Non profit
Flessibilità fa rima con povertà?
Otto milioni di italiani vivono in condizione di disagio.
Caro direttore, l?ultimo giorno dell?anno 2003 è stato il mio ultimo giorno di lavoro. Per me come per altri 26 uomini e donne che hanno lavorato per oltre 9 mesi e mezzo presso la Prefettura di Napoli (con un contratto interinale della società Obiettivo lavoro) all?ultima sanatoria per la regolarizzazione del lavoro irregolare per gli extracomunitari, è stato un ultimo dell?anno amaro. Sebbene il lavoro non sia terminato e l?organico della Prefettura non possa rispondere alla continua emergenza immigrazione, il nostro governo ha deciso di mandare a casa un personale ormai già formato che con professionalità e generosità ha svolto il proprio lavoro.
Caro direttore, non ho più un lavoro. Questa è la flessibilità?
Floriana Fioretti, Napoli
La lettera di Floriana e la sua domanda sono tanto chiare quanto dure. Proprio nel numero di settimana scorsa abbiamo pubblicato un bel dossier sulla povertà crescente nel nostro Paese, e più in generale in tutto l?Occidente. Da dieci anni a questa parte si è proceduto a riformare i meccanismi, senza dubbio rigidi del mercato del lavoro. Ma questo processo non è stato accompagnato da un percorso parallelo sul fronte degli ammortizzatori sociali. In Italia non è stato fatto nulla. Sulle nostre pagine la sottosegretaria al Welfare ha addirittura confessato che neppure nel 2004 il Reddito di ultima istanza diverrà operativo! Si aggiunga a questo l?inflazione da euro che ha colpito i beni essenziali in una misura per niente rappresentata dagli indici ufficiali di inflazione, e si capirà perché con Floriana altri 8 milioni di italiani vivano in una situazione di insicurezza e povertà. Sì, perché la flessibilità in uno Stato che ha smantellato le protezioni sociali e che non ha saputo innovare il suo welfare fa certamente rima con povertà.
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