Adozioni
La “nonnitudine adottiva”? Non esiste
Conta o non conta, quando c'è un nipotino in arrivo, il fatto di non aver vissuto l'esperienza della gravidanza? Conta o non conta sapere che quel bimbo non ti somiglierà? Antonella Miozzo: «Per quanto tu abbia elaborato la tua storia, queste domande si affacciano alla mente. Devi attraversarle. Ma alla fine le nonne fanno tutte una cosa sola: vivere accanto».
«Nonna. Ma esattamente che nonna sarò io? Sono più nonna io o l’altra, quella che da qualche parte c’è anche se non sa di esserlo?». Quando sua figlia Donatella le ha annunciato di essere incinta, Antonella confessa che tra i primi pensieri che si sono affacciati alla sua mente, ci sono stati anche questi. La gioia, certo. L’emozione. Ma anche un sottile dubbio sul fatto che sarebbe stata davvero capace di stare accanto a sua figlia in un’esperienza – quella della gravidanza – che lei non aveva provato.
Antonella Miozzo e suo marito Massimo hanno adottato Donatella e Lisa negli anni Novanta. Oggi sono nonni di Beatrice, che ha tre anni e mezzo e di Leonardo, nato appena tre mesi fa: sono i figli di Donatella e Daniele. Antonella è stata a lungo impegnata nell’associazionismo familiare ed è stata presidente di Afaiv e vicepresidente del Coordinamento Care.
Antonella, è giusto o sbagliato sottolineare delle specificità nell’essere nonna di una donna che lo diventa dopo aver adottato? Forse è in qualche modo un tornare ad adombrare il fatto che “non è la stessa cosa” partorire o non partorire un figlio?
Essere nonna è una gioia enorme, un’esperienza bellissima e questo certamente è un sentimento comune a tutti i nonni. E credo che la questione del fare i conti con la gravidanza che non c’è stata, ognuno la risolva in modo diverso: le storie sono inevitabilmente differenti. Però devo ammettere che per quanta riflessione abbia fatto sull’adozione e il suo significato – sia a livello personale sia a livello associativo – quando nostra figlia Donatella ci ha detto di aspettare un bambino ho subito avvertito dentro di me la domanda sulla “nonnitudine”: che nonna sono io? Io oggi sono e mi sento nonna a tutti gli effetti, ma al pensiero che da qualche parte forse ci sarà un’altra nonna, una donna che non sa nemmeno di essere nonna, confesso che me lo sono chiesto: “Sono più nonna io o lei?”. Per la seconda gravidanza di mia figlia non è più successo, è stata la prima che mi ha messo in discussione e mi ha fatto pensare.
Quindi nonostante tutte le riflessioni e il lavoro su di sé, nei momenti “di snodo” il pensiero sulla dimensione biologica della maternità salta fuori…
Sì. Poi lo elabori, ma devi passarci attraverso. E credo sia giusto così. Mi sono chiesta anche se l’altra nonna, la mamma del marito di mia figlia, fosse più nonna di me: perché sicuramente il bambino in arrivo qualcosa dei nonni paterni lo avrebbe avuto, qualcosa di noi invece no. Ammetto che anche questo pensiero c’è stato. Lo stesso per il pensiero del “bambino nella pancia” che io non avevo avuto: ma non per invidia nei confronti di mia figlia o per una mancata elaborazione della gravidanza che non ho avuto… solo per la preoccupazione di come avrei potuto stare accanto a mia figlia Donatella in un’esperienza così intensa, se io non l’avevo provata. Temevo di non poterla davvero capire e aiutare.
Mi sono chiesta se l’altra nonna, la mamma del marito di mia figlia, fosse più nonna di me: perché sicuramente il bambino in arrivo qualcosa dei nonni paterni lo avrebbe avuto, qualcosa di noi invece no
Con sua figlia Donatella ne ha parlato?
È stata più qualcosa che mancava a me che a lei: di solito la gravidanza unisce molto mamma e figlia, pensavo che a noi sarebbe mancato un pezzo. Donatella mi ha sempre detto “mamma non ti preoccupare, tu mi sei vicina in un’infinità di altri modi, per gli altri aspetti ci sono le ostetriche”. Mi ha sempre coinvolta molto. Alle ecografie non poteva andarci neanche il marito, perché eravamo in lockdown: ci mandava i video, erano momenti molto emozionanti. Mi ha fatto davvero sempre sentire parte del suo percorso, in toto. Abbiamo condiviso tante cose: preparare il corredino, ritagliarci del tempo insieme per chiacchierare e fare delle passeggiate… Forse ripensandoci meglio, a distanza, il tema è proprio quello dello stare accanto. Che non significa per forza aiutare, anche perché l’altro magari non ha voglia di essere aiutato: è il desiderio di stare vicino a tua figlia, in quello che sta vivendo. È un esercizio. Perché quello che fanno le nonne è vivere accanto.
Di solito la gravidanza unisce molto mamma e figlia, pensavo che a noi sarebbe mancato un pezzo. Pensavo a come avrei potuto stare accanto a Donatella in un’esperienza così intensa, se io non l’avevo vissuta. Temevo di non poterla davvero capire e aiutare
Come è stato l’arrivo di Beatrice?
Straordinario. Abbiamo un legame speciale, profondo. Adesso mia figlia è in congedo per Leo, ma quando lei ha ripreso il lavoro io mi sono occupata tanto di Bea. Ovviamente non tutti conoscono la storia della nostra famiglia, quindi capita che mi dicano: “Ti somiglia proprio”. Chiaramente non è vero, somiglia alla mamma di mio genero, però mi fa piacere. Forse nello stare tanto insieme Bea ha preso alcuni miei atteggiamenti o modi di fare… Viviamo a pochi km di distanza e ci vediamo tutti i giorni: andiamo noi a prenderla all’asilo, giochiamo molto insieme. È bello essere nonni perché ti godi fino in fondo cose che da genitore non puoi fare perché sei “blindato” dal lavoro e dalla responsabilità educativa. Con i nipotini invece puoi permetterti di tirare fuori la tua parte bambina ed è divertentissimo.
Capita che mi dicano: “Beatrice ti somiglia proprio”. Chiaramente non è vero, però mi fa piacere
Posso chiederle se è tornata in qualche modo a galla anche la ferita della gravidanza mancata?
Io e Massimo sapevamo già prima di sposarci che non avremmo potuto avere figli. Non è mai stato un problema, abbiamo sempre pensato che potevamo diventare genitori in un altro modo. All’epoca le tecniche di Pma erano all’inizio e comunque non sentivamo quel percorso come adatto a noi… Abbiamo vissuto un po’ di anni in due e poi è stato naturale intraprendere la strada dell’adozione, con grande serenità. Abbiamo scelto la nazionale, Donatella è arrivata nel 1991 che aveva 40 giorni e Lisa nel 1996, aveva 15 mesi. Devo dire che Donatella era così piccola che la dimensione dell’accudimento primario l’ho vissuta in pieno.
La mamma biologica di Donatella, invece, è una figura a cui ha pensato?
Immediatamente. Esattamente come quando le bambine erano piccole e ad ogni compleanno mi chiedevo “chissà se l’altra mamma ci sta pensando”. Credo che anche mia figlia ci abbia pensato: anche se non ha mai condiviso molto di questi suoi pensieri con me, non so se per protezione nei miei confronti o se perché erano emozioni che voleva vivere da sola. Io per pudore non ho chiesto, però ho visto che quella di Bea è stata una gravidanza che Donatella ha vissuto in maniera molto intensa. L’unica cosa che lei mi ha detto è che “se prima non capivo bene la questione dell’abbandono, adesso la capisco ancora meno”.
Quando guarda i suoi nipotini, oggi cosa pensa?
Che sono fortunata. E felice. L’altro pensiero che mi viene è che prima o poi questa storia dovremo raccontargliela. Ovviamente sarà mia figlia, insieme a suo marito, a scegliere quando e come. Noi le andremo dietro, come e se lei crederà necessario. Accanto, come devono essere i nonni.
Questo articolo è la terza puntata di una serie. Puoi leggere anche Da mamma adottiva a nonna: gioie e tormenti del nuovo ruolo con le voci di Daria Vettori, Marcella Griva e Daniela Bertolusso e Da mamma adottiva a nonna: il racconto in prima persona, con la testimonianza di Maria Enrica Simoni. Gli abbonati di VITA possono ricevere ogni martedì la newsletter “Dire, fare, baciare” sui temi legati a famiglia, educazione e scuola e ascoltare le storie di famiglie affidatarie raccolte da Giampaolo Cerri, giornalista e padre affidatario, nel podcast “Genitori a tempo, genitori e basta”.
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