V Conferenza internazionale della T21 Research Society
Sindrome di Down: i nuovi traguardi della ricerca
Dalla ricerca di base agli studi clinici, grazie agli avanzamenti della conoscenza oggi si possono individuare tempestivamente e trattare meglio tutte le patologie associate alla trisomia 21, garantendo così una miglior qualità di vita. Che dipende molto anche dall'inclusione a scuola e in società
La sindrome di Down è dovuta alla presenza, parziale o totale, di un cromosoma 21 in sovrannumero e i bambini che ne sono affetti presentano un ritardo dello sviluppo fisico e mentale, oltre a numerose comorbidità a carico di vari organi. I test diagnostici prenatali per questa anomalia genetica includono l’ecografia del feto, specifici esami del sangue della madre, amniocentesi, villocentesi e cordocentesi, rispettivamente analisi del liquido amniotico, villi coriali e sangue fetale, esami offerti a donne ad alto rischio di avere un figlio con la sindrome. Grazie agli avanzamenti nella ricerca, oggi molto è cambiato e le persone con sindrome di Down raggiungono un’età media di 60 anni e possono gestire sempre meglio i problemi di salute specifici legati alla sindrome. Se ne è parlato nel corso della V Conferenza internazionale dedicata alla sindrome di Down, organizzata da T21 Research Society (T21RS), in corso a Roma dal 5 all’8 giugno. Il congresso, che si svolge a dieci anni dalla fondazione della società scientifica, ha visto la partecipazione di oltre cinquecento iscritti, ricercatori di varie discipline provenienti da tutto il mondo. «In questo decennio, abbiamo visto il realizzarsi di importanti risultati, relativi alla possibilità di individuazione precoce e di trattamento delle molte comorbidità associate alla trisomia 21, con un aumento dell’aspettativa di vita ma anche della sua qualità» spiega Eugenio Barone, ordinario di Biochimica della Sapienza Università di Roma e presidente del comitato organizzatore, esprimendo soddisfazione per questa edizione da record.
Nuove speranze terapeutiche
Le persone con la sindrome soffrono di malformazioni cardiache, disordini metabolici e diabete, neurodegenerazione, problemi renali e alla vista e all’udito. Oltre diagnosi più accurate e un miglior trattamento di questi disturbi, ci sono anche nuove speranze terapeutiche. Spiega Barone: «Sono stati presentati studi clinici molto promettenti, come quello relativo a un inibitore dell’interferone gamma, via infiammatoria iperattivata nelle persone con sindrome di Down, all’origine di quadri anche molto severi di artrite psoriasica e psoriasi».
L’ambiente conta
La sindrome di Down è la più comune causa di disabilità intellettiva, la cui gravità varia notevolmente da persona a persona. «Le differenze sono notevoli e, comunque, l’ambiente gioca un ruolo rilevante nello sviluppo e nel mantenimento delle capacità cognitive, linguistiche e motorie» spiega Barone. «Gli stimoli provenienti dalla famiglia, dalla scuola e dalla società sono importanti e per questa ragione l’inclusione è determinante per queste persone».
La ricerca per evitare le disabilità intellettive
Per il ritardo nello sviluppo mentale non esistono terapie farmacologiche approvate. Per questo, la ricerca guarda anche ai geni che causano la disabilità intellettiva che colpisce soprattutto la memoria e il linguaggio. Conferma Barone: «Al congresso c’è stata una sessione dedicata a questo tema e sono molti i gruppi al lavoro su questo tema, per le cui ricadute cliniche ci vorrà però ancora del tempo». Se ne occupano anche dei team italiani, come quello di Laura Cancedda, neuroscienziata del comitato organizzatore del congresso e responsabile dell’unità Brain Development and Disease di Iit di Genova, autrice di un lavoro di trascrittomica e proteomica apparso su Neuron che individua alcuni di questi geni, aprendo la strada alla possibilità di un trattamento dei deficit cognitivi intervenendo in modo molto precoce attraverso le moderne tecniche di editing CRISPR-Cas9.
La trisomia 21: modello di studio interessante
La complessità del nostro encefalo e le maggiori difficoltà nello studiarne anatomia e funzionamento, così ben protetto com’è all’interno della scatola cranica, sono tra le cause dei ritardi nelle nostre conoscenze neurologiche. La sindrome di Down costituisce un modello di studio interessante per comprendere i meccanismi in atto durante lo sviluppo e la progressione della neurodegenerazione, anche per via delle varie comorbidità legate a questa patologia. «L’Alzheimer in questi pazienti si presenta precocemente intorno ai quarant’anni e ha un’alta incidenza, intorno all’80-90% dei casi» spiega Eugenio Barone. Studiare questi pazienti potrà quindi accelerare l’acquisizione delle conoscenze dalle utili ricadute per tutta la popolazione in un’ottica terapeutica, non esistendo attualmente farmaci sicuri ed efficaci per le demenze.
Foto: un momento del congresso (dall’album ufficiale)
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