Non profit
La sussidiarietà perpendicolare
L'Istat nel 2003 ha svolto la quarta rilevazione sulle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali. Ne é uscito un quadro sorprendente.
Buone notizie dal volontariato, malgrado tutto. L?attivismo dei cittadini, la loro responsabilità, la generosità degli italiani, sembra essere l?unico dato in attivo di un Welfare che si restringe ai minimi termini, quando non già a pezzi. Ciò che resta della gratuità e della capacità di organizzarla sembra essere l?unica gamba di una sussidiarietà, non più e non già verticale o orizzontale, ma unilaterale, perpendicolare, che viaggia ormai in un?unica direzione, quella dal cittadino che si attiva e che puntella uno Stato in cui si è smarrita la stessa idea di bene comune e che supplisce ai disastri di un mercato non più alle prese con la dimensione etica, bensì con il codice penale. Le buone notizie ci arrivano da due rilevazioni. La prima è il Rapporto sui Centri di servizio per il volontariato, di cui abbiamo dato ampiamente conto sul numero scorso di Vita, che ci ha sorpreso per la capillarità e l?efficacia della presenza ormai raggiunta dai Centri in tutt?Italia nel loro servizio a più di 4mila organizzazioni.
La seconda è firmata dall?Istat che, nel corso del 2003, ha svolto la quarta rilevazione sulle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali al 31 dicembre 2001. Si tratta di una rilevazione che, oltre a sottolineare la crescita delle organizzazioni che rispetto alla prima rilevazione, del 1995, passano da 8.343 a 18.293 (+119,3%), ci racconta di un processo di diffusione territoriale, di una crescita del numero di volontari e delle risorse economiche disponibili, e di un aumento consistente degli utenti che ad esse si rivolgono.
La rilevazione Istat smentisce qualche luogo comune, per esempio che a fare volontariato siano soprattutto disoccupati o pensionati. Non è vero, dice l?Istat: i volontari sono presenti in tutte le classi di età, tuttavia sono più numerosi tra le persone di 30-54 anni (42%) e meno numerosi tra gli ultrasessantaquattrenni (12,7%), e più della metà dei volontari è occupata (53,9%). Insomma, il volontariato è scelta consapevole tra gli italiani attivi e professionalmente già impegnati, non un?attività riempitiva.
Impressionante è anche la capacità di risposta ai bisogni che il volontariato italiano sa assumersi. Nel 2001, le organizzazioni che erogano direttamente servizi agli assistiti sono 13.451, pari al 73,5% delle organizzazioni iscritte ai registri regionali. Aumenta in maniera impressionante anche il numero degli utenti delle organizzazioni di volontariato, dai due milioni e mezzo del 1997 ai 5,8 milioni di persone del 2001. Le categorie di assistiti con maggiori frequenze sono quelle dei malati e traumatizzati (39,5%), degli adulti con disagi non specifici (21,8%), dei minori (8,6%), degli anziani autosufficienti (8,1%), degli immigrati (3,2%) e degli anziani non autosufficienti (2,6%).
Davvero dovremmo chiederci che Paese sarebbe mai il nostro se non potesse contare su questa capacità di autonoma risposta ai bisogni propri e di chi ha più bisogno.
Interessantissimo anche un ultimo dato: rispetto alle rilevazioni precedenti si accentua il ricorso delle organizzazioni di volontariato al finanziamento, sia esclusivo che prevalente, di fonte privata rispetto a quello pubblico. Nel 2001, il 24,9% si finanzia esclusivamente con entrate di fonte privata (19,8% nel 1997), il 34,6% con entrate prevalentemente private (33,7% nel 1997), solo il 33,7% delle organizzazioni si finanzia con entrate prevalentemente pubbliche e il 6,3% con entrate esclusivamente pubbliche.
Buone notizie dal volontariato, dunque. E malgrado tutto. Qualcuno saprà tenerne conto?
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