Sanità
Cure palliative pediatriche, sette regioni non hanno recepito la legge nazionale
Valle d’Aosta, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna non hanno un hospice dedicato ai piccoli pazienti che necessitano di queste cure particolari, e neppure un'adeguata assistenza domiciliare. Ma i problemi si avvertono anche al Nord
La triste storia di Elena, una bambina sarda morta a mille chilometri di distanza dalla sua terra perché nell’Isola non c’è un hospice pediatrico, ha scosso le coscienze e fatto parlare le cronache anche di recente. Eppure, è soltanto uno dei tanti casi del genere che si registrano in Italia. Sì, perché la Sardegna è una delle sette regioni (le altre sono Valle d’Aosta, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise e Basilicata) in cui non sono presenti strutture di questo tipo dedicate alle cure palliative pediatriche – Cpp. Questo dato fa da contraltare alla maggiore attenzione che si è registrata negli ultimi decenni in merito ai pazienti adulti.
Il calvario di Elena (una bimba alla quale era stato diagnosticato un sarcoma osseo di Ewing, quando aveva appena sei anni) è del tutto simile a quello che affrontano altre migliaia di bambini malati oncologici, e non solo. Ancora oggi sua mamma non si dà pace perché, oltre al dolore causato da una patologia che non ha dato scampo, la figlia ha trascorso gli ultimi 120 giorni della sua vita lontano dalla sua casa, dai suoi parenti, dai suoi amici. Non ha mai potuto beneficiare dell’assistenza domiciliare perché in Sardegna, per i pazienti in età pediatrica, non è prevista. Così si è dovuti ricorrere alle cure dell’ospedale Careggi di Firenze. Il padre, straziato dal dolore, è morto poco tempo dopo.
Una vicenda difficile da accettare. «L’accesso alle cure palliative pediatriche è garantito solo al 15% dei 30mila bambini che in Italia ne avrebbero bisogno, e ben sette regioni non hanno centri o strutture dedicate a questo servizio specialistico, di conseguenza i piccoli pazienti e le loro famiglie sono costretti a fare viaggi estenuanti e a trascorrere lunghi periodi lontani da casa per ricevere le cure necessarie», è la denuncia dell’Odv “Peter Pan” di Roma, presieduta da Roberto Mainiero: un’organizzazione di volontariato che accoglie, insieme alle loro famiglie, i bambini malati di cancro che si recano a Roma per ricevere le cure necessarie. L’occasione si è presentata al convegno “Qualità della vita, qualità delle cure palliative pediatriche. La figura del caregiver”, una delle tappe romane del 3° Giro d’Italia delle cure palliative pediatriche.
«In verità, le ultime stime parlano di 35mila bambini italiani che ogni anno necessitano di queste cure e di queste attenzioni», precisa Moreno Crotti Partel, consigliere nazionale della Federazione cure palliative. «La copertura arriva appena al 18%, ci sono soltanto 8 hospice pediatrici in tutta l’Italia. Il problema si avverte maggiormente nelle regioni del Sud, e ovviamente è accentuato per la Sardegna a causa dell’insularità, ma vi assicuro che è molto sentito anche in Lombardia: le strutture esistenti non sono sufficienti per coprire le tantissime domande di assistenza. È un dramma che viviamo tutti i giorni e che la classe politica non ha saputo fronteggiare e risolvere, nonostante ci sia una legge (la n. 38/2010) che ha istituito la rete delle cure palliative sia per gli adulti che per i bambini. Evidentemente, in tanti sono ancora convinti che il bambino sia l’essenza della salute. E se fortunatamente è vero per tanti, non altrettanto si può dire per alcune decine di migliaia di loro».
Crotti Partel fornisce un altro dato che lascia senza parole: «La presa in carico di un bambino con queste problematiche può arrivare addirittura a 44 mesi: si tratta di bimbi e rispettive famiglie spesso abbandonati a se stessi, che a volte non riescono neppure ad essere presi in carico da una struttura perché muoiono prima. Di solito sono i genitori (nel 90% dei casi, il caregiver è la madre, ndr) a prendersi carico di queste creature, e spesso sono costretti a fare un numero esorbitante di accessi al Pronto soccorso perché a casa non hanno tutti i mezzi necessari. Ecco perché, per il terzo anno, per tutto il mese di maggio e sino al 16 giugno 2024, promuoviamo il “Giro d’Italia delle cure palliative pediatriche”: l’intento è di sensibilizzare i decisori politici e tutta la popolazione su un tema di grande attualità».
Per quanto riguarda i neonati/bambini/adolescenti malati, negli ultimi decenni si è assistito a un lento e continuo cambiamento dei bisogni di assistenza palliativa, con un netto incremento della prevalenza dei bambini portatori di malattia inguaribile e/o disabilità grave: si tratta di nuove tipologie di pazienti che vivono anche per lunghi periodi di tempo. Il progresso medico e tecnologico ha certamente ridotto la mortalità neonatale e pediatrica rispetto a 40-50 anni fa, ma allo stesso tempo ha aumentato la sopravvivenza dei pazienti pediatrici portatori di malattia grave e potenzialmente letale. L’aumento della sopravvivenza, il contrarsi del numero di nascite, il rallentamento della crescita della componente straniera, l’aumento dell’instabilità coniugale e la riduzione dell’ampiezza familiare hanno profondamente modificato la dimensione, la struttura e la consistenza della rete familiare, impattando sui ruoli degli attori che la compongono e sulle loro interconnessioni.
«Molti bambini con bisogni di cure palliative, pur essendo affetti da patologie inguaribili, hanno una buona qualità della vita per lungo tempo e continuano a crescere e confrontarsi con le diverse fasi di sviluppo fisico, psicologico, relazionale e sociale che l’età pediatrica comporta», sottolinea ancora Crotti Partel. «Le cure palliative pediatriche non sono, infatti, le cure della terminalità (cioè la presa in carico di un bambino e della sua famiglia nel periodo strettamente legato all’evento della morte), bensì prevedono l’assistenza precoce all’inguaribilità: iniziano al momento della diagnosi, non precludono la terapia curativa concomitante e continuano durante tutta la storia della malattia, prendendosi carico della risposta ai molteplici bisogni che la situazione comporta».
La disuguaglianza regionale nell’accesso alle cure palliative pediatriche è solo uno degli elementi che esclude di fatto la maggioranza dei bambini che ne avrebbero diritto. «Spesso l’inserimento in un percorso di Cpp specialistiche si ha tardivamente, a causa di una percezione di fallimento professionale da parte del personale curante», spiega Alessandra Pieroni del Centro Cpp dell’Irccs ospedale pediatrico “Bambin Gesù”. «Inoltre, molte famiglie faticano ad accettare l’idea di passare da una terapia curativa a una terapia di supporto, soprattutto quando viene percepita come un abbandono. Le Cpp non sono però legate solo alle fasi terminali della malattia, quando tutti i trattamenti volti alla guarigione sono già stati tentati. Al contrario, prevedono l’assistenza fin dal momento della diagnosi di una malattia inguaribile e proseguono per tutta la traiettoria della malattia, anche in contemporanea alle altre terapie».
Ogni anno in Italia muoiono 450mila-500mila persone adulte con bisogni di cure palliative nel loro ultimo periodo di vita. Per quanto riguarda invece l’incidenza di pazienti pediatrici con bisogni di cure palliative nel loro ultimo periodo di vita, l’Organizzazione mondiale della sanità – Oms ha stimato circa 20 bambini/ragazzi ogni 100mila residenti con età inferiore ai 15 anni (ma altri studi parlano di 34-54 casi di minori ogni 100mila abitanti). Il problema resta irrisolto, nonostante la legge n. 38/2010 sancisca le Cpp come diritto del bambino e i successivi provvedimenti attuativi (condivisi ed approvati dalla Conferenza Stato-Regioni) ne definiscano modalità e modelli di cura di riferimento.
Credits: foto della Federazione Cure palliative e della Odv “Peter Pan” di Roma (la foto d’apertura ritrae l’hospice per adulti “Madonna di Fatima” di Settimo San Pietro – Cagliari, inaugurato pochi mesi fa)
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