Welfare locale

Stare bene a scuola: con Teseo, Parma ha trovato la strada

"Teseo" è nato nel 2000 come progetto per il contrasto della dispersione scolastica, ma ora è diventato un vero e proprio servizio del Comune di Parma. In tutti i 13 istituti comprensivi della città, insieme agli insegnanti lavora un’équipe composta da educatori, psicologi, mediatori culturali, facilitatori linguistici e orientatori. L'obiettivo? Il benessere dei ragazzi a scuola

di Sara De Carli

«Noi siamo i gesti di cura ricevuti e i gesti di cura mancati e diventiamo quello che siamo in relazione a ciò di cui abbiamo cura»: questa riflessione della filosofa Luigina Mortari, a Parma si è tradotta in un grande progetto condiviso per il benessere di bambini e adolescenti a scuola. In tutti i 13 istituti comprensivi della città, insieme a insegnanti e professori lavora un’équipe composta da educatori, psicologi, mediatori culturali, facilitatori linguistici e orientatori. Alle attività proposte nel contesto scolastico si affianca una ricca offerta di azioni e supporti extrascolastici e di recente si sono aggiunte anche le proposte di Led-Laboratorio Energie Educative e Didattiche del Comune di Parma, che ha allargato il campo d’azione fino ai 18 anni, puntando in particolare sull’orientamento e il riorientamento di chi, avendo “sbagliato strada”, è tentato di abbandonare la scuola e sull’accoglienza degli alunni neoarrivati in Italia e delle loro famiglie.

Dal progetto al servizio

«Alcune di queste azioni hanno una storia ventennale, perché fin dal 2000 con il “Progetto Teseo” e la legge 285/97 abbiamo messo in campo strategie mirate e innovative per rispondere ai bisogni che via via emergevano nelle nostre scuole: l’inserimento della popolazione immigrata, la dispersione scolastica, l’orientamento concepito come azione continua lungo tutto il percorso scolastico, la povertà educativa, la fragilità delle famiglie… Il nostro obiettivo è sempre stato il benessere: far sì che bambini e ragazzi stessere bene a scuola», racconta Chiara Rossi, responsabile di Led, che ama definire come «l’evoluzione dell’Ufficio di progettazione educativa del Comune di Parma».

Il nostro obiettivo è sempre stato il benessere: far sì che bambini e ragazzi stessere bene a scuola

Chiara Rossi, responsabile di Led

Per questi servizi educativi, orientativi, di mediazione culturale e facilitazione linguistica il Comune di Parma ha stanziato più di 760mila euro per il biennio 2023/24, con un impegno quadriennale. Il lavoro in sinergia con le scuole e il Terzo settore è sempre stato un elemento qualificante, così come la coprogettazione degli interventi. Un altro tratto distintivo è la volontà di “mettere le risorse a sistema”: «Dopo quasi 25 anni siamo affezionati al “Progetto Teseo”, ma logica del “progetto” in realtà è stata superata da tempo: ormai da anni sia le scuole sia le famiglie vivono tutto questo come un servizio, qualcosa su cui si può contare», afferma Rossi. E questo fa la differenza.

Dopo quasi 25 anni siamo affezionati al “Progetto Teseo”, ma logica del progetto in realtà è stata superata da tempo: da anni sia le scuole sia le famiglie vivono tutto questo come un servizio, qualcosa su cui si può contare

Chiara Rossi

L’ascolto del bisogno

A gestire sportelli, laboratori e servizi sono tre realtà del Terzo settore locale, riunite in un’associazione temporanea di impresa: Proges cooperativa sociale, Consorzio solidarietà sociale e Mediagroup98. Ogni soggetto ha una storia specifica e mette in campo risorse differenti: l’équipe multiprofessionale in questo modo porta tutto il meglio dell’esperienza di ciascuno, sviluppando progettualità che aiutino davvero la scuola ad accompagnare i bisogni educativi di ragazzi e famiglie, dentro una società che cambia. È Roberta Marchesini – coordinatrice della cooperativa sociale Proges, capofila dell’Ati – a tratteggiare i cinque assi del servizio, su cui tutte le scuole di Parma possono contare.

«La prima azione è lo spazio di ascolto. Gli operatori sono psicologi, ma il taglio è pedagogico, di sostegno al benessere a scuola. Il numero di ore a disposizione di ogni scuola viene individuato in base e un “indice di complessità” condiviso, che rivediamo ogni anno: “pesano” il numero di alunni ma anche il numero di assenze, dei neoarrivati, degli alunni con DSA, BES, alunni seguiti dai servizi…», racconta Marchesini. Lo sportello è aperto anche a genitori e insegnanti e «ultimamente le scuole hanno chiesto di attivarlo anche nella scuola primaria e dell’infanzia, a disposizione in primis dei genitori: l’esigenza di dare ascolto alle famiglie è molto forte, si cerca sempre più di fare un intervento precoce».

Le scuole hanno chiesto di attivare lo spazio di ascolto anche nella scuola primaria e dell’infanzia, a disposizione in primis dei genitori: l’esigenza di dare ascolto alle famiglie è molto forte, si cerca sempre più di fare un intervento precoce

Roberta Marchesini, cooperativa sociale Proges

Gli educatori scolastici

La seconda leva sono gli educatori scolastici, figure professionali presenti a scuola con continuità: «A inizio anno coprogettiamo l’intervento con ogni singola scuola, non c’è un percorso uguale all’altro. Un tempo si presentava un progetto sul bullismo piuttosto che sull’educazione all’affettività e lo si portava in più scuole: oggi non funziona più così, con ogni scuola costruiamo l’intervento su misura dei bisogni dei ragazzi, proprio perché si vuole fare un’azione mirata», spiega Marchesini. I temi più richiesti? Identità di genere, nascita dei pregiudizi, gestione delle proprie emozioni, relazioni tra pari e cyberbullismo. «Cresce la richiesta di supporto per affrontare questioni che non sono didattiche ma che impattano in maniera sempre più forte sulla quotidianità della vita scolastica. È certamente positivo il fatto di riuscire a dare risposte sempre più professionali, ma l’elemento essenziale per l’efficacia delle nostre azioni è sempre di più l’ascolto del bisogno».

Una scuola educante anche per le famiglie

Nel percorso progettuale, la strategia educativa scelta è quella del lavoro in piccolo gruppo o di individualizzazione, che si è rivelata particolarmente efficace nel caso di situazioni a rischio di dispersione o devianza. «Essendo presenti in tutte le scuole della città, il nostro è un osservatorio interessante sull’evoluzione del benessere o malessere dei ragazzi», aggiunge Chiara Rossi. «Uno degli aspetti da sottolineare è il fatto che l’emersione del disagio avviene sempre prima. Ormai occorre lavorare sulla dispersione scolastica già a partire dalla primaria, già lì ci sono bambini che stanno tanto male da non riuscire ad andare in classe. L’altro elemento nuovo è che l’abbandono riguarda molto più di un tempo anche alunni con un background sociale e famigliare “normale” e con rendimenti scolastici positivi. Sono tutte novità che ci interrogano molto e che ci portano a dire con sempre maggior convinzione che la scuola deve essere un luogo educativo anche per le famiglie: questo è uno degli insegnamenti più preziosi di una progettualità come questa. Noi ci siamo, nella quotidianità, mettendo a disposizione delle risorse: siamo accanto alla scuola e a chi la abita, sapendo quanto la realtà oggi sia complessa e mutevole. Educare a saper stare nella complessità significa anche sapersi rimettere ogni volta in discussione».

Fra gli strumenti che il progetto mette a disposizione degli insegnanti di Parma c’è anche la formazione. A febbraio per esempio si è tenuto l’interessante incontro SO-stare nel labirinto della complessità, cui hanno partecipato – in confronto con scuole e Terzo settore – Katia Provantini, psicologa e vicepresidente del Minotauro di Milano e Ivo Lizzola, professore di pedagogia all’università di Bergamo (leggi qui il racconto).

L’accoglienza dei neoarrivati

A Parma nell’anno scolastico 2022/23 c’erano 12mila studenti di origine straniera. La risposta a questa presenza, oggi, non può essere più solo la mediazione linguistica: serve un approccio di mediazione interculturale, che coinvolga anche le famiglie e sappia valorizzare le diverse identità. Da quest’anno anche gli strumenti per facilitare l’inserimento degli alunni stranieri neoarrivati sono stati inseriti dentro la medesima progettazione rivolta al benessere degli alunni. Le stesse persone che entrano a scuola, come parte dell’equipe del servizio, si occupano dello sportello per i neoarrivati che ha sede al LED-Laboratorio Energie Educative e Didattiche. «L’idea è che quando un ragazzino arriva per la prima volta nella scuola italiana, si attivino subito tutte le risorse: deve essere aiutato a imparare l’italiano, supportato nell’inserimento, deve essere in grado di orientarsi per tracciare il suo percorso futuro. Per questo è importante che tutta l’équipe lavori insieme, non basta il facilitatore linguistico», spiega Rossi.

I laboratori di orientamento fuori dalla scuola

Un fiore all’occhiello di questo grande progetto che ha l’obiettivo di promuovere il benessere nei ragazzi è l’orientamento. Non si tratta di fare qualche incontro all’inizio del terzo anno della scuola secondaria di primo grado, in vista della scelta del nuovo indirizzo di studi, ma di accompagnare i ragazzi in un percorso trasversale e continuativo, di conoscenza di sé, delle proprie competenze e dei propri desideri: per questo il referente è lo stesso psicologo che segue lo sportello di ascolto. Sempre al LED, inoltre, c’è uno sportello di orientamento e riorientamento rivolto in particolare per i ragazzi del primo biennio delle superiori: orientarsi e riorientarsi sono passi fondamentali per prevenire l’abbandono scolastico. «Mettiamo in campo anche dei laboratori di orientamento in contesti non formali, per quei ragazzi che fanno più fatica a stare nei contesti di apprendimento tradizionali», racconta Marchesini. Quest’anno i laboratori sono 13, frequentati da un’ottantina di ragazzi: cucina, addestramento cinofilo, riparazione delle biciclette, informatica, sartoria… Una volta alla settimana, da novembre, i ragazzi fanno scuola in una delle cooperative sociali del Consorzio Solidarietà Sociale: gli apprendimenti avvengono grazie a compiti di realtà, con la produzione di un manufatto finale che poi i ragazzi presenteranno in classe e su cui saranno valutati dai loro insegnanti. «Questi laboratori hanno un altissimo valore inclusivo, perché i ragazzi – che solitamente nel contesto classe non hanno trovato il loro spazio – diventano protagonisti. I risultati sono sempre positivi», riflette Marchesini.

Le richieste infatti sono in costante crescita: «Gli insegnanti inizialmente vedevano questi laboratori fuori dalla scuola come dei “contenitori di fuga”, che permettevano di alleggerire il clima e il lavoro in classe. Negli ultimi cinque o sei anni hanno capito il vero valore di questi percorsi, valorizzandoli nella valutazione finale», sottolinea Rossi.  «Talvolta con dei ragazzi a forte rischio di abbandono abbiamo costruito percorsi individuali che si sono svolti quasi completamente fuori dalla scuola, che hanno permesso allo studente di sostenere l’esame di terza media. Il tema non è tanto il pezzo di carta, ma la possibilità di riattivare la motivazione e di facilitare il riaggancio con la scuola e il canale formativo. Sono percorsi molto costosi, in tutti i sensi, ma davvero molto gratificanti».

Citando ancora Luigina Mortari, «una giusta cura è quella che si assume la responsabilità di ogni essere vivente e dell’insieme in cui accade la vita». Oggi sia i ragazzi sia la scuola hanno bisogno di cura. «A volte si legge di una scuola che si sente assediata, come se fosse responsabilità e compito della scuola risolvere tutti i problemi, farsi carico di tutte le fragilità dei ragazzi e delle famiglie. Ognuno deve riappropriarsi del suo pezzo di responsabilità: la scuola, i genitori, le istituzioni, il terzo settore, la comunità… noi ci stiamo provando, insieme», conclude Marchesini.

Foto di Austin Pacheco  su Unsplash 

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