Famiglia

Cultura: morto Nuto Revelli

Memoria e libert

di Redazione

E’ morto Nuto Revelli, padre del nostro amico ed editorialista Marco Revelli. Lo ricordiamo con una scheda biografica Un’ esistenza dedicata alla memoria, della spedizione di Russia vissuta da ufficiale dell’ esercito italiano, della Resistenza, vissuta da partigiano nelle formazioni di Giustizia e Liberta’, quella di Nuto Revelli, classe 1919. Nato a Cuneo, tra montagna e vallate dove fu aspra la guerra di Liberazione, Revelli non penso’ soltanto a conservare e tramandare il senso delle sue esperienze, a fissare sulla carta fatti ed emozioni che lo avevano visto protagonista, ma anche a raccogliere pezzi di storia umana che lui vedeva emblematici di un periodo, di un clima storico-culturale, ma anche di una coerenza, intellettuale e morale, che lui considerava un valore di cui dare esempio ai giovani. Così e’ accaduto per il suo ultimo libro, nel 1998, ”Il prete giusto”, dove ha raccontato la vita di don Raimondo Viale, morto nel 1982 dopo anni di miseria e solitudine, di incomprensioni da parte delle stesse gerarchie ecclesiastiche. I suoi libri, da ”La guerra dei poveri” a ”La strada del Davai” a ”Il mondo dei vinti”, hanno dato ampia testimonianza delle realta’di miseria e sofferenza umana, durante l’ ultima guerra mondiale come nei decenni precedenti dell’ Italia contadina. L’ultimo libro, ”Le due guerre”, la casa editrice Einaudi lo trasse dalle sue lezioni all’ Universita’ di Torino. Era l’ anno accademico 1985-1986 e la storia della Resistenza era finita sotto la coltre pesante della retorica e dell’ ufficialita’, con la sua ricorrenza, ripetitiva e uniforme, ogni 25 aprile. Fu allora che il mondo accademico pensò a Nuto Revelli come a un testimone che poteva ringiovanire la memoria di quel tempo. Le sue lezioni furono un successo. Lo avevano chiamato a tenere un corso presso la Facolta’ di Scienze Politiche. Le due guerre, al quale Revelli si riferiva erano quella dal 1940 al ’43, che lo vide ufficiale in Russia, e quella dopo la caduta del fascismo, dal ’43 al ’45. E davanti a centinaia di studenti spiego’ come proprio l’ anno di passaggio dall’ una all’ altra, non volto’ soltanto una pagina di storia nazionale, ma anche la sua, intima, personale. Revelli era entrato in guerra con la divisa dell’ esercito, lui uscito dall’ Accademia di Modena, e ne usci’ da partigiano. All’ analisi storica intrecciava, durante le lezioni, le riflessioni su se stesso, sulla metamorfosi che compi’ in una manciata di mesi. Quella di Revelli era la 46/a compagnia. Sul Don erano arrivati in 8 ufficiali e 346 uomini di truppa e, nei combattimenti, si erano ridotti in tre e 70 alpini, piu’ tre slitte cariche di feriti, congelati, malati. Una tragedia che Revelli aveva gia’ raccontato nel 1971 attraverso le Lettere dei soldati caduti o dispersi durante la seconda guerra mondiale. Passo’ di casa in casa per raccoglierne 6 mila lettere e, nell’ archiviarle scrupolosamente, lo scrittore-storico-testimone Revelli diede voce a ognuno. ”Arrivarono le ultime lettere – scriveva – del 10, del 12 gennaio e la gente della provincia di Cuneo, ignara, continuava il dialogo con i suoi caduti e con i suoi dispersi. Lentamente il fiume di lettere che unisce il fronte russo all’ Italia si inaridisce. E’ il silenzio della fine”. La sua ultima testimonianza risale all’ aprile dell’ anno scorso. In un’ intervista su ”La Stampa”, a Bruno Quaranta che gli chiese che cosa avesse ancora da raccontare, Revelli rispose con mestizia: ”Forse non ce la faro’: il decennio successivo alla guerra. In molti si illudevano che il fascismo, la dittatura, la violenza scomparissero definitivamente. E invece. Gia’ Dante Livio Bianco mi aveva avvisato, prima del 25 aprile, Ci tocchera’, sia pure in modi diversi, nuovamente subire”. Gli rimaneva, salda, una speranza. Quella per i giovani: ”Non sono sprovveduti, non si adatterebbero, non si adattano, al giogo, alla menzogna, alle losche mene, sono naturalmente ‘liberi”’.


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