Il tempo libero dei ragazzi

Ehi bro, dove ci si becca?

Il muretto, il centro commerciale, il campetto: e poi? Quali spazi dedicano le nostre città ai ragazzi? Dove possono incontrarsi in maniera informale? E perché gli spazi di aggregazione di una volta non funzionano più? Un'inchiesta di VITA tra i bisogni degli adolescenti e le migliori best practice

di Rossana Certini

Aperti, appassionati, tendenzialmente inclusivi. Sono questi gli aggettivi che meglio descrivono i ragazzi della Gen Z, forse la più indagata di sempre. Hanno dai 12 ai 20 anni e si affacciano al mondo adulto dopo aver attraversato due anni di pandemia, soffrendo gli effetti della reclusione e delle limitazioni imposte dal Covid-19. Ma a renderli diversi dalla generazione che li ha preceduti – i Millenials – non è solo la pandemia: la Gen Z è la prima a essere cresciuta immersa nella tecnologia, che usa per connettersi agli altri in modi nuovi.

«Fare gruppo è uno dei bisogni principale dei ragazzi che stanno uscendo dall’età infantile», spiega il pedagogista Daniele Novara. «Il Covid li ha costretti per molti mesi a stare forzatamente in casa, isolati dai coetanei. Questa circostanza ha fatto erroneamente pensare che gli adolescenti possano essere felici di dialogare con i genitori, fare con loro le vacanze ed essere sempre accondiscendenti. Questa è una falsa realtà. Gli adolescenti sono naturalmente respingenti, distratti, disordinati. Vogliono schiodarsi dal controllo genitoriale in tutti i modi possibili. Ed è giusto che siano così. Tutti noi abbiamo cercato di bypassare il controllo genitoriale durante l’adolescenza».

«Finita l’infanzia, i ragazzi devono fare esperienze di socializzazione con i propri coetanei per rispondere ai bisogni evolutivi della loro età che sono quelli, appunto, di stare in gruppo e cercare autonomia rispetto al controllo dei genitori per imparare ad affrontare le sfide della vita», prosegue Novara. Dunque bene anche il ritrovo al muretto, purché si eviti l’isolamento dato spesso dall’uso improprio della tecnologia.

Tra bisogni e richieste

«La preadolescenza è senza dubbio la fase della crescita più complessa», conclude Novara: «Uscire dall’infanzia vuol dire passare da un’età in cui i genitori organizzano più o meno tutto ed entrare in una in cui i ragazzi e le ragazze vogliono esprimere i loro bisogni e le loro idee. Non tutti i ragazzi sono pronti ad affrontarlo. Per chi durante l’infanzia ha frequentato gruppi come quelli scout o quelli sportivi, risulta più facile gestire il proprio tempo libero. In generale, però, è importante che le famiglie sappiano aiutare i loro figli a organizzare la loro libertà, anche se sembra un ossimoro».

Questa fotografia degli adolescenti rende evidente il fatto che le figure adulte – dai genitori, agli insegnanti fino agli educatori – devono ripensare i modi di camminare al fianco di questi “quasi adulti”. Come spiega Alessandro Rosina, docente di Demografia e statistica sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e coordinatore dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, che pubblica annualmente il Rapporto Giovani: «I giovani vogliono poter essere protagonisti della propria vita e scegliere quel che li riguarda sia per quel che concerne gli aspetti personali che quelli collettivi. Vogliono poter contare. Non è vero che sono lontani dalla politica e se ne sentono estranei, al contrario considerano la politica uno degli elementi più importanti per migliorare la vita del paese. C’è in loro, anche, un desiderio di avere interlocutori autorevoli e spazi adeguati per il confronto».

Spazi per il tempo libero, il revival

Ecco che emerge il primo grande tema: gli spazi. Luoghi altri da quelli domestici e scolastici, dove i ragazzi possano trascorrere un tempo libero ma funzionale ai loro bisogni di crescita. Condivisione e aggregazione costituiscono uno degli aspetti fondamentali della crescita, ma hanno bisogno di luoghi in cui accadere. Non per nulla il diritto al riposo e al tempo libero, e la loro promozione attiva, sono sanciti dalla stessa Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dall’Italia con la legge n. 176 del 27 maggio 1991.

Spazio Officina San Domenico di Andria (foto Capital Sud Aps)

Negli ultimi tempi ben tre iniziative importanti hanno messo a tema questa necessità, investendo risorse. A inizio marzo l’impresa sociale Con i Bambini ha reso noti i 28 progetti selezionati (su 418 candidature ricevute) attraverso il bando “Spazi aggregativi di prossimità” che ha messo sul piatto 20 milioni di euro per la creazione o il potenziamento di presidi territoriali di aggregazione per minori tra 10 e 17 anni. Poi è stata la volta della viceministra Maria Teresa Bellucci, che ha lanciato l’avviso pubblico “DesTEENazione-Desideri in azione”, rivolto agli Ambiti Territoriali Sociali dei Comuni per la realizzazione di 60 comunità aggregative per adolescenti fra gli 11 e i 18 anni: 250 milioni i soldi stanziati. A metà aprile è toccato a Fondazione Cariplo, che con il bando “Porte aperte” ha stanziato 2,25 milioni per spazi  attrattivi, aperti e accessibili per preadolescenti, adolescenti e giovani: oratori e non solo. Insomma, tre indizi non fanno una prova ma sono un buon punto di partenza.

Quali caratteristiche per gli spazi aggregativi di oggi

«Le ragazze e i ragazzi ci chiedono luoghi di aggregazione», spiega Caterina Ronconi dell’Impresa sociale Con i Bambini, che recentemente ha curato un’indagine sui centri di aggregazione in Italia, tra politiche giovanili e contrasto della povertà educativa. Gli esiti di quella ricerca hanno consentito di tarare al meglio il bando “Spazi aggregativi di prossimità”. «Prima di scrivere il bando abbiamo ascoltato le realtà del territorio che si occupano del tempo libero dei ragazzi, ma anche gli stessi fruitori di questi luoghi», prosegue Ronconi.  Secondo quell’analisi, dopo la stagione dei Cag e lo slancio dei primi anni Duemila, oggi a frequentare i centri aggregativi sono appena 11,3 ragazzi ogni mille minori residenti in Italia: «È emerso che sul territorio nazionale non c’è uno sviluppo uniforme degli spazi aggregativi per i ragazzi. Inoltre spesso vengono finanziate dai Comuni attività specifiche all’interno degli spazi aggregativi che sono pensate senza la co-progettazione dei ragazzi. Il risultato è che gli adolescenti le sentono distanti dai loro bisogni e quindi non vi partecipano», spiega Ronconi.

I Cag, trent’anni dopo

I Centri di aggregazione giovanile, spesso conosciuti con l’acronimo Cag, sono progetti rivolti ai minori realizzati nell’ambito della Legge 285 del 1997. Nell’idea originaria del legislatore dovevano essere spazi intermedi tra scuola, casa e strada dove gli adolescenti potevano crescere in una comunità capace di coinvolgerli con laboratori, doposcuola e progetti d’inclusione.

Come spiega Yuri Pertichini di Arci Ragazzi, «la nostra esperienza ci dice che i Cag funzionano nelle piccole comunità mentre all’interno delle grandi città i ragazzi sono più attratti da spazi capaci di offrire occasioni. Infatti una delle caratteristiche di questa generazione è la “mobilità”. Gli adolescenti e, in generale, i giovani di oggi, sono abituati a spostarsi per cercare quello che li interessa. Per questo noi adulti dobbiamo imparare a offrigli occasioni distribuite su un territorio diffuso, dove uno dei punti può essere il Cag ma non può più essere l’unico».

Pertichini sottolinea anche che «negli anni i Cag non sono stati chiaramente definiti, dunque i centri aggregativi sono quello che ogni amministrazione comunale definisce debbano essere. Non ci sono elenchi che mappano la distribuzione dei Cag attivi sul territorio nazionale, anche, perché con l’introduzione del titolo V della Costituzione l’attivazione dei centri di aggregazione è diventata materia di competenza delle Regioni, come tutte le politiche sociali. La legge 285/1997 istituiva il Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza destinato per un 30% alle cosiddette città riservatarie, le 15 città italiane più grandi e con bisogni più significativi in materia di infanzia, e il restante 70% alle regioni. Quest’ultima quota però, con la modifica del titolo V è confluita nel Fondo nazionale delle politiche sociali, che ogni anno tende sempre più a essere ridotto. Nei fatti è praticamente scomparso». La legge 285 da questi punto di vista quindi oggi “vive” solo nelle 15 città riservatarie, dove i centri di aggregazione in qualche modo resistono se hanno una storia già consolidata alle spalle e comunque solo per l’aggregazione dei ragazzi fino ai 18 anni. Mentre oggi si è giovani molto più a lungo.

Aggiunge Pertichini: «non bisogna dimenticare che oggi i Cag sono inseriti all’interno delle politiche giovanili ed educative dei Comuni che, rispetto a 25 anni fa, assegnano i fondi più alle attività di servizi sociali che a quelle giovanili ed educative. Se ne deduce che anche i Cag attivi nelle 15 città riservatarie sono solo accidentalmente finanziati con la legge 285. C’è poi un ultimo aspetto da considerare: i fondi nazionali che finanziano le politiche giovanili sono finalizzati a progetti specifici, come può essere l’orientamento dei ragazzi o le attività Steam, ma tutto quello che serve per attivare la specifica attività, dallo spazio ai mezzi necessari per l’attività, deve finanziarlo il Comune: che spesso fatica a trovare risorse».

Spesso all’interno degli spazi aggregativi vengono finanziate attività specifiche, pensate senza la co-progettazione dei ragazzi. Il risultato è che gli adolescenti le sentono distanti dai loro bisogni e quindi non vi partecipano

Caterina Ronconi, Con i Bambini

La co-progettazione per coinvolgere i ragazzi

Oggi è importante ribaltare i ruoli. Diventare adulti capaci di osservare i ragazzi, da una giusta distanza, mentre i ragazzi costruiscono le attività che più gli sono congeniali, intervenendo solo per essere guide, quando viene richiesto dagli stessi ragazzi.

Ne è convinto il sociologo Stefano Laffi, co-fondatore della cooperativa di ricerca sociale Codici di Milano: «L’offerta ideale per il tempo libero degli adolescenti e dei ragazzi dovrebbe prevedere non attività già organizzate a cui loro si iscrivono, ma luoghi auto-organizzati. È necessario un progressivo arretramento del mondo adulto per lasciare ai ragazzi spazi da gestire, organizzare e ripensare. Luoghi di creazione dove possono diventare protagonisti accompagnati da figure di riferimento. Pensiamo alle aule studio. Sono spazi semplici dove ci sono tavoli, sedie e prese. Spesso sono dati in gestione direttamente a chi li frequenta. I ragazzi si organizzano per tenerle aperte il più possibile. Sono luoghi in cui le amministrazioni locali stanno sperimentando, con successo, l’affidamento ai ragazzi di spazi pubblici».

Un’attività per i ragazzi in villa Angaran San Giuseppe a Bassano del Grappa.
(Foto cooperativa sociale Adelante onlus)


Luoghi ibridi per il tempo libero

Questo cambio di paradigma non riguarda solo l’approccio educativo ma anche il modo di progettare gli spazi per il tempo libero dei ragazzi. La Gen Z ha bisogno di luoghi ibridi che «siano capaci di rivolgersi a categorie diverse di soggetti», dice Roberta Franceschinelli, presidente della rete Lo Stato dei Luoghi, che si occupa di rigenerazione urbana attraverso le pratiche culturali. «Gli spazi ibridi sono difficili da realizzare perché prevedono la commissione di target con bisogni diversi. Spesso nascono dal basso, attraverso processi di rigenerazione che tendono a rendere protagonisti i più giovani. Sono una sfida. Al loro interno trovano posto attività di autogestione, conviviali e culturali a libera partecipazione. Le esperienze che in tutta Italia sono state avviate in questo senso ci stanno dimostrando che creando dei contesti co-progettati con i ragazzi questi ultimi sperimentano percorsi di crescita assumendosi responsabilità. È quanto accaduto, per esempio a Milano, nello spazio Mare. dove, qualche tempo fa, è stato avviato un percorso di approfondimento sulla musica per i ragazzi che, grazie alla collaborazione con il progetto “Scuola nei quartieri” del Comune, ha dato vita a un’associazione costituita dagli stessi ragazzi. Questo esempio ci fa capire come creando un’occasione di formazione per i più giovani si sia data vita a un’attività autonoma in cui i ragazzi si sono messi in gioco in prima persona».

È necessario un progressivo arretramento del mondo adulto per lasciare ai ragazzi spazi da gestire, organizzare e ripensare. Luoghi di creazione dove possono diventare protagonisti accompagnati da figure di riferimento.

Stefano Laffi, sociologo

I nuovi oratori? Relazioni, non strutture

Cambia passo di conseguenza anche l’offerta di tempo libero degli oratori: non più solo spazi fisici capillarmente presenti su tutto il territorio nazionale e facilmente riconoscibili, ma esperienze diffuse. Il paradosso dell’oratorio senza oratorio, almeno per come siamo abituati a concepirlo. Lo spiega don Riccardo Pincerato, responsabile del servizio nazionale per la pastorale giovanile della Conferenza episcopale italiana: «Quella degli oratori oggi è materia complessa, che va riscoperta e rinnovata soprattutto nella sua narrazione. Nell’immaginario comune gli oratori sono identificabili con un edificio, un luogo e una struttura. Noi questi li chiamiamo oratori di diritto. Ma nei fatti sempre più si stanno affermando gli oratori di fatto, ossia tutte quelle realtà in cui gruppi di persone si mettono insieme per svolgere della attività a favore delle nuove generazioni e quindi vivono l’oriatorialità, anche se alle spalle non hanno una struttura. Sono esperienze diffuse che hanno come denominatore comune la relazione. Un esempio è quello che sta portando avanti l’Arcidiocesi di Napoli che con la Cooperativa sociale La Paranza sta proseguendo con la riqualificazione sociale e culturale del Rione Sanità, coinvolgendo i ragazzi. Dunque l’ente ecclesiastico rimane il punto di riferimento delle attività di adulti che fanno esperienze sul territorio con i ragazzi. L’oratorio sta diventando un “luogo” dove si fa rete e ci si sente corresponsabili della crescita della propria comunità».

Nei fatti si stanno affermando gli oratori di fatto, in cui gruppi di persone si mettono insieme per svolgere attività a favore delle nuove generazioni: vivono l’oriatorialità, anche se alle spalle non hanno una struttura. Sono esperienze diffuse che hanno come denominatore comune la relazione

don Riccardo Pincerato, Servizio nazionale per la pastorale giovanile

Nella direzione di generare rete negli oratori va anche il bando Porte Aperte promosso da Fondazione Cariplo, in collaborazione con la Fondazione Peppino Vismara e 16 fondazioni di comunità. «Vogliamo promuovere spazi attrattivi, aperti e accessibili per preadolescenti, adolescenti e giovani», spiega Benedetta Angiari, programme officer dell’area servizi alla persona di Fondazione Cariplo: «spazi in cui realizzare attività educative e socializzanti, favorire opportunità di incontro tra pari e con gli adulti e sostenere iniziative di protagonismo giovanili, nonché coinvolgere, attivare e sostenere la comunità al fine di sollecitare una responsabilità educativa collettiva. La sfida è aprire gli oratori al territorio per generare alleanze con altri soggetti che possono svolgere una funzione educativa capace di rispondere ai bisogni attuali dei ragazzi».

I ragazzi hanno bisogno di luoghi ibridi che prevedono la commissione di target che hanno bisogni diversi. Al loro interno ci sono spazi autogestiti, conviviali e culturali a libera partecipazione

Roberta Franceschinelli, Lo stato dei luoghi

La Gen Z ci chiede di essere tratta da adulta

La Gen Z ci chiede di aiutarli a scoprire il mondo in cui dovranno vivere da adulti. Sono ragazzi che cercano equità, inclusione, rispetto per la diversità. Che non hanno più bisogno di spazi chiusi e riservati solo alla loro età. «Sono ragazzi che vogliono essere trattati da adulti», conclude Bertram Niessen, presidente di cheFare, agenzia per la trasformazione culturale. Una prova? «L’abbiamo avuta nel 2021 quando, insieme a Codici abbiamo avviato un laboratorio di giornalismo per ragazzi. Lo abbiamo pensato per sviluppare una piccola pubblicazione, intitolata Emersioni. Volevamo riflettere su cosa significa parlare in modo comprensibile di questioni complesse a un pubblico di giovani e non addetti ai lavori. Settantotto pagine contenenti tredici articoli articoli scritti da 15 giovani ragazzi guidati dal giornalista Giuliano Battiston. A conclusione del lavoro i ragazzi ci hanno espresso la loro gratitudine per essere stati trattati da adulti».

VITA Inchieste, Il tempo libero dei ragazzi, puntata 1 – continua

Questa è la prima puntata di un’inchiesta di VITA sul tempo libero dei ragazzi. Nella foto di apertura un’attività di Maestri di Strada a Napoli

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