompe di calore e batterie. Temi questi che incrociano la capacità di attirare capitali di investimento.
In apertura foto di Etienne Girardet per Unsplash. Nel testo l’immagine di Davide Sabbadin è dell’autore
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